Sono giorni bui e sento il bisogno di riprendere il senso della vita.
Una foto come questa è possibile trovarla negli album di famiglia. Quanti dettagli e quante emozioni rilascia questa immagine: tanti. Il corpo materno sembra coperto da un tessuto chiaro leggero morbido vicino al seno mentre quello che si appoggia sulla spalla ricorda uno scialle con una fantasia colorata. Anche la piccola infante è coperta da una maglia che ricorda le fantasie di una volta: i pois, la manica leggermente ricamata con l’inserto di un pizzo. I tessuti sono la cornice che racchiude l’intima nudità di una piccola bocca aperta sul capezzolo e una manina che tiene il seno della mamma. L’occhio quasi chiuso a indicare l’intensità e il piacere del nutrimento. Una testolina d’altri tempi per quel grazioso orecchino che ricorda culture azteche. Una volta era abitudine fare i buchi alle orecchie alle neonate anche in Italia. Una tradizione culturale che fa pensare che questa fotografia risalga ad un lontano passato. Sembra quasi di sentire il calore del contatto con la madre, il calore della sicurezza, il senso di torpore di un sonno che sta per arrivare, di una benefica incoscienza della vita che così da piccoli viene acciuffata dai grandi come segno di purezza. Il contrasto tra l’età adulta della madre e le dita così piccole dell’inizio della vita, con quelle unghiette così bianche che sembrano dipinte.
L’immagine è tratta da una mostra dello scorso anno “Tina Modotti. La genesi di uno sguardo moderno” al Centro Saint-Bénin di Aosta.
Tina Modotti: una donna, una fotografa molto famosa che ha avuto occhi, mente, cuore per affrontare – anche lei come altri – vite diverse e ognuna di queste: intensa, passionale, curiosa, impegnata.
Non a caso Christiane Barckhausen Canale, ricercatrice e scrittrice anche del libro “Sulle tracce di Tina Modotti” e responsabile dell’esistenza dell’Archivio Modotti – in un paesino del Molise, Bonefro – dice:”Io ho scoperto Tina Modotti grazie a un piccolo articolo su di lei….ho cominciato ad indagare un pò e insieme ad altre persone nel mondo che si occupavano di Tina ci siamo chiamate le tiniste…”. Anch’io mi sento una tinista per il tanto che lei è riuscita a dare alla fotografia. Si riesce a dare, a creare, a comunicare solamente se si ha tanto dentro, se c’è del fuoco vitale che brucia per cercare la bellezza e se stessi, scattando con quella inquietudine di chi è sempre inappetente: di immagini e di vita vera. Per capire le fotografie per coglierne tutto il loro significato è fondamentale come in questo caso conoscere l’autore.
Ho scoperto su Sky Arte un nuovo episodio della serie di IO e LEI: Cristiana Dell’Anna & Tina Modotti con la regia di Massimo Ferrari. “Tina è un personaggio eccitante da scoprire. Una donna che non si è fermata di fronte a nulla. La sua non era una voce altisonante eppure raggiungeva le persone. Era alla ricerca costante di una identità propria, non imposta da nessuno…. la ricerca dell’identità oggi è una cosa più che mai fluida come direbbe Sartre Siamo identici a noi stessi in quell’attimo e ogni giorno siamo una persona diversa, allora esiste una trasversalità di fedeltà e tradimento verso se stessi che io vedo molto in Tina. Tipica di quelle persone che non smettono mai di cercarsi.”
Cercarsi ed essere rivoluzionaria con la fotografia! Sarà per questo che in questi anni si è parlato molto di lei: donna, amante, libera, determinata, sensibile, avventurosa, nomade, talentuosa. È proprio la natura contemporanea del suo linguaggio e della sua tecnica unita al suo indomabile carattere che negli ultimi decenni la sua opera ha attirato l’attenzione di scrittori, registi, artisti, curatori. Attinge da Weston un’estetica e una composizione che cerca continuamente la bellezza, l’equilibrio. “Io l’ho visto per la prima volta attraverso i tuoi occhi: il mio corpo. Ma non so se posso fidarmi dei tuoi occhi perché è un corpo bellissimo. Allora ho capito. Ho capito che è questo che fa l’arte: ti fa vedere le cose davvero per la prima volta. Perché quelle che hai davanti agli occhi sempre … e io mi sono innamorata di te e della tua arte e te l’ho rubata perché mi sembrava di avere le chiavi per ogni porta. Con la fotografia ha tutto un senso nuovo, perché è così che si fa la rivoluzione. È così che si cambia il mondo. Attraverso te rivoluzionavo me e mi allontanavo da te anche. Tu che sei stato il primo a sapermi trovare. Io che non mi sono mai trovata in nessun abito, in nessuna definizione: l’operaia, l’attrice, l’amante, la vedova, la fotografa. Quale Tina ami tu? Provi a fotografarla la vita, ci provi tante volte: il Messico, i fiori, le mani ma la vita va avanti. Scatto dopo scatto provo a starle dietro. Quanti scatti servono a te per stare dietro a me?”
