Perché fotografare le statue di un incappucciato e di una suora? Perché fotografarle non come oggetti dal classico sapore di still life ma quasi assomiglianti a veri esseri umani che avanzano verso di noi come in un primo piano carico di interrogativi? Netto il contorno di queste figure scure che risaltano sullo sfondo luminoso di una apparente sottile tenda di plastica che scivola su una grande vetrata. Sullo sfondo si intravedono: una barra verniciata e usurata, la parte alta dello schienale di una sedia con qualcosa appoggiato sopra, la testa di un’altra più piccola statua che potrebbe ricordare una Madonna. La donna, suora o Santa, mostra appoggiata alla mano destra una scultura tonda che ricorda una corona di spine, come quella di Gesù e al suo interno un cuore con una croce. Anche il cuore rimanda ad uno dei tanti simboli votivi che si trovano in alcune chiese.
L’immagine è tratta dal libro “Hospitalia. O sul significato della cura” di Elena Franco con questa didascalia: “Museo dell’ospedale di Notre Dame à La Rose. Lessines, 2015. I membri delle confraternite laicali indossavano copricapi che nascondevano completamente il volto, lasciando scoperti soltanto gli occhi, perché chi beneficiava della carità non si sentisse in debito verso chi lo aiutava disinteressatamente”. La foto è stata scattata all’interno di una stanza dietro ad un organo dove sono conservate diverse statue che appartenevano all’antico ospedale di Lessines oggi diventato museo di se stesso.
Arrivare ai membri delle confraternite fa parte di un progetto autoriale di Elena Franco, un’acuta architetta e una fotografa attivista, sugli antichi ospedali. Il libro da cui ho tratto l’immagine si intitola “Hospitalia. O sul significato della cura” al quale è seguito una seconda edizione intitolata “Ars Curandi”. Incantevole e premiante è l’attenzione di Elena Franco sul concetto di cura iniziando a guardare con il naso all’insù gli splendidi edifici, un tempo antichi ospedali, in giro per l’Italia e in parte in Europa: Lione, Arles, Vercelli, Torino, Parigi, Siena e così via. Poi la sensibilità e la curiosità a conoscere meglio quei luoghi hanno spinto Elena ad inoltrarsi nei corridoi, nelle stanze, nei magazzini, negli archivi. Ecco allora che il progetto negli anni prende forma restituendoci luoghi abbandonati, altri ristrutturati e dedicati ad altre funzioni e ancora ad alcuni che hanno restituito valore alla memoria creando dei musei in grado di auto mantenersi. Quanto impegno su questa intuizione, verrebbe da dire visionaria, che oggi riletta nella tragedia della pandemia mostra tutta la sua carica anticipatrice. Un lavoro di indagine fotografica sugli antichi ospedali e luoghi di cura, percorso attraverso gli archivi, il patrimonio artistico, la secolare catena della filantropia, i paesaggi della cura, creati per accogliere chi era malato e bisognoso. Un progetto di ricerca artistica con cui poter ragionare dell’umanizzazione della cura e della sua progressiva, silenziosa eclisse, partendo dalla storia. Elena Franco, è un’autrice riflessiva e perseverante che vive la fotografia come medium di indagine e come strumento culturale dell’epoca contemporanea.
La ricerca sugli antichi ospedali europei è un lavoro in cui si intrecciano documentazione, indagine storica e indicazioni per nuove progettualità. Una ricerca avviata nel 2012 sul patrimonio edilizio ospedaliero che va dal Medioevo all’Ottocento inoltrato sia italiano che europeo. È proprio lei che dichiara: “Credo che la mia fotografia possa essere definita autoriale, perché indipendente, frutto di progetti personali di ricerca, ma anche capace di far emergere temi significativi in relazione alla nostra storia, di costruire un racconto e di stimolare azioni progettuali più consapevoli“.
