
Questa volta nulla da scoprire. Un’immagine così conosciuta. Eppure la domanda viene spontanea: cosa rende questo ritratto così potente? L’abilità del fotografo o il carisma di Clint Eastwood? In questo caso il fascino di Eastwood potrebbe prevalere sull’abilità del grande fotografo?
Tra l’altro la notizia dell’ultima ora su Il Giornale del 19 aprile c.m. annuncia: “È ufficiale Clint Eastwood torna dietro la macchina da presa a 92 anni. Juror number 2 è il titolo provvisorio del progetto”. Qui dobbiamo però prima di tutto parlare di fotografia, di ritratto, di Eastwood e di Corbijn. Il primo film da attore di Clint Eastwood, Per un pugno di dollari, risale al 1964 e il primo film da regista, Brivido nella notte, uscì nel 1971. Quando la fotografia di Anton è stata scattata nel 1994 circolavano da oltre trent’anni anni immagini, film, storie sul personaggio Eastwood con il suo fascino e carisma.
Cosa cerchiamo nel ritratto di un personaggio che conosciamo? Cosa speriamo di trovare?
In questa immagine ritrovo l’essenza di Clint Eastwood. Guardo il suo ritratto in cui so che un dito è puntato alla telecamera, sfocato nasconde il viso e non importa perché tanto lo immagino così come è interamente perché l’ho visto già tante altre volte.
Questi capelli morbidamente spinosi che insieme alle sopracciglia fanno intravedere un uomo in età matura, sempre affascinante. Gli occhi scoperti sono ridotti a due solchi minimali in cui la pupilla quasi non si distingue tanto è scuro e sottile lo sguardo.
Un braccio allungato verso il fotografo, verso di noi con quella mano che ricorda attenzione. Un braccio e una mano che ricordano una pistola. Clint Eastwood con una pistola in mano si è già visto in tante altre immagini giocando diversi ruoli: da attore western, da poliziotto o altro. Un segno di minaccia. Una minaccia invitante, penetrante, seducente. Lui c’è e non c’è. L’uomo che penso molte donne desiderano ma che nello stesso tempo sanno che un uomo così non lo avranno mai. Il desiderio nascosto nei sogni. Un uomo, un attore, una coscienza. E Anton Corbijn non fa altro se non indagare nel nostro immaginario per vedere ciò che tutti vorremmo vedere: il profeta dei ribelli, degli anticonformisti, degli individualisti.
Come nell’introduzione di Ulf Poschardt del libro 33 Sill Lives (Ed. Schirmel/Mosel del 1999): ”La fotografia per Anton Corbijn ha sempre rappresentato una ricerca dell’opportunità di rottura. Nel fare fotografie, Corbijn ha lottato non solo contro l’inafferrabilità del reale, ma contro l’inafferrabilità del reale all’interno di un senso di delusione creato dal flusso di immagini.” In questo caso però il flusso di immagini su Clint Eastwood può essere stato d’aiuto a renderlo subito riconoscibile, distinguibile e a farsi un’idea su di lui.
Quindi nonostante le innumerevoli immagini sull’attore possiamo guardare questa immagine all’infinito per avere la conferma di non riuscire mai ad afferrare la vera natura di Clint Eastwood: imprendibile. Marylin Monroe con la su bellezza rappresenta sì un mito sì ma nello stesso tempo una donna, una vera donna. Marylin è donna, bellissima, prima ancora che attrice, ballerina etc…
D’altronde se Corbijn “Cercava la bellezza e la verità dell’uomo, ben consapevole che non potevano esistere se non nel regno della percezione emotiva” io ho scelto proprio questa immagine, e non una delle tanto mitiche foto di cantanti che lui ha ritratto, per la semplice ragione che Clint Eastwood travalica la percezione di uomo, attore o regista. Ha una fisicità e degli occhi che potrebbero essere il frutto di un disegno inventato da un illustratore. Sempre più si addice quanto dichiara Roland Barthes sulla fotografia “l’apparenza del sé come altro”. Il braccio teso per tenerti lontano, lo sguardo da duro del western che non lascia trasparire emozioni, la silhouette lo rende quasi immateriale: l’attore, il regista, l’inventore, l’uomo di altri tempi sembra non appartenere alla realtà. Di lui si raccontano tutte storie legate al suo lavoro. Rari gossip se non legati ai nomi dei ruoli che lui ha interpretato, ai film che farà o ha già fatto. Quella luce così magistralmente dosata sul volto scuro, sul bianco della camicia, sul grigio del background, sui suoi lineamenti accentua il ruolo che lui ha sempre giocato: recitare. La contraddizione è che questa recita afferma costantemente la sua virilità seducente. La seduzione lontana dalla bellezza di attori tenebrosi o dalla bellezza classica, retorica e sorniona. La fotografia rivendica attenzione: a dire “fai attenzione”, con me non ci sono ne se e ne ma. Non chiedermi nulla, non ti dirò nulla se non l’essenziale. Questa figura ermetica in un mondo dove tutto è fluido e i tanti personaggi dello spettacolo si ritrovano su copertine urlanti frasi che oltraggiano persino la banalità, ebbene questo ermetismo è quanto di più conturbante si possa desiderare. Ti guardo e so di conoscerti, ti osservo e mantieni la distanza, ti voglio e tante volte ho avvertito la tua presenza. Sei un quadro famoso e in questo ritratto diventi l’icona dell’uomo che non vorrei mai con me ma che vorrei sempre nei miei sogni. Un uomo lontano dalle convenzioni, un saggio di antiche culture, un raccoglitore di esperienze, un seminatore di verità: un uomo con la u maiuscola, tutto d’un pezzo. Senza esitazioni, senza angosce, con tanti dubbi ma solamente per affermare certezze. Da quella fotografia saresti capace di uscire e prendere vita qui vicino alla gente e noi ne sentiremmo il respiro e la voce dei tuoi personaggi così presenti e sfuggenti. Ci sei e poi non ci sei più. Meraviglioso l’uomo che non c’è come l’isola che non c’è a tal punto da doverla inseguire come si insegue l’immortalità.
