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Sparsi nello spazio e nel tempo

di Tiziana Bonomo

Un sussulto, una forte vibrazione, uno spaesamento, un’attrazione, un inquietante desiderio. Una calla appoggiata così bene all’angolo di un muro che non può essere casuale. Dimentico un attimo il corpo che c’è dietro e il rimando va ad alcuni grandi fotografi che hanno usato la luce e l’ombra a sostegno del soggetto e dell’estetica ricercata. Eppure qui il pavimento ha mattonelle vecchie e sporche, il muro sembra consumato e tutto appartiene ad un edificio non così antico …. La linea del fiore invita l’occhio verso il corpo dietro alla parete: un corpo nudo, sembra di donna anche se il sesso appare volutamente coperto da qualcosa di mosso. Eppure il corpo è perfettamente a fuoco se non fosse per quel mosso…. e anche sulla lunga coscia il gioco di luce denota maestria fotografica. I significati più diffusi della calla sono: purezza, perfezione, eleganza e vita eterna.  So a chi appartiene quella foto e l’inquietudine che mi assale è il pensiero della sua giovane morte a ventidue anni. So che il corpo nella foto è quello di Francesca Woodman. Vidi una sua prima mostra nel 2001 presso la galleria di Carla Sozzani in Corso Como 10.

La mostra di Francesca Woodman era stata ideata e coordinata dalla Fondation Cartier pour l’art contemporain. A cura di Hervé Chandès – Direttore della Fondazione – assistito da François Quintin.

Sono passati ventun anni ma l’emozione che provai vedendo quelle immagini rimane ancora con me.  Delle fotografie così non le avevo mai viste prima, così ….. “imprendibili”!. Avevo avuto l’impressione di vedere un angelo, e poi guardando mi domandavo ma c’è qualcuno e non c’è qualcuno? Mi sembravano foto di fantasmi. Un’attrazione morbosa per quei luoghi abbandonati pieni di ricordi: il camino, la carta da parati, vecchi oggetti. La combinazione di luoghi con un’anima, con questa assenza presenza: c’è qualcuno oppure no? Certo che c’è ed è lei che gioca: una bambina per me che non vuole diventare adulta anzi … la vita reale la inquieta, la realtà la paralizza e allora gioca. Anch’io ho giocato tantissimo davanti allo specchio muovendomi, svestendomi e immaginandomi altro. Ecco allora che quelle immagini mi sembrano magie. Non conoscevo nulla di Francesca Woodman e in quel momento non mi interessava; volevo rimanere lì a guardare le sue immagini, incantata, rapita …mi interessava vedere e mantenere l’emozione che mi trasmettevano.  Così come per questa immagine. E se c’è una cosa che nessuno può negare alle immagini della Woodman è la sua poesia. Non a caso l’introduzione del libro di Phaidon del 2006 “Francesca Woodman” ha come esergo una frase di Proust: “A person, scattered in space and time, is no longer a woman but a series of events on which we can throw no light, a series of insoluble problem (Una persona, dispersa nello spazio e nel tempo, non è più una donna ma una serie di eventi sui quali non possiamo fare luce, una serie di problemi insolubili)” Marcel Proust, La prisonnière (1923). Così come l’annotazione nel libro che a me conferma il concetto del gioco è “nel cercare di valorizzare il suo lavoro – di collocarlo all’interno di una storia fotografica e di pratiche artistiche – non dovremmo mai lasciar perdere il fatto che le sue fotografie furono prima create da una scolaretta, poi da una studentessa ed infine da una giovane donna.

D’altronde lei stessa è modella in quasi tutte le sue foto: la figura di Francesca si smaterializza attraverso il movimento rapido del corpo – come nella serie House (1975-76) in cui gioca a nascondino con il riverbero di luce di una finestra o dietro la pericolante cornice di un camino – e si identifica spesso in quella presenza-assenza che sono gli angeli, come nell’opera Angels del periodo romano.

Infatti questa foto è stata realizzata a Roma a cavallo tra il 1977 e il 1978. Ed è a Roma che incontro in questi giorni Giuseppe Casetti andando a vedere la mostra “Winter Cooking” dedicata a Francesca Woodman.

Giuseppe che in quegli anni si faceva chiamare Cristiano e nel 1978 aveva una libreria insieme a Paolo Missicoi che si chiamava Maldoror – tratto dal famoso libro di Isidore Ducasse pseudonimo del conte di Lautréamont – “una libreria un pò di frontiera “. Casetti oggi ha nella sua nuova galleria Il museo del Louvre una interessante raccolta espositiva di Francesca Woodman e lui mi racconta una storia a me sconosciuta del periodo della Woodman trascorso a Roma. “In questa libreria c’era anche Francesca Woodman perché abitava a via dei Colonnari e da lì attraversava la nostra via e andava in questa scuola che si chiama Rhode Island. Francesca era diventata una nostra amica, una del gruppo. Mi ha meravigliato il suo modo di venire in libreria perché si metteva seduta per terra e guardava le foto che le davo messe in scatole di legno, veniva con la busta che sapeva di pesce appena comprato, lunghe gonne e con la faccia un pò sporca, non perché non si lavava ma perché si strusciava in queste cantine per fare le foto che conosciamo…. Cosa succede poi? Praticamente diventiamo amici e lei si rapportava con me e con i nostri amici attraverso un dialogo indiretto. Ad esempio per invitarmi a cena non mi diceva ‘Cristiano vieni a cena’ ma mi metteva sotto la porta un foglio con scritto ‘riso e ricotta venerdì alle 8’. Francesca era una studentessa e alcune foto sono bucate perché le infilzava sotto la maniglia della porta. Lei usava le sue fotografie per mandare messaggi, inviti, piccoli brani biografici. Oltre alle foto disegni a matita e sopra le foto spesso scriveva una storia o il menù per la colazione che mi avrebbe preparato e con i colori a tempera disegnava il riso e la ricotta sospesi su un piede e sulla sua pancia nuda. C’è una serie di foto con scritto Angelo per Cristiano.  E poi fa questa mostra da noi – il 20 marzo 1978 Francesca Woodman espone i suoi lavori, in occasione della sua prima mostra personale Immagini – proprio nella nostra libreria Maldoror. A lei piaceva molto mangiare e scrive una ricetta invernale “frittata frizzante alla Francesca” molto poetica. La chiamavamo nuvola…..lei aggiungeva sempre mediocre….”.

