fbpx Skip to content

Casa

di Tiziana Bonomo

Appena ho visto questa immagine ho sentito la folata di vento nei miei capelli, ho percepito un vociare nelle altre stanze, ho provato conforto nella stanza spoglia.

Dove siamo, a chi appartiene quella camera, perché un divano e un solo quadro alla parete? Sono lì per caso? Qualcuno ha abbandonato la casa? 

Ho l’impressione che quella stanza mi appartenga proprio per l’assenza di persone, di oggetti. Sono già stata lì ne sono certa, magari non esattamente in quel luogo fotografato ma in luoghi simili vicini a me del mio passato.

Anche per voi questa fotografia appartiene all’inconscio, ad una sensazione che si è depositata lì in fondo all’anima? E quale sensazione? Oppure sentimento?

In quella nudità la stanza diventa corpo come se l’incontro non fosse con un luogo ma con una persona. Sarà l’effetto dell’aria che muove la tenda trasparente fa sembrare che un fantasma sia entrato e stia girando davanti al divano con un triste sguardo e si nasconde nell’ombra per respirare ancora una volta la sua casa, la sua stanza.

Può una fotografia suscitare un simile effetto? Penso di sì quando il fotografo di quello spazio ne cattura la vita e la fa rinascere come un poeta fa con le parole. Non si tratta più di saper guardare ma di saper sentire i luoghi, le vibrazioni, di immaginare la vita di chi è stato lì in quel luogo in quella dimensione.

La foto è Casa di Pier Paolo Pasolini che Piergiorgio Branzi scattò a Casarsa nel 1995, una delle più amate dall’autore. Pubblicata nel libro ‘Il giro dell’occhio‘ (Contrasto) è l’essenza di quell’attenzione per la fotografia intesa come “espressione di comunicazione cosciente” che ha sempre perseguito Branzi.  “Valanghe di larve di immagini che non vengono stampate e si perdono nel nulla, si dimenticano. Viviamo nell’epoca della bulimia, della grande diffusione delle immagini ma della perdita dell’attenzione a leggerle” dice Branzi, fiorentino che venne folgorato sulla strada della fotografia dopo aver visto nel 1952 una mostra di Cartier-Bresson a Palazzo Strozzi.

L’immagine in bianco e nero della stanza spoglia, con il divano alla parete, con il ritratto appeso al muro e la leggerissima tenda che si muove rimanda a Pasolini stesso: poeta dal fisico asciutto essenziale, intellettuale dalle mille ombre e luci, uomo velato da passioni e ragioni, giornalista alla ricerca della vera luce fonte di conoscenza sapienza testimonianza.

Questa foto è un ritratto senza volto di chi ha saputo rendersi immortale per le innumerevoli parti che ha saputo rappresentare. Un uomo dai mille volti il cui frenetico impegno artistico in più campi del sapere esprime la personale volontà di rimanere libero da ogni tipo di definizione. La costante nell’arte di Pasolini è stata il cambiamento, inteso come continua ricerca sperimentale e atteggiamento mai volutamente programmatico riguardo al suo uso della contaminazione tra le varie forme d’arte. 

Ho trovato interessante che l’immagine sia stata inserita nella mostra “Pier Paolo Pasolini – Non mi lascio commuovere dalle fotografie”. Una ricca mostra – conclusa a luglio dello scorso anno allo spazio WeGil di Roma – di 160 immagini divise in varie sezioni per riassumere il controverso rapporto di Pier Paolo Pasolini con la fotografia: mai completamente amata ma spesso usata per costruire o riaffermare il suo personaggio.

Titolo curioso rubato ad una risposta di Pasolini al lettore di una rubrica giornalistica dove si faceva riferimento alla commozione provocata esclusivamente dai fatti realmente vissuti e non attraverso la trasposizione fotografica. Ancora più curiosa risulta una risposta di Pasolini, in un’intervista rilasciata a Italo Zannier, su un numero della rivista Fotografia del 1959: «La fotografia nella vita contemporanea ha una funzione di divulgazione immediata e di aneddotica attuale ed elegante». Altrove affermerà: «Alle fotografie è sufficiente dare un’occhiata. Non le osservo mai più di un istante. In un istante vedo tutto». E lui si è reso disponibile a farsi fotografare sempre come se nell’istante in cui lo si vede si possa percepire il “tutto” di sé.

Il fascino dell’immagine di Branzi è nella delicatezza di rendere omaggio ad un personaggio imprendibile sempre esposto alla luce del sole e all’ombra della notte in cui si avverte l’impossibilità di trattenerlo, codificarlo, fermarlo in un unico ritratto. Anni fa, Branzi, mentre mostrava questa foto a Roberto Cavallini disse: «guarda, sembra che sia venuto a salutarmi».

©Piergiorgio Branzi, Casarza. Casa di Pier Paolo Pasolini, 1995

Piergiorgio Branzi

Biografia

Signa, 6 settembre 1928 – Campagnano di Roma, 27 agosto 2022. 

