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Maledetto Toscani. Ribellione a due voci.

di Pio Tarantini

Cosa può accadere quando un fotografo interessato soprattutto al reportage sociale con una forte impronta umanistica ‒ studioso del fenomeno fotografia e per questo autore di molti testi e saggi, estremi per le posizioni radicali ‒ incontra un fotografo ed esperto in comunicazione conosciuto internazionalmente per le sue campagna pubblicitarie e i suoi lavori fotografici costantemente sopra le righe, provocatori, terreno ideale per scontri dialettici alimentati dalla sua prorompente presenza scenica? Stiamo parlano di Pino Bertelli e Oliviero Toscani, il primo autore, tra l’altro, di un volume che riassume nel titolo gran parte della sua filosofia in merito: Contro la fotografia della società dello spettacolo. Critica situazionista del linguaggio fotografico; il secondo una personalità straripante, incontrollabile, sempre pronto a mettere in discussione le convenzioni dominanti sia con le sue immagini che con i suoi interventi verbali e le sue invettive.

Il compito coraggioso di concretizzare in un volume questo confronto dialettico se l’è preso Francesco Mazza, titolare dell’azienda di materiale fotografico Cine Sud ma anche, e forse soprattutto, operatore culturale ad ampio spettro con una storia professionale, sotto questo aspetto, articolata su diversi piani, dal documentarismo cinematografico alla ideazione e curatela di iniziative espositive, alla recente esperienza editoriale della rivista telematica CineSud FotoMagazine attorno alla quale è riuscito a far confluire i contributi di decine di esperti e studiosi di fotografia.

Nasce così, con queste articolate e spericolate premesse ‒ né poteva essere diversamente ‒ il volume Maledetto Toscani. Sulla filosofia di un fotografo sovversivo, un corposo pamphlet di 300 pagine in cui Bertelli ‒ oltre a raccogliere suoi scritti vari e occasionali ‒ organizza un più organico discorso sul ruolo del fotografo in quanto comunicatore, testimone visivo e interprete controverso di un ruolo sociale e mediatico.

Scrive al proposito l’editore/curatore Francesco Mazza: «Maledetto Toscani non è un’intervista, non è un’analisi distaccata, non è una dedica celebrativa: non si tirano le somme per spiegare l’inspiegabile, non è una Bibbia, non è una poesia d’amore.

Non importa se sei un fan di Oliviero o se lo odi fino al midollo, Maledetto Toscani è una sfida! […] Forse c’è un Toscani personaggio e un Oliviero uomo, dipende con chi ti interfacci.
Una delle poche cose certe è che lui è uno degli uomini più liberi che esistano e questo dà molto fastidio.»

Certo lungo le trecento pagine del volume, arricchite di alcune tra le più famose immagini di Toscani e di alcuni suoi testi su creatività, arte e comunicazione, alla curiosità che i testi alimentano ‒ sempre estremi, mai consolatori ‒ si aggiunge un certo qual turbamento perché la messa in discussione di alcuni parametri acquisti nel mondo e nella cultura della comunicazione e della fotografia è continua, quasi sempre radicale e senza appello. Vengono così abbattuti molti paradigmi consolidati, dai sistemi di comunicazione pubblicitari e culturali al mercato dell’arte e alla fotografia come merce che Bertelli demolisce senza concedere sconti scrivendo tra l’altro: «[…] L’umano, troppo umano della fotografia. La fotografia ha le sue ragioni che la ragione non conosce, specie se dice qualcosa su qualcosa e possibilmente contro qualcuno… […] beati i fotografi che si baciano sempre oltre il permesso e violano il confine del consenso per cibarsi dei sogni… non la ricchezza, né la potenza, né il successo ma la dignità di tutti gli uomini […] dev’essere il vero fine della buona fotografia. Non si deve temere di sporcarsi le mani stringendo una fotocamera (o qualsiasi altro ferro) … l’importante è ragionare sempre, avendo in testa la verità e il bene comune.»

La lingua letteraria di Bertelli ‒ in sintonia con le tesi che sostiene ‒ non concede nulla alla bella scrittura intesa in senso tradizionale: è una lingua aspra, tambureggiante, a volte sincopata e che forse anche per questo inchioda il lettore, stregato da tanta radicalità. La stessa, in fin dei conti, che, su un piano diverso, caratterizza le immagini di Toscani o le sue invettive.

Il volume inoltre è arricchito da un corposo apparato di note e da una ricca bibliografia con innumerevoli indicazioni e citazioni di primario interesse.

Un libro infine che riesce a coniugare i pensieri e le opere di due spiriti liberi, intellettualmente anarchici: l’uno, Bertelli, che organizza con fermezza ma anche con immensa pietas verso la condizione umana, soprattutto quella degli strati della popolazione socio-economicamente più deboli, e anche con un pizzico di beffarda ironia, la sua battaglia contro il potere costituito in tutte le sue forme. Toscani con la sua battaglia per una comunicazione visiva non convenzionale, capace di scuotere le certezze metodologiche della pubblicità ma soprattutto le coscienze della gente.

Quanto scrive Bertelli e il sistema-Toscani possono piacere o no, se ne possono condividere le idee e il modus operandi o anche no: certamente, nel chiacchiericcio che spesso costituisce il rumore primario e quello di fondo del pianeta fotografia, sono due voci che non si possono ignorare.

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