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La Storia

di Tiziana Bonomo

E se fosse il frame di un film in cui prima o poi spunterà James Bond?  I protagonisti sono belli con sguardi che non lasciano dubbi sull’intensità della scena. Le armi potrebbero essere anche finte, non sembrano appartenere a quelle di ultima generazione. Ma quale esperto trovarobe non sarebbe in grado di farle riprodurre come se fossero autentiche? E poi con chi parlano? A chi parlano?
Ebbene non è un film, è realtà. La foto è scattata in Yemen da un giovane, sensibile fotoreporter di nome Mattia Velati. Che si presenta così: “Mi chiamo Mattia Velati e sono un fotoreporter di Milano, Italia.
Durante gli studi universitari, ho alternato viaggi e corsi di fotografia inseguendo una passione che non si è mai placata”. Passione… Già questa parola mi emoziona. La stessa che avverto quando mi penetra il sentimento che è custodito in una immagine. Mattia realizza reportage in Medio Oriente, in Libano, nei campi di profughi palestinesi di Sabra e Shatila, ‘’dove sono stato ospitato da una famiglia per lungo tempo’’ e nello Yemen: “paese in cui ho lasciato il cuore”.

Yemen: un senso di vertigine per la sconvolgente bellezza di San’à la capitale simbolo di questo paese si mescola all’orrore di una guerra che da oltre sette anni! lascia dietro di sé immagini strazianti di madri e bambini al limite della sopravvivenza.

Mattia Velati lavora nelle “retrovie”, per estrarre dal silenzio un popolo legato alla propria terra in modo quasi fisico, sempre armato e animato da un aspro senso di identità. Il racconto visivo di Mattia Velati, volutamente diverso da quello dei media, non contiene immagini di disperazione ma rende giustizia alla vita fragile di questo popolo fiero, che affronta le avversità conservando anche nella guerra la bellezza accecante e misteriosa del suo Paese.
Nella foto cosa vediamo? Due yemeniti seduti con la tipica jambya* in vita: il primo soggetto, l’interlocutore, è fuori fuoco a vantaggio del secondo che sfodera uno sguardo carico di attenzione per il suo vicino. La profondità dell’immagine – i tre piani fotografici – lascia spazio allo sguardo affinché si percepisca in maniera inequivocabile l’arazzo in fondo alla tenda che con antichi disegni arabeggianti rimanda a intricate storie da “mille e una notte”. Come dice Mattia “gli yemeniti sono molto vanitosi, con sguardi intensi, a loro piace essere fotografati e si sentono molto a loro agio nelle loro vesti e con le loro armi”. La jambya benché sia di origine araba, è infatti oggi principalmente associata alle genti dello Yemen come accessorio d’abbigliamento maschile a partire dai 14 anni.

Per comprendere il lavoro di Mattia Velati è necessario un breve cenno storico, indispensabile per leggere la missione che si è data il fotoreporter milanese. Dal 2015 lo Yemen è sconvolto da una feroce guerra civile, che tra il governo e il movimento ribelle degli Huthi, che appartengono alla branca sciita dell’islam e coinvolge un’intricata rete di rapporti tribali, sullo sfondo gli interessi strategici dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti che sostengono militarmente il governo con bombardamenti a tappeto delle città.