Nato a Signa, nei pressi di Firenze, inizia a dedicarsi alla fotografia nei primi anni ‘50. Nel 1955 intraprende un viaggio attraverso l’Italia Meridionale e, armato di macchina fotografica, realizza un importante reportage fotografico sulle condizioni sociali dell’Italia del dopoguerra. Noto volto del giornalismo televisivo, corrispondente della prima sede Rai a Mosca, dove gli propose di andare l’allora direttore del Telegiornale Enzo Biagi, Branzi è stato poi a Parigi fino al rientro a Roma nel 1969 come commentatore del telegiornale e inviato speciale. A Mosca continuò a scattare, ma una volta chiusa questa esperienza abbandonò la fotografia per 30 anni, una cosa che sembra incredibile, visto il livello raggiunto: “ Tornato da Mosca appesi la macchina al chiodo. Non si possono fare due mestieri insieme – fotografia e televisione – e il secondo era diventato la mia principale professione. Riprende a fotografare negli anni ‘90, con un progetto sui luoghi pasoliniani e dal 2007 si dedica alla sperimentazione con la fotografia digitale. 

La fotografia è rimasta sempre il suo primo amore: “Tra tutti gli strumenti usati la fotografia è stato quello privilegiato, avendomi permesso di leggere con maggiore attenzione critica e più cosciente empatia le società e i singoli personaggi che ho avuto la ventura incontrare e fotografare” spiega l’autore. Le radici toscane si riflettono nel suo stile, definibile come “realismo-formalista”. Lo stesso Branzi riconosce l’influenza della tradizione figurativa toscana sul suo lavoro e sulla sua predilezione per il bianco e nero: “Preferisco il bianco e nero perché negli anni Cinquanta, quando ho cominciato, il colore era una costosa curiosità. Ma anche perché noi toscani consideriamo il disegno l’“etica” stessa di ogni espressione figurativa. Il suo lavoro, come quello di molti della sua generazione è influenzato dalla fotografia di Henri Cartier-Bresson, che ebbe anche l’opportunità di incontrare due volte. Subì anche il fascino dei fotografi di Life, come Walker Evans, la Bourke-White, Paul Strand, e più tardi di Robert Frank, di cui ammirava la capacità di realizzare un libro epocale come società americana senza realizzare nessuna immagina “spettacolare”. Le sue opere sono state esposte dai musei di tutto il mondo: dal Museum of Modern Art di San Francisco al Guggenheim di New York, dal Fine Art Museum di Houston alla Bibliothèque Nationale de France di Parigi, dalla Tate Gallery di Londra al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid. 

Altri articoli di questo autore

Condividi

No comment yet, add your voice below!


Add a Comment

Vuoi accedere agli eventi riservati?

Abbonati a soli 15€ per 365 giorni e ottieni più di ciò che immagini!

Se invece sei già iscritto ed hai la password, accedi da qui

Dimmi chi sei e ti dirò che workshop fa per te

Non è facile trovare un buon educatore!
Appartengo ad una generazione che ha dovuto adattarsi alla scarsa offerta dei tempi. Ho avuto un solo tutor, a cui ancora oggi devo molto. Brevi, fugaci ma intensi incontri in cui il sottoscritto, da solo con lui, cercava di prendere nota anche dei respiri e trarre insegnamento da ogni singola parola.
A causa di questa carenza io e i miei coetanei ci siamo dovuti spesso costruire una visione complementare come autori, designers, critici ed insegnanti e questo ci ha aiutato a costruire qualcosa di fondamentale e duraturo.
Per questo motivo con Cine Sud che vanta un’esperienza di oltre 40 anni nel settore della formazione, abbiamo pensato alla possibilità di offrire dei corsi “one to one”, costruiti sulla base delle esigenze individuali e in campi disparati, che vanno dalla tecnica alla ricerca di nuovi linguaggi in fotografia.
Dei corsi molto vicini a quelli che avremmo voluto avere nel passato, se ce ne fosse stata offerta l’opportunità e la parola opportunità non va sottovalutata, perché ha un peso e una sua valenza e non è spesso scontata.
Ognuno sarà libero di scegliere, sulla base dei nostri consigli, un autore o un tecnico, tra quelli offerti come docenti, e intraprendere un corso che gli offra quello di cui realmente ha bisogno e, eventualmente, ripetere questa esperienza in futuro.
Come quando si va da un eccellente sarto a scegliere con cura un vestito, adattandolo perfettamente al corpo, vogliamo fornirvi il corso che meglio si adatta alle vostre, singole e personali esigenze.
Niente nasce dal caso e per poter essere all’altezza di questo compito e potervi fornire un’offerta diversificata e soddisfacente, abbiamo pensato di sottoporvi un questionario tra il serio e lo scherzoso a cui vi preghiamo di rispondere.
Aiutateci a capire le vostre reali esigenze e chi abbiamo difronte, non ve ne pentirete.
Massimo Mastrorillo

Dimmi chi sei e ti dirò che workshop fa per te

Approfondiamo ! per i più intrepidi
X