Ars Curandi ritengo sia un titolo illuminante quanto il suo progetto e traggo dall’introduzione del libro “Gli antichi complessi ospedalieri di Beaune in Francia, Lessines in Belgio e Siena in Italia sono accomunati da una storia che ha le proprie radici nel Medioevo e che testimonia come cura e accoglienza siano, da sempre, uno dei pilastri su cui si fonda la civiltà europea. Luoghi di scienza e di pensiero, città nelle città, sono stati centri di innovazione, ma anche di solidarietà, di cui hanno perfezionato i meccanismi. Raccontano la storia delle donne e degli uomini che, nel corso dei secoli, si sono impegnati per stare accanto ai più fragili, a coloro che soffrono, dando loro un sostegno materiale, spirituale e preoccupandosi della salute dei singoli individui e della collettività. Sono luoghi in cui l’arte ha sempre avuto un ruolo centrale nel processo di cura, che metteva al centro la persona nella sua interezza di corpo e spirito. Quando, alla fine del XX secolo, l’evoluzione della scienza medica ha reso impossibile mantenere la funzione ospedaliera in questi edifici, è stata scelta per essi una funzione comunitaria e culturale“.
Ritorniamo ai membri delle confraternite e alla didascalia che in questo periodo natalizio dovrebbe invitare ad aiutare senza essere visti, a mettere il cuore nelle mani degli altri, ad una preghiera affinché arte e cura si nutrano di “sana” speranza. “Beneficiare della carità e non sentirsi in debito verso chi lo aiutava disinteressatamente” fa riflettere, molto.
E forse anche il testo scritto allora per il libro Hospitalia (edizione Artema, 2017) assume oggi un nuovo significato: “Indagare, approfondire per tornare indietro e capire. Capire la storia e capire se stessi. La fotografia di Elena Franco coltiva la semplicità di uno sguardo libero, assente da infrastrutture, sereno di fronte all’obiettivo. I dubbi sono dentro di lei e incessantemente operano per comprendere il senso della vita.
Quella vita che l’ospedale raccoglie quando, sospesa, si affaccia a cercare riparo, conforto, aiuto….La parola che oggi sembra sconcertare maggiormente la contemporaneità è: semplicità. Guardare un’immagine che traduce un luogo com’è: senza finzione, senza storture, senza invenzioni, senza mossi o luci da effetti speciali. Eccola la fotografia che rivela l’oggettivo, che non va alla ricerca di forme artistiche elaborate, che non è consenziente al mercato dell’arte se non per la sua autorialità. E, nella sua indipendenza, Elena ha potuto realizzare ciò che si era imposta di fare: una ricerca approfondita, un’indagine di valore scientifico ma comunicata con la sensibilità dell’artista.
Le sue fotografie raccontano con garbo e delicatezza un mondo vicino ma mai così lontano per la profondità a cui rimanda dentro di noi. Guardarle aiuta a sciogliere i nodi, affascina e porta a interrogarci su come desideriamo che sia il nostro di sguardo, la nostra vita e, soprattutto, noi stessi.”
Elena Franco Biografia
L’autrice (1973) è architetto e fotografa. Si occupa di urbanistica e rigenerazione urbana ed è autrice di articoli e saggi sulle tematiche di sua competenza. Collabora con Il Giornale dell’Architettura. La sua ricerca fotografica principale Hospitalia. O sul significato della cura, sugli antichi ospedali e gli archivi e paesaggi che curano, è stata oggetto di numerose esposizioni, accompagnate da conferenze e laboratori ispirati dal suo lavoro. Grazie alla sua attività, numerosi progetti di valorizzazione e messa in rete di siti ospedalieri storici in Europa sono in corso. Hospitalia è anche un libro edito da ARTEMA nel 2017 e tradotto in inglese nel 2019. Recentemente ha pubblicato Ars Curandi (ARTEMA 2021), approfondimento visivo su tre ex ospedali di origine medievale, ora musei: Notre Dame à la Rose di Lessines in Belgio, Hospices di Beaune in Francia e Santa Maria della Scala di Siena. Le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero.
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Contraddizioni
Dal 2015 mi dedico attivamente al progetto ArtPhotò con cui propongo, organizzo e curo eventi legati al mondo della fotografia intesa come linguaggio di comunicazione, espressione d’arte e occasione di dialogo e incontro. La passione verso la fotografia si unisce ad una ventennale esperienza, prima nel marketing L’Oreal e poi in Lavazza come responsabile della comunicazione, di grandi progetti internazionali: dalla nascita della campagna pubblicitaria Paradiso di Lavazza nel 1995 alla progettazione, gestione e divulgazione delle edizioni dei calendari in bianco e nero con i più autorevoli fotografi della scena mondiale fra cui Helmut Newton, Ferdinando Scianna, Albert Watson, Ellen von Hunwerth, Marino Parisotto, Elliott Erwitt e i più famosi fotografi dell’agenzia Magnum.
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