Camminando a Parigi scopro per caso, osservando attraenti fotografie, di essere di fronte alle vetrine di Factory Polka. Incuriosita entro e vengo investita da vellutate immagini di montagna. Cerco subito l’autore: sul momento non mi sembra vero è il fotoreporter Eric Bouvet. Adesso, all’improvviso, lo stesso autore realizza fotografie di montagna in bianco e nero. Sono ritratti di cime graffianti, grafiche di estrema potenza. Alcuni dettagli si traducono in geometrie astratte che nonostante non siano un’invenzione suscitano un applauso. E poi la particolarità delle stampe che mi ricordano immagini antiche. Sono frastornata da un uomo che ha seguito situazioni di crisi nel mondo. Abituato a terre di conflitto, campi di battaglia e zone di desolazione, il fotoreporter 62enne ha scambiato il casco e la tessera stampa con i ramponi per attaccare le vette alpine. Un progetto pazzesco! Documenta la catena montuosa prima che scompaia, o almeno che la sua neve si sciolga completamente davanti ai nostri occhi inermi.
Il titolo del lavoro di Bouvet è “Elévations” raccolto in un libro, Éditions Photosynthèses, con una stampa straordinaria e molte delle immagini a piena pagina si possono ammirare nel formato 32×26 cm. E così scopro il progetto.
Éric Bouvet come viaggiatore del mondo questa volta ha scelto di rimanere a casa. O meglio, di volare verso le alture della sua patria, le Alpi, e di impegnarsi, fisicamente parlando, con la fotografia anche lì.
“La fotografia di cronaca, dice Bouvet, si basa sul momento e sull’istinto. In montagna, nella macchina fotografica, l’istinto rimane, ma questo momento si allunga per lasciare spazio alla riflessione, al tempo.” Il risultato di questo lavoro all’antica, come i fotografi di montagna del XIX secolo, è spettacolare, con una purezza all’inizio del mondo e un silenzio, sì, un silenzio che attraversa tutto questo percorso artistico ed è anche il segno dell’esistenza della montagna. Si pensa di distinguere qua e là stampe o dipinti del romanticismo tedesco.
È dal 2019 che Éric Bouvet realizza una serie di immagini di grande formato con fotocamera 20x25cm e 10×12cm nel massiccio del Monte Bianco. Per realizzarle Bouvet utilizza processi immutati dall’800, sulla falsariga del calotipo di William Henry Fox-Talbot. L’immagine viene scattata su carta fotosensibile, che sostituisce la pellicola nei fotogrammi della macchina fotografica, conferendo profondità e mistero al risultato finale. Un lavoro faticoso muoversi sulle montagne con tali attrezzature: un atto fisico di conquista della vetta.
Sfogliando il libro mi accorgo che sono montagne che sento vicine come le Grandes Jorasses un gruppo di cime granitiche che si trovano nella parte settentrionale del massiccio del Monte Bianco, sulla linea di frontiera tra Italia e Francia. Così come le tre pareti nord nel bacino d’Argentière sempre nel massiccio del Monte Bianco: Aiguille Verte, Les Droites e Les Courtes. Si percepisce la bellezza, la maestosa bellezza. Un affresco che traccia la montagna verso il cielo. Riuscito, ammesso che ci sia, il tentativo di fermare la visione di queste montagne come un tempo pur sapendo che sono mutate e ancor più muteranno a causa del clima, inquinamento e molto altro ancora. Il famoso pilastro Bonatti è in gran parte scomparso, sgretolato da diverse frane dovute al disgelo e allo scioglimento del permafrost, questo cemento di ghiaccio e roccia. Potenza e vulnerabilità dei colossi di pietra. Penso però che Bouvet ami a tal punto queste cime da consegnarci la loro seduzione e non la loro distruzione. È dalla bellezza che inizia il processo di mantenimento.
“Da queste cime che credevamo di conoscere – scrive Olivier Weber nella prefazione – emergono nuovi paesaggi, volti dai riflessi d’argento, cupole scintillanti, chiazze simili al tronco di un vecchio albero, pendii di cime quanto mai solitarie nel volto di un ritrattista altrettanto solitario. Le fotografie rivelano uno stile, quasi un linguaggio, in una transizione tutt’altro che scontata: il passaggio dal paesaggio umano al paesaggio terrestre. Non si tratta di una riconversione, ma di un desiderio sempre rinnovato di testimoniare e trasmettere informazioni “per alimentare la memoria”. Testimoniare? Sì, la solitudine delle montagne, la bellezza millenaria di queste cattedrali di pietra e, allo stesso tempo, la loro fragilità.”
