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Miti

di Tiziana Bonomo

©Steve Schapiro David Bowie mentre si appoggia al manubrio di una moto con il faro acceso, Los Angeles, California, 1975

Sarà per quello sguardo sempre altrove sarà il mito che lo accompagna o forse sarà semplicemente per il suo volto così intenso carico di sensualità e unicità che sembra strano non fermarsi davanti a questa immagine e guardarla a lungo.

Alcuni uomini come David Bowie così come alcune donne come Lee Miller per la loro perenne irrequietezza e la camaleontica capacità di trasformarsi e vivere tante vite diverse hanno sempre manifestato un fascino sorprendente …. surreale! Steve Schapiro è rimasto stregato da Bowie sin dal primo incontro nel 1974 a Los Angeles. E proprio Schapiro – già considerato uno dei maggiori fotografi dell’epoca – accompagna Bowie nella sua nuova avventura americana.

Cosa vediamo in questa iconica foto anni ’70?  Un cantante già famoso e affermato seduto su una moto bardato da vero motociclista. I colori, la posa, la tecnica fotografica appartengono a quei mitici anni che hanno sfidato la retorica dello stile, della musica, del perbenismo, delle convenzioni che avevano dettato legge fino a poco tempo prima. Il cinema, la moda, la musica sentivano l’esigenza di novità di nuovi idoli fuori dagli schemi di figure insolite per creare copertine mozzafiato e riempire le stanze dei giovani con poster da sogno.

Ebbene sì questa è proprio una foto da sogno. La moto non evoca forse potenza, viaggio, velocità, avventura. La posa magistralmente studiata anche se apparentemente naturale: sembra di sentire Shapiro che dice a Bowie “dai girati guardami, che scatto!”. Il look sorprendente come lo sono stati tutti quelli di David Bowie! E questa fotografia notturna con la mano inguantata sul faro anteriore che sembra coprire una luna veggente di segreti. Copre il bagliore che avrebbe accecato il suo ritratto. L’abbigliamento urla che questa è vera moda, dalla giacca ai guanti traforati, agli occhiali con la montatura ricercata da vero guru dello stile dell’epoca. E poi la luce gialla che crea quei riflessi aranciati che pervadono ogni singolo dettaglio. Bowie ha appreso da Lindsay Kemp il linguaggio del corpo: “ho imparato a controllare ogni gesto, a caricare di intensità drammatica ogni movimento; ho imparato insomma a stare su un palco”. Aggiungerei non solamente sul palco ma in qualsiasi situazione anche in posa su una motocicletta.

Every chance that I take I take it on the road
Those kilometres and the red lights I was always looking left and right
Oh, but I’m always crashing in the same car (“Always Crashing In The Same Car”)

Eppure lui emerge come un dio pagano che tutti già conoscono: cantante, attore, cantautore, mimo, genio visionario. Impossibile non pensare – benché le foto siano silenti –alla sua voce, alla sua musica, al suo modo di cantare. Ecco allora che questa foto si carica di tutto ciò che un idolo, un’icona riesce a fare: a far sognare, a far pensare che tutto è possibile per quella carica di adrenalina così potente che riesce a trasferire. David Bowie, pseudonimo di David Robert Jones, nel corso degli anni non ha perso né il suo fascino iconico né la curiosità musicale, sperimentando generi che sono passati dal rock all’ambient, passando per il soul e il pop. Il suo punto di forza è sempre stato quello di essere forma e sostanza, trasformista nell’aspetto e nel suono dando egual peso all’uno e all’altro cambiamento. Un mito ha in sé qualcosa fuori dal comune, che osa sfidare le regole con quella parte di incoscienza che appartiene solamente alle menti libere da convenzioni e pregiudizi. Bowie d’altronde matura un’estetica che ha nell’ambiguità e nel trasformismo le armi più affilate.

Al mio amico Andrea, un fan senza limiti di Bowie, ho chiesto con curiosità il perché del suo innamoramento verso David e lui mi ha risposto: “Ne hanno parlato talmente tanto perché è un genio, un grande genio creativo del secolo passato. Ha anticipato con la sua musica le tendenze musicali che poi si sono confermate tali e la genialità sta nel fatto che la sua musica ancora oggi è attuale. Come Mozart anche tra 300 anni si ascolteranno concerti di Bowie. Ha iniziato come mimo, pittore, cantante, attore anticipando i tempi con il suo stile. Tra tanti suoni mi aveva colpito la canzone Starman esibita a “Pop of the top” e a un cero punto con questa tuta pazzesca guarda la telecamera e ammicca. Ecco quel gesto lo fa entrare nel mitico regno delle star. Io ho una fotografia di Bowie, non di Schapiro, ma del fotografo giapponese Masayoshi Sukita di quando lui si veste di nero lucido di lattex… quella della copertina di Heros! Non l’originale ma una serie proposta in vendita durante un’altra fantastica mostra su Bowie di qualche anno fa”. Nonostante non parlasse inglese, Sukita strinse immediatamente una fortissima amicizia con Bowie e già dal 1973 divenne figura onnipresente durante i viaggi del Duca Bianco in terra nipponica. 

