Intrigante, molto intrigante. Un bel tavolino apparecchiato ai margini di un bosco. Un bosco o un tromp d’oeil? Intorno al tavolo tre uomini vestiti con stile. Il più âgé accarezza il collo della donna con la testa reclinata sul grande cuscino e il braccio rilassato sul fianco sembra abbandonata a ricevere un bacio. La giovane ragazza di fronte sorride gioiosamente e pure lei con il seno scoperto.
Un apparente semplice déjeuner sur l’herbe! Classico se non fosse per la naturale posa delle donne a seno nudo e per l’ammiccante occhiata del giovane uomo con il berretto sul capo. Siamo nel 1937 e quasi sicuramente l’autrice della fotografia Lee Miller faceva parte della giovane compagnia nel “picnic all’isola di Santa Margherita a Cannes in Francia”. Le chiome degli alberi sembrano nuvole se non fosse per i tronchi così ben disegnati dalla luce che filtra da un cielo appena percettibile e che rende splendenti i piatti ormai vuoti dal cibo in attesa di un nuovo set.
Una scena che procura buon umore e restituisce un senso di semplice libertà. Mi fa ricordare una frase di Leonardo Sciascia “la fotografia è la forma per eccellenza: colta in un attimo del suo fluido significare, del suo non consistere, la vita improvvisamente e per sempre si ferma, si raggela, assume consistenza identità significato. È una forma che dice il passato, conferisce significato al presente, predice l’avvenire”. Chi non ha fatto un pic nic nella vita? Chi non ha mai apprezzato il gusto del cibo, anche di un semplice panino, circondato dalla natura?
“Lee Miller penso fosse impossibile non amarla – come sosteneva Kate Winslet – per la sua perenne inquietudine a costruirsi il proprio destino, incapace di attendere che le cose capitassero perché era lei a fare in modo che accadessero”. Dalla mostra che ho visto a Torino alla Palazzina di Caccia di Stupinigi e che si conclude tra poco, il 7 gennaio 2024, dal libro “Le molte vite di Lee Miller” e dal libro “Lee Miller. Fotografie” di Antony Penrose ho percepito una donna amante della libertà. Molto è stato scritto su di lei come “donna dal carattere indomito, modella di straordinaria bellezza, impavida corrispondente di guerra, fotografa di eccelsa bravura” ma quello che ritengo dalle sue immagini e dalla sua insaziabile ricerca della vita, nella vita è la libertà.
Così come in questa foto libera di riprendere, senza falsi pudori, senza trucchi fotografici il piacere di stare liberamente insieme. Lei che ha avuto amanti, fidanzati, amici, mariti ha inseguito i tanti confini che spesso nella vita non abbiamo il coraggio di varcare.
A poco più di vent’anni dichiarò apertamente da quale lato della macchina preferisse stare, lei modella ammiratissima di Vogue, : È meglio scattare una foto che essere una foto.
“Forse fu proprio perché ricordava la sensazione di essere un muto oggetto dello sguardo maschile – come cita sempre Kate Winslet – che interagì in modo vivace con le donne mentre le ritraeva: spesso le vediamo sorridere dietro le lenti dell’obiettivo. Cresciuta sotto lo sguardo altrui, Lee aveva imparato a guardare gli altri.” Come in questa immagine.
Inseguiva però disperatamente se stessa nei tanti luoghi e nelle tante situazioni vissute. Nessun condizionamento se non quello di cedere all’alcool – soprattutto negli ultimi anni della sua vita –forse devastata dal tanto guardare il profondo pozzo dentro a lei stessa.
Ci ha lasciato fotografie sorprendenti se pur questa del Pic Nic ha per me il fascino della libertà. Esplode così la voglia di essere dentro a quella immagine con delle scarpette un telo avvolto alla vita il dorso nudo baciato dal sole …. forse per accogliere libera e sorridente il nuovo enigmatico anno.
@Lee Miller Pic Nic Ile Sainte Marguerite, Cannes, France 1937 dal libro “Lee Miller Fotografie” Antony Penrose ED. L’Ippocampo
BIOGRAFIA
Lanciata da Condé Nast, sulla copertina di Vogue nel 1927, Lee Miller fin da subito diventa una delle modelle più apprezzate e richieste dalle riviste di moda dei tempi. Molti i fotografi che la ritraggono – Edward Steichen, George Hoyningen-Huene, Arnold Genthe – e innumerevoli i servizi fotografici di cui è stata protagonista. Fino a quanto, due anni più tardi, decide di passare dall’altra parte dell’obiettivo. Donna caparbia e intraprendente, rimane colpita profondamente dalle immagini del fotografo più importante dell’epoca, Man Ray, che riesce ad incontrare diventandone modella e musa ispiratrice. Ma, cosa più importante, instaura con lui un duraturo sodalizio artistico e professionale che assieme li porterà a sviluppare la tecnica della solarizzazione. Amica di Picasso, di Ernst, Cocteau, Mirò e di tutta la cerchia dei surrealisti, la Miller in questi anni apre a Parigi il suo primo studio diventando nota come ritrattista e fotografa di moda, anche se il nucleo più importante di opere in questo periodo è rappresentato dalle immagini surrealiste, molte delle quali erroneamente attribuite a Man Ray. A questo corpus appartengono le celebri Nude bent forward, Condom e Tanja Ramm under a bell jar, opere presenti in mostra, accanto ad altri celebri scatti che mostrano appieno come il percorso artistico di Lee Miller sia stato, non solo autonomo, ma tecnicamente maturo e concettualmente sofisticato. Dopo questa prima parentesi formativa, nel 1932 Miller decide di tornare a New York per aprire un nuovo studio fotografico che, nonostante il successo, chiude due anni più tardi quando decide di seguire al Cairo il marito, il ricco uomo d’affari egiziano Aziz Eloui Bey.