“La vecchiaia è come scalare una montagna. Più vai in alto, più rimani senza fiato, ma quanto si è ampliata la tua visione!” Questa frase del regista Ingmar Bergman risuona come un’eco del recente lavoro di Eric Bouvet.
Un progetto folle? Forse. Perché Eric Bouvet è salito oltre i 3.000 metri con i suoi 20 kg di attrezzatura sulle spalle, per scattare le sue foto ad altitudini comprese tra 1.200 e 3.800 metri. Ma l’avventura è vitale per questo fotografo costantemente alla ricerca di adrenalina e rinnovamento. Per Eric Bouvet “ci sono due forze sulla terra: l’uomo e la natura. In una zona di guerra, affrontiamo la follia dell’uomo. In montagna, a quello della natura”.
Da vedere: “Elévations”, mostra d’ Eric Bouvet, alla “Factory Polka”, 14, rue Saint-Gilles, Paris IIIe, dal 2 febbraio al 16 marzo.
Da leggere: “Elévations”, d’Eric Bouvet, ed. Photosynthèses, 136 p., 52€
Eric Bouvet Biografia
É un fotografo francese, nato nel 1961. Ha iniziato la sua carriera nel 1981 dopo gli studi alla Scuola Estienne di Parigi di arti grafiche e applicate. Il suo interesse per la fotografia sembra iniziare quando, all’età di 8 anni, ha visto in TV i primi passi dell’uomo sulla luna. Il fascino del potere dell’ informazione diretta, la forza dell’immagine di questo momento storico sembrano essere i principali fattori per lui per scoprire l’evoluzione del mondo viaggiando in oltre 120 diversi paesi nel corso degli ultimi trenta anni.
Eric Bouvet ha lavorato come fotografo per l’agenzia Gamma durante gli anni Ottanta, poi come free lance dal 1990. Nel 1985, raggiunge fama internazionale con il reportage sull’eruzione vulcanica Armero in Colombia. Dopo, ha fotografato i principali conflitti del recente passato in Afghanistan, Iraq, Iran, Libano, Cecenia, Sudan, Somalia, Jugoslavia, Israele, Irlanda del Nord, Kurdistan, Angola, Suriname, il Ruanda e la Libia. Ha ricoperto anche i momenti principali internazionali come il funerale del ayatollah Khomeini, le proteste di piazza Tienanmen cinesi, la caduta del Muro di Berlino, la rivoluzione di velluto ceca, della scarcerazione di Nelson Mandela e le Olimpiadi e l’attuale guerra in Ucraina.
Ha lavorato anche su molti temi sociali, come le carceri russe, i soldati giovani sulle portaerei, il lavoro della polizia francese nei quartieri, i minatori in Francia, la vita nel reparto pediatrico per i bambini che soffrono di cancro. Da tre anni sta lavorando su documentari chiamati «Amore» e «Pace».
I suoi lavori sono stati pubblicati dalle principali riviste internazionali come Time, Life, Newsweek, Paris-Match, Stern, il Magazine Domenica Times, il New York Times Magazine, Der Spiegel, Le Monde.
Ha collaborato alle campagne fotografiche per le Nazioni Unite, di numerose ONG e di organizzazioni caritatevoli come « Medici Senza Frontiere (MSF)” il Comitato Internazionale della Croce Rossa, “Médecins du Monde (MDM)” e “Action Contre la Faim (ACF)”.
Eric Bouvet ha vinto cinque World Press Awards, un « Visa d’Or » di Perpignan Photo Festival, il Premio Bayeux per il miglior corrispondente di guerra , il Premio della Paris-Match e la medaglia d’oro per il 150 ° anniversario della Fotografia. (fonte: https://fujifilm-x.com/it-it/)
Dal 2015 mi dedico attivamente al progetto ArtPhotò con cui propongo, organizzo e curo eventi legati al mondo della fotografia intesa come linguaggio di comunicazione, espressione d’arte e occasione di dialogo e incontro. La passione verso la fotografia si unisce ad una ventennale esperienza, prima nel marketing L’Oreal e poi in Lavazza come responsabile della comunicazione, di grandi progetti internazionali: dalla nascita della campagna pubblicitaria Paradiso di Lavazza nel 1995 alla progettazione, gestione e divulgazione delle edizioni dei calendari in bianco e nero con i più autorevoli fotografi della scena mondiale fra cui Helmut Newton, Ferdinando Scianna, Albert Watson, Ellen von Hunwerth, Marino Parisotto, Elliott Erwitt e i più famosi fotografi dell’agenzia Magnum.
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