Ruota, ruota, ruota, gira, gira, gira, danza, danza, danza.
Chi sei, dove sei? Con quegli occhi chiusi, la testa inclinata abbandonata al suono, con quelle mani aggraziate che formano un cerchio come le pieghe della veste bianca, morbida. Non sei sola. Dalla trasparenza del giacchino si intravedono sagome con le stesse vesti bianche dietro a te.
Si perché tu sei una lei, i lineamenti lo confermano, anziché essere un uomo come siamo abituati a vedere nelle danze dei dervisci turchi riconoscibili per quel berretto di feltro a forma allungata. Sei donna e probabilmente anche quelle insieme a te sono donne.
Chi siete? Cosa fate?
L’immagine è di una grande, seria professionista della fotografia: Valeria Gradizzi. La fotografia fa parte di un suo progetto a lungo termine sul sufismo e sulle donne nel mondo.
Un progetto impegnativo che solamente chi indaga l’anima degli uomini, delle donne può affrontare. Valeria grazie alla sua tempra solida, indomabile ha saputo raccogliere, dal suo maestro Ivo Saglietti, e farlo suo, quel modo di guardare che nasce prima dal modo di sentire lo stato d’animo delle persone e di avvertire la ragione per cui si è di fronte a quella situazione. La sensibilità si acquisisce per l’intensa voglia di conoscere, capire, scoprire, osare attraverso la lettura, gli interrogativi, le conversazioni, i viaggi per essere lì vedere, cogliere, intuire, chiedere.
Il suo progetto sul sufismo non è facile da raccontare ma ci provo per quella spontanea attrazione che provo verso il mistero, la dolcezza, la poesia, la complessità.
Il progetto che si intitola “al-batin / the-hidden” è sulle donne musulmane che praticano il sufi. Donne obbligate a nascondersi a causa di leggi discriminatorie nei loro confronti, invisibili al mondo islamico che crede il sufismo femminile illegittimo. È così che vivono le donne all’interno dell’islam mistico, conducendo una rivoluzione silenziosa e senza armi, tutta al femminile.
Necessario precisare che il sufismo è una pratica spirituale di origine islamica, una strada da percorrere per raggiungere la completa fusione dell’individuo con la sostanza universale. Entrare nella dimensione mistica, spiega Giuseppe Scattolin, tra i massimi studiosi di sufismo, significa “prendere sul serio l’aspirazione fondamentale dell’umano verso l’Assoluto, verificarla nel proprio esistere quotidiano, scommettere su di essa la propria vita”. “Mistico” perciò non è qualcosa di irreale o immaginario, ma ciò che è nascosto nel profondo dell’essere umano – dal greco myô, che significa “velare gli occhi, tener nascosto un segreto”. Il sufi perciò è un pellegrino che ha fatto della ricerca di Dio lo scopo ultimo della sua vita. Fondamentale sapere che il sufismo è stato accettato dall’Islam dopo complicate e violente vicende ponendo però una serie di ferme regole da rispettare. Una di queste regole è che le donne, non possono danzare.
Perché Valeria è stata attratta da questa storia? “Io negli anni ho perso tante persone care e la maggioranza è femminile. Forse per aiutare me stessa ho pensato di fare un lavoro fotografico. Ho iniziato mettendo su Google le parole delle donne che non erano più con me, di alcuni luoghi per vedere cosa usciva, se appariva uno spunto che mi evitasse di creare uno stereotipato album dei ricordi. Così mentre facevo questa operazione mi appaiono alcune parole di una scrittrice a antropologa iraniana Sara Hejazi, oggi collaboratrice della Fondazione Bruno Kessler di Trento e ho pensato che quello poteva essere la mia storia fotografica”.
Ma come si fa a fotografare chi è nascosto e non si può vedere? E come fa una donna che non è musulmana entrare in uno spazio rigorosamente musulmano? E dove?
“Donne che sono obbligate a nascondersi, donne che devono avere coraggio per pregare! mi sembrava allucinante. D’altra parte solamente una donna poteva farlo. E così vado in Iran e poi in Turchia tra il 2017 e il 2018”.
Valeria Gradizzi parte per l’Iran senza sapere dove andare e come donna europea consapevole di avere mille limitazioni come l’abbigliamento, la guida e molte altre. Obbligata a prendere un fixer inizia a girare per trovare le donne sufi “Io non sono musulmana prima grande difficoltà ed inoltre pretendere di entrare quando loro lo fanno di nascosto, seconda grande difficoltà.” Sembra un racconto tratto da un romanzo eppure questa temeraria fotografa si comporta proprio così. Rimane un mese in Iran e la sua caparbietà è stata premiata quando ad una cena di persone fidate svela la vera ragione del suo errare per l’Iran. “È stato un tuffo per il mio cuore sentire che la padrona di casa poteva sapere dove alcune donne si trovavano per fare sufi. Ho atteso due giorni per una conferma del gruppo di poter riprendere la loro danza. Ho aspettato altri due giorni prima che mi venissero a prendere e mi portassero in un paesino a me ancora oggi sconosciuto per essere lasciata lì vicino ad un palo. Qualcuno è venuto a prendermi e mi ha fatto entrare. Ci troviamo nel Kurdistan iraniano.”