L’immagine però della donna Luiz Jiménez che allatta sua figlia, del 1926, testimonia anche un’attenzione e un impegno sociale proprio nel periodo in cui lei si trova in Messico. Il popolo diventa il protagonista delle sue immagini, ognuno dei tanti volti che la Modotti ha fotografato, come questa stessa madre, è una voce di un coro più ampio che è il popolo con il quale lei si schiera. Non riesce a sottrarsi a questo dovere che sente di avere nei confronti dei più deboli, degli svantaggiati, della gente che muore, che si ferisce, lavora, suda. Lei vive il suo tempo e vuole modellarlo, sceglie quello che le piace, sbaglia per rifare una società migliore, è presa dal senso del dovere nei confronti del mondo dell’umanità.
L’artista ci ha lasciato una dignitosa immagine di un popolo povero descritto con quella spontaneità che rilascia alle sue fotografie una valenza poetica straordinaria. Ed è poesia quel gesto materno che sempre meno riusciamo a vedere nella nostra società che tutto nasconde: dolcezza, amore, poesia.
L’attrice Cristiana Dell’Anna continua nella sua interpretazione leggendo testi della Modotti:
“Dicono: tieni insieme le cose? Ma come si fa a tenere insieme le cose? C’è un filo una colla che tengono insieme arte e vita e rivoluzione. Io ci sono dentro e fuori continuamente ma mi sfuggono. Mi restano pezzi di carne presa a morsi e squarci di luce. Come il tuo fiato sul mio petto in fiamme. La vita non mi dà pace ma io non cerco pace. Io cerco vento, sole, giustizia, verità. Se ho avuto paura? Certo che ho avuto paura. Ho avuto paura di smettere di non aver paura della libertà. Senti come suona bene questa parola: libertà. Era questo il filo che teneva tutto insieme.”
E in questo video ho trovato splendente le parole che Tina scrive al marito –quando il tempo con Robo ormai è finito – “Cos’è una moglie? Una donna, un’amica, un’amante …un porto sicuro. Una che ti dice dove sono le tue mutande, le tue calze per tutta la vita. Io sono più nave che porto. E le calze e le mutande non so metterle a posto. Piuttosto te le tolgo. …… Davanti ad un regista, ad un uomo voglio avere il coraggio e l’orgoglio di essere quella che sono. Una donna libera e libera di amare. L’amore non si ferma davanti alle parole marito e moglie. Chi se ne frega se al dito ho una fede: ed è proprio questo il bello. Dovresti farlo anche tu Robo. Corri Lascia cadere in terra fogli e foglietti sparpaglia tutto te stesso, tradisciti, vai a letto con un altro te, lascia che gli altri siano interi, tu fatti in mille pezzi, ricostruisciti altre dieci, cento, mille volte …”
Così lei ci ha lasciato quella parte di vita da fotografa per ricostruirsi ancora tante volte che solo lei sa come. Così come quella bimba che ciuccia il latte e noi che la guardiamo …. quanto ci manca quell’abbandono assoluto da neonata, quel contatto puro, quel desiderio di nutrimento così naturale, semplice senza dover pensare alla vita che si deve vivere.
Didascalia: ©Tina Modotti Bambina che prende il latte materno, Messico,1926 (Cortesia dell’Ambasciata del Messico in Italia, Roma)
Tina Modotti
Biografia
Assunta Adelaide Luigia Modotti, detta Tina, nasce a Udine il 17 agosto 1896.
Fin da giovanissima contribuisce al sostegno della numerosa famiglia lavorando in una filanda. Conosce l’esistenza della fotografia frequentando lo studio dello zio Pietro Modotti, pioniere e ricercatore di tecniche fotografiche.