Intraprende lunghi viaggi nel deserto e fotografa villaggi e rovine, iniziando a confrontarsi con la fotografia di reportage, un genere che Lee Miller porta avanti anche negli anni successivi quando, insieme a Roland Penrose – l’artista surrealista che sarebbe diventato il suo secondo marito – viaggia sia nel sud che nell’est europeo. Poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nel 1939, lascia l’Egitto per trasferirsi a Londra e, ignorando gli ordini dall’ambasciata americana di tornare in patria, inizia a lavorare come fotografa freelance per “Vogue”. Il suo contributo più importante arriva nel 1944 quando è corrispondente accreditata al seguito delle truppe americane e collaboratrice del fotografo David E. Scherman per le riviste “Life” e “Time”. E’ lei l’unica fotografa donna a seguire gli alleati durante il D-Day, a documentare le attività al fronte e durante la liberazione. Le sue fotografie ci testimoniano in modo vivido e mai didascalico l’assedio di St. Malo, la Liberazione di Parigi, i combattimenti in Lussemburgo e in Alsazia e la liberazione dei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald. È proprio in questi giorni febbrili che viene fatta la scoperta degli appartamenti di Hitler a Monaco di Baviera ed è qui che scatta quella che probabilmente è la sua fotografia più celebre, presente in mostra: l’autoritratto nella vasca da bagno del Führer. Dopo la guerra Lee Miller continua a scattare per “Vogue” per altri due anni, occupandosi di moda e life style, ma lo stress post traumatico riportato in seguito alla permanenza al fronte contribuisce al suo lento ritirarsi dalla scena artistica, anche se il suo apporto alle biografie scritte da Penrose su Picasso, Mirò, Man Ray e Tapies è stato fondamentale, sia come apparato fotografico che aneddotico.
Non espose fotografie fino al 1955, anno in cui le sue opere vennero esibite nella mostra The Family of Man presso il Museum of Modern Art di New York. Dopo essere tornata in Gran Bretagna dall’Europa centrale, Miller iniziò a soffrire di severi disturbi depressivi e di ciò che in seguito sarà noto come disturbo post traumatico da stress. Iniziò ad eccedere con l’alcol e dimostrò incertezza nei confronti del proprio futuro. Nel 1946 fece visita a Man Ray in California insieme a Penrose. Quando si accorse di aspettare un bambino, chiese il divorzio dal marito egiziano e sposò Roland Penrose il 3 maggio 1947. Il suo unico figlio, Antony, nacque nel mese di settembre del 1947. Mentre Miller continuava occasionalmente a scattare foto per Vogue, era conosciuta soprattutto come Lady Penrose e presto alla camera oscura preferì la cucina, trasformandosi in cuoca apprezzata. Fotografò anche Picasso e Antoni Tàpies per le biografie che Roland scrisse su di loro. Le immagini della guerra, specialmente quelle dei campi di concentramento, continuavano a tormentarla e il suo stato depressivo peggiorò. Negli anni quaranta e cinquanta Lee fu indagata dal servizio di sicurezza britannico MI5 perché sospettata di spionaggio per conto dell’Unione Sovietica. Lee Miller morì di cancro nel 1977 presso la Farley Farm all’età di 70 anni. Venne cremata e le sue ceneri sparse nel suo giardino.
Tutte le informazioni sulla mostra a Torino alla Palazzina di Caccia di Stupinigi sul sito www.mostraleemiller.it
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Dal 2015 mi dedico attivamente al progetto ArtPhotò con cui propongo, organizzo e curo eventi legati al mondo della fotografia intesa come linguaggio di comunicazione, espressione d’arte e occasione di dialogo e incontro. La passione verso la fotografia si unisce ad una ventennale esperienza, prima nel marketing L’Oreal e poi in Lavazza come responsabile della comunicazione, di grandi progetti internazionali: dalla nascita della campagna pubblicitaria Paradiso di Lavazza nel 1995 alla progettazione, gestione e divulgazione delle edizioni dei calendari in bianco e nero con i più autorevoli fotografi della scena mondiale fra cui Helmut Newton, Ferdinando Scianna, Albert Watson, Ellen von Hunwerth, Marino Parisotto, Elliott Erwitt e i più famosi fotografi dell’agenzia Magnum.
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