Nemmeno le organizzazioni internazionali umanitarie possono operare facilmente nel nord del Paese, e le poche presenti non accettano di ospitare fotoreporter. Mattia Velati, che è stato in Yemen nel 2008 e nel 2009, quando la guerra non era ancora iniziata, vi ha fatto ritorno altre tre volte – nel 2019, 2021, 2022 – con l’intenzione di raccontare il conflitto attraverso la vita disperata dei suoi abitanti.
Un incalzante racconto visivo, volutamente diverso da quello dei media, ma rende giustizia alla ostinata, fiera, quotidiana lotta per sopravvivere alle bombe, alla carestia, alla mancanza di medicine.
Torniamo alla foto. la tenda in cui si trovano i due sorprendenti soggetti è in mezzo al deserto in una sorta di oasi dove si coltivano alberi di datteri e si nascondono le armi. Guerra e normalità si sovrappongono e si intersecano con la tranquilla eleganza dei due giovani combattenti.
Tradizione, bellezza anche a Marib, l’ultimo baluardo del governo e delle forze della coalizione guidate dai sauditi nel nord dello Yemen. È sotto attacco dal 2015 da parte delle forze Houthi. Marib è una città ricca di giacimenti di gas e petrolio: ecco che si svela dietro geopolitica e fanatismi teologici l’eterno scopo della guerra, il potere e il denaro.

Nel 2019 in una mostra a Torino intitolata “Strappi. Tra violenza e indifferenza” ho scelto di invitare Mattia Velati per presentare con dieci immagini proprio il suo Yemen: la bellezza ferita di un paese. Nulla era più vicino allo spirito della mostra, che era come scrisse il giornalista Domenico Quirico “Ricordare situazioni dimenticate o non conosciute, ecco gli strappi della Storia ”. È lo scopo che rende possibile capire e restituire alle immagini il significato che ci trasmettono da ogni particolare: i lineamenti, la posa, l’ambiente e tanto altro. Una fotografia che ha dentro di sé un elemento tragicamente poetico rende quanto il cuore di Mattia sia coinvolto nell’osservare questa società tribale, antica, fiera. Che per noi rischia di avere una tinta arcaica, velata da un sorpassato esotismo. Velati ci rammenta che per gli yemeniti è il senso dell’esistere, una vita dove il padre dona al figlio, quando supera la pubertà, la sua jambya in segno di riconoscimento, di valore della tradizione.

Un bravo fotoreporter come Mattia Velati non giudica chi ha di fronte: fotografa! È allora che, come per questa immagine, vorremmo far parte di quella vita tragica e degna anche solamente per un breve attimo.

 

* Jambiya o Jambia, anche Janyar (in arabo: جمبية‎, jambiyya o جنبية, janbiyya), è il vocabolo per designare una sorta di coltello-pugnale con una corta lama ricurva e abbinata con un fodero ancor più marcatamente ricurvo.

 

Didascalia © Mattia Velati Ritratti di due membri della tribù Bani Shaddad a Raghwan, a nord della città di Ma’rib. La tribù locali fanno da cuscinetto tra l’avanzata degli Houthi e Ma’rib, ultimo avamposto del governo nel nord dello Yemen.

 

 

MATTIA VELATI

Biografia

 

Mattia Velati è un fotoreporter di Milano. Nel 2007, dopo aver conseguito la laurea in Lettere presso l’Università degli Studi di Milano, si è trasferito a Damasco, in Siria, iscrivendosi alla facoltà di Lingua Araba. Nel giro di due anni in Medio Oriente ha realizzato reportage in Libano, nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila, in Yemen, in Turchia, in Iran, in Oman, in Giordania e nel Kurdistan iracheno, dove ha portato a termine il primo incarico per la ONG italiana Emergency. In seguito ha partecipato come fotografo ai progetti di Emergency in Afghanistan, Sierra Leone e Sudan. Nel 2010 e 2011 ha approfondito gli studi di fotogiornalismo a New York, presso l’International Centre of Photography (ICP), e ad Aarhus, in Danimarca, dove ha conseguito il master di secondo livello presso la Danish School of Media and Journalism (DMJX). Ha realizzato diversi reportage nei Balcani, in particolare nella regione del Kosovo, e nei Caraibi, recandosi ad Haiti più volte in seguito al terremoto del 2010 e in Jamaica nel 2019. Ha realizzato inoltre reportage in Algeria e in Moldavia nel 2018. Dopo la lunga stagione di guerre nel Medio Oriente, è tornato in Yemen tre volte, nel 2019, nel 2021 e nel 2022.

 

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