È determinante creare una relazione di fiducia tra un personaggio star e un fotografo. Credo sia un elemento indispensabile per riuscire a generare immagini iconiche. Anche Schapiro è stato tra i fotografi che più lo hanno seguito proprio grazie ad uno speciale rapporto che era riuscito ad instaurare con Bowie. Non solo fotografandolo sul set ma anche realizzando gli scatti per le copertine sia di Station to Station, registrato a Los Angeles, sia di Low. Qui David Bowie si era trasferito, dopo il tour promozionale dell’album Diamond Dogs, in Nord America. Proprio in quegli anni, il cantante si avvicina per la prima volta al cinema e fa il suo esordio nel film L’Uomo che Cadde sulla Terra e di cui Schapiro riesce a scattare immagini memorabili. D’altronde è già del 1969 la canzone “Space Oddity” con arrangiamenti sinfonico-psichedelici, la voce di Bowie persa nello spazio, una coda strumentale dissonante: la prima ballata spaziale della storia del rock capostipite di quel filone fantascientifico che diverrà una delle chiavi di volta del suo repertorio.

Ecco che nella foto ritrovo il suo viso elettrizzante, eccitante per la sua sfuggente identità, per la sua statura da grande artista con un atteggiamento sempre al massimo della concentrazione e forse per quel suo lasciarsi andare a pensieri lontani, metafisici. Una bella bocca, un naso affilato eppure affascinante, una chioma invitante al tatto, lineamenti asciutti, regolari quasi femminei. I suoi occhi profondi, intensi, il suo sguardo magnetico mi hanno però sempre fatto pensare a un incredibile surrogato di intrattenibile mascolinità, a tratti vampiresca. Ad un cavaliere degno di una saga ambientata in un regno del freddo Nord. Un cavaliere “caduto sulla terra” così come su una moto ruggente e abbagliante nella foto di Schapiro. È stato anche per un certo periodo il Duca Bianco un essere algido e aristocratico, alienato dalla paranoia urbana e isolato nel suo mondo di musica robotica. 

E come scrisse Schapiro: “Non so perché una fotografia diventi iconica. Non si sa mai quando si scatta una foto iconica. Ci sono molte volte in cui pensavo di aver scattato una foto iconica, ma non lo era. Oppure ci sono state volte in cui ho capito che si trattava di una foto iconica solo quando l’ho vista su una rivista.Una foto per essere iconica deve riuscire a far convivere passato e futuro così come David Bowie è sempre riuscito a fare.

Un artista inquieto e volubile, sempre alla ricerca di nuove sfide, nuovi pianeti da esplorare e con Lee Miller condivide il fremito sempre acceso della libertà passando notti sveglie, fedeli all’imperativo wildiano della “vita come un’opera d’arte”. Stupire, d’altronde, è lo sport preferito di entrambi.

Bowie ha più volte dichiarato: “Sono soltanto la persona che la maggior parte della gente crede che sia” e a me, ad Andrea e a milioni di suoi ammiratori va bene così per riempire le nostre fantasie per poter sognare ad occhi aperti suoni, colori psicadelici, viaggi che ci fanno sentire vivi.

Il rock è la più importante espressione artistica di questo secolo. Ma io amo anche creare i personaggi, la narrativa, gli scenari. Così sono attratto da più direzioni allo stesso tempo, e cercare di tenere tutto in equilibrio nella mia mente è un lavoro maledettamente difficile.”
David Bowie

 

Steve Shapiro

Biografia

Scopre la fotografia all’età di nove anni durante un campo estivo. Eccitato dal potenziale della fotocamera, trascorre i decenni successivi aggirandosi per le strade della sua città natale, New York, cercando di emulare il lavoro del fotografo francese Henri Cartier-Bresson. Dalla pratica dilettantistica passa agli studi al fianco del fotoreporter W. Eugene Smith. Durante gli anni Sessanta, Schapiro affronta attraverso la fotografia temi diversi tra cui la dipendenza da stupefacenti, la Pasqua ad Harlem, i movimenti di protesta politica o la campagna presidenziale di Robert Kennedy. Attivista e documentarista, ha raccontato molte storie relative al movimento per i diritti civili degli afroamericani. Tra queste, la marcia su Washington, le proteste per la registrazione degli elettori e la marcia da Selma a Montgomery. Chiamato dalla rivista Life a Memphis dopo l’assassinio di Martin Luther King Jr, ha prodotto alcune delle immagini più famose di quel tragico evento. Negli anni ‘70 Schapiro sposta la sua attenzione sul cinema, lavorando sul set di film come Il Padrino, Come eravamo, Taxi Driver, Rambo. Ha anche collaborato a progetti con musicisti, come Barbra Streisand, David Bowie e i Velvet Underground, per copertine di dischi e opere d’arte correlate.

La foto è in mostra a Torino. Fino al 26 febbraio è possibile vedere la mostra “David Bowie | Steve Schapiro: America. Sogni. Diritti” di Steve Schapiro all’Archivio di Stato di Torino Sezione Corte in piazzetta Mollino 1.

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