Nel libro “Star Track” di Anton Corbijn (Ed. Schirmel/Mosel del 1996) Brian Eno nell’introduzione scrive: “Tuttavia, tutti occasionalmente ricadiamo nel pre-post-modernismo e Anton, in un’intervista, ha detto qualcosa del tipo “Ho sempre pensato che il mio compito fosse dire la verità”. Questo crea confusione, perché in realtà sono pochi i bugiardi migliori e più interessanti di lui. La fotocamera mente inevitabilmente, quindi scegliere il tipo di bugia che vuoi raccontare è in realtà l’atto creativo della fotografia. E Anton invita i suoi ‘soggetti’ a prendere parte a quel gioco – a creare qualcosa di nuovo con lui, a lasciarsi andare all’idea che l’immagine mostrerà il vero te, e dire ‘Allora cosa mi piacerebbe essere?’. Questo è liberatorio: alla fine del processo non sembra che la tua anima sia stata rubata, ma che ne hai provate altre. E questo è uno dei giochi centrali della cultura pop. È il gioco che dice “Cos’altro potrei essere?”. Fare questo, ed essere visti mentre lo fanno, è prendere parte al carnevale della vita. È forse la fonte della nostra empatia, perché mettendoci nella mente degli altri iniziamo a capire cosa vuol dire essere un’altra mente”.
Sicuramente Anton Corbijn ha la capacità di trarre dai ritratti espressioni non usuali, e in questa foto emerge tutta la sua maestria di rendere ogni particolare del viso con un tratto di grafia con cui è scritta una imperscrutabile storia personale, rifuggendo dal patinato.
Eppure quando guardiamo la sua fotografia sono più strati che compongono la narrazione di quello che guardiamo: la posa, la luce, il movimento, la fisicità del protagonista come la sua storia che ha sedimentato percezioni misteriose nella nostra immaginazione. L’epica e la retorica sono totalmente assenti dalla figura di Clint come pure dalla fotografia di Anton.
Anton Corbijn
Biografia
Anton Johannes Gerrit Corbijn van Willenswaard, nasce nella piccola cittadina olandese di Strijen nel 1955. Inizia a fotografare all’età di 16 anni, quando riceve in regalo una macchina fotografica. Dopo aver studiato fotografia alla Gerrit Rietveld Academie di Amsterdam, inizia la sua carriera come fotografo freelance, lavorando principalmente per il settimanale musicale olandese Oor. Nel 1979 si trasferisce a Londra dove inizia a lavorare come fotografo per il quotidiano musicale inglese NME e proprio per poter essere “là dove le cose accadono nella musica”, e inizia il percorso che lo porterà, fra le altre cose, ad essere probabilmente il più conosciuto fotografo delle Rockstar, e successivamente anche degli attori. Con gli U2 e con Depeche Mode inizia un sodalizio lunghissimo e tuttora fertile, fatto anche di copertine di dischi estremamente ben riuscite (‘Unforgettable Fire’ degli U2, ad esempio), e l’avventurarsi nel mondo dell’immagine in movimento con i videoclip, di cui alcuni famosissimi, come ‘Personale Jesus’ proprio dei Depeche Mode. Corbijn si è anche dedicato al cinema, dirigendo film come “Control”, biografia sulla vita del cantante dei Joy Division Ian Curtis, e “A Most Wanted Man”, tratto dal romanzo di John le Carré. Corbijn vanta sei film diretti, più di sessanta videoclip, un numero interminabile di copertine che vanno da ‘Rolling Stone’ a ‘GQ’, passando per ‘Vogue’, ‘Cosmopolitan’ e altre. Ha inoltre pubblicato una marea di monografie e portfolio fotografici non necessariamente legati al mondo del Rock o del cinema. Corbijn ha esposto le sue fotografie in numerose mostre in tutto il mondo, e i suoi lavori sono stati pubblicati in diverse riviste e libri fotografici. Nel 2013, gli è stato conferito il premio alla carriera al Rencontres d’Arles Photography Festival in Francia. Oggi, Anton Corbijn è considerato uno dei più influenti fotografi e registi del mondo, e la sua opera è apprezzata sia dai critici che dal grande pubblico.
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Dal 2015 mi dedico attivamente al progetto ArtPhotò con cui propongo, organizzo e curo eventi legati al mondo della fotografia intesa come linguaggio di comunicazione, espressione d’arte e occasione di dialogo e incontro. La passione verso la fotografia si unisce ad una ventennale esperienza, prima nel marketing L’Oreal e poi in Lavazza come responsabile della comunicazione, di grandi progetti internazionali: dalla nascita della campagna pubblicitaria Paradiso di Lavazza nel 1995 alla progettazione, gestione e divulgazione delle edizioni dei calendari in bianco e nero con i più autorevoli fotografi della scena mondiale fra cui Helmut Newton, Ferdinando Scianna, Albert Watson, Ellen von Hunwerth, Marino Parisotto, Elliott Erwitt e i più famosi fotografi dell’agenzia Magnum.
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