Il padre, operaio carpentiere, si trasferisce prima con la figlia Mercedes negli Stati Uniti e nel 1913 anche Tina arriva a San Francisco e trova lavoro in una fabbrica tessile. Curiosa e intelligente, nel tempo libero frequenta le mostre e recita nelle filodrammatiche della Little Italy. Incontra il poeta e pittore Roubaix de L’Abrie Richey, detto Robo, che sposa nel 1917 e si trasferisce a Los Angeles. La loro casa diventa luogo d’incontro di artisti e intellettuali Liberal: tra gli altri c’è anche il grande fotografo Edward Weston. Nella vicina Hollywood Tina cerca la strada del cinema. Nel 1922 il marito muore in un viaggio in Messico. Nel 1923 Tina e Weston si stabiliscono a Città del Messico. Li unisce un forte legame sentimentale e la passione per la fotografia. Nel vivace clima politico e culturale di questi anni la loro vita si svolge a contatto con i protagonisti della nuova arte messicana, in particolare con i muralisti Diego Rivera, David Alfaro Siqueiros e Clemente Orozco. Nasce un’amicizia con Manuel Alvarez Bravo e Frida Kahlo. Nel 1926 il loro legame affettivo si deteriora e Weston torna in California, mentre Tina, ormai affermata e padrona del mezzo fotografico, gira il Messico per documentare la realtà del paese. Si dedica all’attività politica militando nel Partito Comunista Messicano e inizia la stagione della fotografia sociale. Alla fine del 1928 Tina conosce e si innamora di Julio Antonio Mella, giovane rivoluzionario cubano; il loro rapporto durerà pochi mesi perché il 10 gennaio 1929 Mella viene assassinato. Nel dicembre dello stesso anno organizza una grande mostra delle sue opere nella Biblioteca dell’Università Nazionale Autonoma del Messico. Nel 1930 viene ingiustamente accusata di aver partecipato ad un attentato contro il Capo dello Stato, arrestata ed espulsa dal paese. Si imbarca per l’Europa giunge a Rotterdam e prosegue per Berlino ed espone le opere che si era portata dal Messico nell’atelier di Lotte Jacoby. Parte poi per Mosca dove l’attende Vittorio Vidali, internazionalista di origine triestina. Nella capitale sovietica allestisce la sua ultima mostra che viene presentata dal regista Eisenstein. Tra il 1930 e il 1936 vive tra Parigi e Mosca e si dedica totalmente all’attività politica, diventa militante del Soccorso Rosso Internazionale. Dal ’36 al ’39 partecipa alla guerra di Spagna con il nome di Maria. Nella sua attività ha occasione di conoscere Robert Capa e Gerda Taro, Hemingway, Dos Passos, Malraux, Antonio Machado e Rafael Alberti, Norman Bethune e tanti altri. Mentre pensa di riprendere la sua vita da fotografa nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1942, muore colpita da un infarto. Molti hanno ricordato la personalità umana e politica di Tina Modotti e fra gli altri Pablo Neruda i cui primi versi sono scolpiti sulla tomba che si trova al Pantheon des Dolores di Città del Messico.
“Sempre quando si usano le parole “arte” o “artistico” in merito al mio lavoro fotografico, ricevo una impressione sgradevole, certamente determinata dal cattivo uso e abuso che di questi termini si fa. Mi considero una fotografa e niente di più, e se le mie fotografie si differenziano da quello che generalmente viene prodotto in questo campo, è proprio perché io non credo di produrre arte, ma fotografie oneste, senza trucco né manipolazioni mentre la maggioranza dei fotografi cercano ancora gli “effetti artistici” o l’imitazione di altri mezzi di espressione grafica, per cui ne risulta un prodotto ibrido e che non riesce a dare all’opera prodotta il carattere più importante che dovrebbe avere: la qualità fotografica.” Tina Modotti, sulla fotografia, Mexican Folkways, ottobre-dicembre 1929. Tratto dal libro Tina Modotti, Comitato Tina Modotti, Museo di Storia della Fotografia Alinari, Edizione Fratelli Alinari del 1992.
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Dal 2015 mi dedico attivamente al progetto ArtPhotò con cui propongo, organizzo e curo eventi legati al mondo della fotografia intesa come linguaggio di comunicazione, espressione d’arte e occasione di dialogo e incontro. La passione verso la fotografia si unisce ad una ventennale esperienza, prima nel marketing L’Oreal e poi in Lavazza come responsabile della comunicazione, di grandi progetti internazionali: dalla nascita della campagna pubblicitaria Paradiso di Lavazza nel 1995 alla progettazione, gestione e divulgazione delle edizioni dei calendari in bianco e nero con i più autorevoli fotografi della scena mondiale fra cui Helmut Newton, Ferdinando Scianna, Albert Watson, Ellen von Hunwerth, Marino Parisotto, Elliott Erwitt e i più famosi fotografi dell’agenzia Magnum.
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