Così Valeria spiega ciò che ha visto: “Sono sufi, dervisce, donne che provano a cambiare la loro vita spirituale, mettendo in primo piano il cuore, per seguire liberamente la filosofia islamica ispirata dall’amore. Il loro è un cammino ascetico che si affronta a passo di danza, vorticando in spirali che travolgono i sensi fino al superamento dello stato naturale, aprendo alla contemplazione…. Illuminate dall’amore per Allah si riuniscono per danzare una preghiera estatica, per tracciare con il loro corpo quelle linee circolari che spingono l’anima verso la commistione con l’universo intero, dove non esistono limiti, restrizioni, differenze, raggiungendo così una sorta di trance, unico stato che permarrà loro di sentirsi il più vicine possibile al loro amato.” “Sono contro la legge, contro la morale, contro la società; in una parola, donne.” Il titolo del progetto Allah Al-Batin è un riferimento ad uno dei 99 significati di Allah: Dio il nascosto, Dio l’invisibile.
Valeria è riuscita a vincere l’inquietudine calma e misteriosa che la mette in allarme lasciandosi condurre dal profumo di melograno e di tè nell’aria tiepida e silenziosa delle case.
“Mi lascio avvolgere dalla serenità e dalla complicità del momento. Sono tra di loro e con loro, finalmente, e mi rendo conto delle distanze, dei secoli che ci separano e ci uniscono. Dalle strofe meravigliose di Hafez, il poeta più amato, dal Mani fino a Abu al Walid, per noi Averroè, colui che salvò Aristotele dai roghi di Isabella la Cattolica. Poi, sottovoce, tutto inizia e io mi sento estranea, perduta e un po’ spaventata. Piano piano mi avvicino alla sacralità del momento. La macchina fotografica mi pesa. Vorrei essere nel cerchio tra di loro ma è solo un attimo e mi rendo conto che la mia danza saranno le immagini”.
Allora Allah chiese a Mosè:
“ Perché non consentire ad ogni uomo di lodarmi a modo suo?”
All’Iran è seguita la Turchia con le stesse difficoltà. Ad Istanbul di tre gruppi femminili solamente uno l’ha accettata. Poi l’impresa di continuare sembrava irrealizzabile e così la preziosa essenza di quel mondo che mai nessuno prima d’ora era riuscito a scoprire si è concluso con quindici meravigliose immagini.
Valeria si interroga “Non c’è forse qualcosa di mistico nelle fotografie? Non c’è forse un legame forte tra foto e meditazione?”. Lasciamo sospese queste domande alle quali ognuno potrà rispondere sull’esperienza che ha con questo meraviglioso linguaggio che ogni volta mi sorprende come una bambina per sapere, sentire, abbandonare il proprio cuore verso confini sconosciuti.
Un linguaggio che Valeria Gradizzi ha imparato perché ne ha saputo cogliere l’opportunità dal suo maestro Ivo Saglietti con il quale ha viaggiato negli ultimi dodici anni. La sua voglia di apprendere e di trovare un suo linguaggio l’ha portata ad osservare e ad ascoltare con umiltà. Valeria dice di conoscere meglio le strade dei Balcani di quelle di Verona e conoscendo Ivo posso proprio pensare che sia vero. È stato forse avere un maestro come lui che l’ha portata ad affrontare un progetto come questo: viaggiando, chiedendo, sperando, disperandosi, esultando e stancandosi. Avrei ancora molto da chiederle ma prima assaporiamo bene le sue immagini e rimaniamo in attesa delle future novità.
Ritorniamo alla nostra immagine, alziamoci e lentamente giriamo, giriamo con gli occhi chiusi come quando si è piccoli nell’infantile girotondo protesi ad una dimensione che desidera solamente essere spirito e non materia. “Anche l’Anima, se vuole conoscere se stessa, dovrà guardare nell’Anima” (Dialogo tra Socrate e Alcibiade).
©Valeria Gradizzi Danza Sufi, Turchia Istanbul 2018
Valeria Gradizzi
Biografia
Nata a Verona nel 1979, ha studiato Fotografia seguendo workshop con diversi fotografi tra i quali Giovanni Umicini, Christopher Anderson e Ivo Saglietti. Nel 2014 realizza White Shadow – under the mango tree, racconto fotografico sulla difficile situazione degli albini in africa centrale, esposto durante il Festival Internazionale di Fotografia Photolux di Lucca e a Magazzini Fotografici di Napoli. Nel 2018 viene premiata con una menzione d’onore al 12th Julia Margaret Cameron Award e con la Silver winner al Tokyo International Awards con il progetto Al Batin / The hidden, reportage a lungo termine sulle donne all’interno del misticismo islamico. Un altro premio da ricordare nel 2020 quello della “Segnalazione al premio Donne Fotografe MUSA fotografia”. La sua attenzione è rivolta alla fotografia documentaristica caratterizzata da forti temi sociali. Il progetto “Al-Batin/The-Hidden” è stato esposto nel 2019 a Bottega Immagine – Centro Fotografia – – Milano e nel 2022 a Paratissima Circus – Special Projects a Torino. Attualmente vive e lavora a Verona.
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Contraddizioni
Dal 2015 mi dedico attivamente al progetto ArtPhotò con cui propongo, organizzo e curo eventi legati al mondo della fotografia intesa come linguaggio di comunicazione, espressione d’arte e occasione di dialogo e incontro. La passione verso la fotografia si unisce ad una ventennale esperienza, prima nel marketing L’Oreal e poi in Lavazza come responsabile della comunicazione, di grandi progetti internazionali: dalla nascita della campagna pubblicitaria Paradiso di Lavazza nel 1995 alla progettazione, gestione e divulgazione delle edizioni dei calendari in bianco e nero con i più autorevoli fotografi della scena mondiale fra cui Helmut Newton, Ferdinando Scianna, Albert Watson, Ellen von Hunwerth, Marino Parisotto, Elliott Erwitt e i più famosi fotografi dell’agenzia Magnum.
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