Dedicare una vita alla fotografia, alla musica e ad altre arti performative a cominciare dal teatro: questo è stato il percorso professionale di Roberto Masotti (Ravenna, 1947) scomparso nei giorni scorsi. Un percorso in buona parte vissuto insieme alla sua compagna Silvia Lelli tanto da costituire un sodalizio artistico ufficialmente designato come Lelli e Masotti.
Trasferitosi a Milano, insieme a Silvia, nel 1974 dopo studi in Industrial Design, Masotti aveva individuato fin da subito nella musica la sua area di interesse fotografico, così nel tempo ha consolidato – attraverso numerosi lavori, pubblicazioni e mostre – un percorso molto ricco che lo ha portato ai vertici in questo ambito della ricerca fotografica. Superfluo in questa sede ricordare le tappe di questo articolato percorso facilmente rintracciabili in altre sedi a cominciare dal sito http://lelliemasotti.com/roberto-masotti/.
Mi piace ricordarlo anche da un punto di vista umano, persona gentile, discreta e disponibile e, insieme a Silvia, dotato di una grande profondità di riflessione: i suoi lavori, il suo modo di operare, lasciava trasparire sempre una profonda preparazione e riflessione riguardo agli eventi che fotografava. È questo aspetto del suo modus operandi che probabilmente ha fatto diventare alcuni suoi lavori molto significativi nella storia della documentazione fotografica di eventi musicali e performativi.
Al proposito voglio citare alcuni stralci di una riflessione, intitolata Fotografia e arti performative che Roberto e Silvia mi avevano fornito per la pubblicazione sul numero 2 della rivista FC▪FOTOGRAFIA E[È] CULTURA (2019).
«[…] L’osservazione incrociata tra le arti comporta frequentazione e conoscenza, molta curiosità, un’idea disinibita e non propriamente convenzionale di elaborazione e costruzione della memoria. Esprime una concezione allargata di cultura che è allo stesso tempo visione d’assieme delle culture, non solo visive quindi, rispettose l’una delle altre, con un grado di flessibilità che porta a un tutto da considerare e assorbire, da elaborare. Il fenomeno va interpretato e rimeditato, lo si fa troppo poco a nostro avviso e non si fanno passi avanti nell’accoglimento pieno di una larga fetta di rappresentazione fotografica rivolta alle altre arti e di interpretazione, oltre che di documentazione, quella con il valore più alto di significato. […] Eppure si parte sempre dal sottolineare il paradosso consistente per il fotografo nel rivolgersi alla musica o alla danza; è un ossimoro, si dice, attenzione, la fotografia è muta. Come se l’offrirsi silenziosa (ma lo sarà poi totalmente?) non possa in alcun modo evocare il suono presente nella situazione ripresa. Si evidenzia contemporaneamente la contraddizione tra staticità dell’attimo fissato e il fatto che, per fare un esempio, la danza sia un’arte del movimento. Non sarebbe più saggio concludere che la situazione è più complessa? […] Non è un caso che fin qui si sia usata spesso la parola osservazione che si associa a un tempo specifico, a una modalità di visione che segue con concentrazione ciò che accade. È una successione di momenti, di considerazioni, che fotograficamente parlando confluiscono in attimi portando inevitabilmente con sé la storia e la dinamica del momento di cui l’attimo è un frammento. L’intensità, l’espressività, la forza gestuale e sonora dell’attimo sono inesorabilmente associate, congiunte, con quelle del momento e ne rappresentano e ne mantengono la memoria tramite la capacità di evocare, di rimandare ad altro. Non necessariamente limite quindi, ma libera espressione di uno sguardo creativo che osserva e dialoga con altre arti. La terminologia musicale viene del resto in soccorso alla considerazione critica, anche troppo enfaticamente e banalmente, e così le mute fotografie parlano, divengono sonore, musicali, armoniose, melodiose, cantano, sono partiture. Noi, più linearmente, amiamo dire che fotografiamo musicisti, danzatori e, a seguire, tutta una serie di artisti dello spettacolo, non fotografiamo la Musica o la Danza, queste no rimangono astratte e imprendibili. Non lontane però, caso mai il contrario.»
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Nato nel 1950 nel Salento, Pio Tarantini ha compiuto studi classici a Lecce e poi Scienze Politiche all’Università Statale di Milano, dove vive dal 1973. Esponente della fotografia italiana contemporanea in quanto autore e studioso ha realizzato in quasi cinquanta anni un corpus molto ricco di lavori fotografici esposti in molte sedi italiane pubbliche e private.
La sua ricerca di fotografo eclettico si è estesa in diversi ambiti, superando i vecchi schemi dei generi fotografici a partire dal reportage, al paesaggio, al concettuale… Leggi tutto
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