Certo è che pensando al ’78 e a questo gruppo di Maldoror si avvertono i sintomi della Transavanguardia, del Surrealismo e guardando al modo in cui Francesca ama scrivere sulle immagini è automatico il riferimento a Duane Michals: “Responsabile di un significativo numero di innovazioni che trovano eco nella pratica di Woodman. Quegli echi non sono una mera derivazione: ha rielaborato queste idee per ottenere un effetto significativo, portandole ben oltre l’influenza dell’arte surrealista di prima generazione di Michals, o l’influenza di Michals su di lei, e riportandole ad un interesse, una preoccupazione più fondamentale che appartiene al potenziale della fotografia, come il sogno, per sospendere il tempo e trasformare lo spazio.”**. 

Nella galleria di Casetti si trovano, oltre a fotografie, anche ritagli su carta di alcuni disegni fatti da Francesca. Nel suo spazio sono contrapposte due serie di foto e la mostra desidera restituire l’idea dell’incontro: da un lato lei modella di sé stessa come nella foto in primo piano ma dall’altro è lei modella di Stephan Brigidi, suo professore, dove emerge proprio la sua nudità, la sua tenerezza, la sua fanciullezza. Conclude dicendomi che “le foto che si vedono nelle mostre sono tutte riprodotte perché i genitori non mandano vintage ma mandano tutte foto stampate da Marian Goodman” proprietaria della Marian Goodman Gallery, una galleria d’arte contemporanea aperta a Manhattan, New York e Parigi.

Nell’invito del Museo del Louvre di Casetti, per questa mostra, viene riportato un dialogo avvenuto nell’autunno del ’77 all’interno delle aule di Palazzo Cenci, sede della Rhode Island School of Design of Rame, tra Francesca Woodman, all’epoca giovane allieva, e Stephan Brigidi, suo docente, a proposito di un’altra foto ancora più famosa.

Stephan Brigidi: “Mi piace questa immagine in particolare, funziona. Con le anguille nella ciotola, accanto al tuo corpo, questa funziona! È di una bellezza, così provocante. Le anguille le hai prese a Campo dei fiori? Il bianco così puro della ciotola le porta avanti, le fa emergere. Questa, con il tuo braccio allungato verso di loro, è la migliore; penso che il gesto le accentui. La tua tecnica però non è buona, deve migliorare. Hai le immagini, questo lo sai, ma sei molto approssimativa in camera oscura. Trattate meglio le vostre fotografie, date loro il rispetto che meritano. Le vostre stampe non dureranno a lungo e questo dovrebbe essere importante per voi, anche come studenti.” Francesca Woodman: “Non me ne frega nulla della tecnica, voglio solo bruciare le immagini e fissarle abbastanza a lungo da poterle vedere. Voglio solo vederle, farle emergere. Lasciarle vivere.” Stephan Brigidi: “Beh, è probabile che non vivano molto a lungo. “ Francesca Woodman: “Fanculo!”

Mi sembra significativo e mi solleva sapere che nella sua turbata e fragile esistenza ci siano stati alcuni momenti spensierati da fanciulla.

* ©Francesca Woodman ST Roma Maggio 1977 Agosto 1978

**Francesca Woodman Phaidon 2006 Woodman and surrealism pag. 29

©Francesca Woodman Fondazione Sozzani ST Roma Maggio 1977 Agosto 1978

 

Francesca Woodman Biografia

(1958 -1981, Stati Uniti)

Entrambi i genitori sono artisti, nel 1965 la famiglia si trasferisce in Toscana per un anno. Nel 1972 viene ammessa alla Abbot Academy, una scuola privata per sole donne, dove studia arte. Guidata da una delle sue insegnanti, scopre la fotografia. Nel 1975 frequenta a Providence la Rhode Island School of Design (Aaron Siskind è tra i suoi professori). Nel biennio 1977-1978 vive a Roma grazie alla borsa di studio ottenuta a Providence. Nel marzo del 1978 presenta a Roma, alla libreria Maldoror, quella che sarà la sua prima ed unica mostra personale da vivente in Italia: “Immagini”.  Inizia a sviluppare il tema degli “angeli” (On Being an Angel) ed Eel Series. Nel 1979 consegue il B.F.A. in fotografia e si trasferisce a New York dove si mantiene facendo vari tipi di lavori: segretaria, assistente fotografa, modella. Nel 1980, come artista residente della MacDowell Colony (Peterbough, New Hampshire) le vengono messi a disposizione dei materiali che impiega nel suo lavoro di sviluppo delle fotografie. Tornata a New York partecipa ad una serie di collettive alla Daniel Wolf Gallery, incontrando critici quali Peter Frank e Max Kozloff. All’Alternative Museo di New York esibisce i suoi ultimi diazotipi, fotografie stampate su carta blu o seppia. Nel 1981, esce l’edizione a stampa di “Some Disordered Interior Geometries”, uno dei sei quaderni fotografici progettati durante il soggiorno romano. Il 19 gennaio si suicida.

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