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Restituzione delle vittime bosniache massacrate dai soldati serbi di Mladić

di Tiziana Bonomo

© Ivo Saglietti luglio 2009 Srebrenica - Restituzione delle vittime bosniache massacrate dai soldati serbi di Mladić

È una immagine conosciuta. Eppure spesso capita che anche le immagini, come questa, vincitrice di un WPP si guardino in velocità. Spesso è la notizia che ci devia e distrae dalla concentrazione sulla fotografia per andare a leggere l’articolo. Spesso alcuni contenuti sono complicati da leggere con già tutto quello che accade nel mondo e di cui spesso possiamo farne a meno andando a rincantucciarci nella nostra comoda tana.

Bene, ripartiamo e dedichiamoci un attimo di tempo e respiriamo e guardiamo con attenzione tutto quello che c’è in questa incredibile e suggestiva immagine fotografica.

 

Quando la vidi la prima volta – almeno dieci anni fa – rimasi colpita dal gioco della luce, classico del bianco e nero e il mio punctum era il fascio bianco di quella luce splendente pensando che le due figure fossero delle suore. Mi persi verso il fondo come se quel bagliore fosse quello di una candela. Buffo vero? Il bianco e nero dei classici della fotografia mi aveva condizionato facendomi suggestionare dal gioco stilistico e molto meno da quello contenutistico.

 

Molti conoscono questa foto di Ivo Saglietti che con quasi 40 anni di carriera ancora in corso è uno dei più grandi autori italiani di fotoreportage.

“Da oltre 10 anni puntualmente seguo la restituzione dei corpi delle vittime del massacro Serbo di oltre 9000 Bosniaci ordinato e organizzato da Mladić. La cerimonia di restituzione dei corpi, ricomposti dai patologi delle Onu, si svolge ogni anno a luglio a Potocari, dove le truppe olandesi che dovevano proteggere i Bosniaci in realtà li abbandonarono ai Serbi. Con questo progetto ho vinto nel 2011 il mio terzo e più importante World Press Photography, il premio per il Contemporary Issues Single”.

 

È un’immagine commovente. Due donne musulmane cariche di dolore, affrante, sedute sulle bare. Il loro dolore è raccolto in quella luce che raccoglie le anime di tutti quei morti. Il loro dolore è contenuto nella posizione di abbandono alla tragica mancanza di qualcuno che nessuno può più restituire. Le mani della donna sulla fronte nell’atto di raccogliere il dolore, di contenere il bruciore di una lacerante ferita: non è forse quello il punctum? Un gesto che possiamo credere come il simbolo dedicato a tutte quelle bare ordinate, pulite, raccolte da chi ha voluto restituire dignità al massacro di uomini, donne, bambini.

Il massacro di Srebrenica è stato un genocidio avvenuto durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina nel 1995. Migliaia di musulmani bosniaci furono uccisi l’11 luglio 1995 dalle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladić nella zona protetta di Srebrenica che si trovava al momento sotto la tutela delle truppe olandesi delle Nazioni Unite. Secondo le istituzioni ufficiali i morti furono oltre 8.372, sebbene alcune associazioni per gli scomparsi e le famiglie delle vittime affermino che furono oltre 10.000.
A giugno 2015, sono state riesumate 6.930 salme dalle fosse comuni e sono state identificate mediante oggetti personali rinvenuti oppure in base al loro DNA che è stato confrontato con quello dei consanguinei superstiti.

 

Vi riconoscete in questa immagine?  Il dolore è quello che ci è stato raccontato dalle nostre madri, nonne…quello della guerra per cui oggi uomini reporter, medici, combattenti con macchine fotografiche, con bisturi, con parole denunciano senza mai arrestare la testimonianza dell’assurdità della guerra.

Allora cos’è questa immagine di Ivo Saglietti?

La potenza di un’immagine è un’equazione di autorevolezza e di dolcezza.

Quindi un’immagine è credibile per la sua capacità di dichiarare con autorità un evento ma con uno sguardo attento, compassionevole verso coloro che subiscono le conseguenze di quell’evento. Ivo Saglietti si muove, immerso nella Storia insieme ad altri uomini, come se fosse dotato del dono dell’invisibilità. Uomini e paesaggi si snodano davanti a lui con la logica di un ordine in perenne disordine, o di un disordine che tenta inutilmente di ricomporsi. Saglietti avverte, con la sensibilità del poeta, le oscillazioni dei sentimenti dentro all’anima degli uomini. Avverte lo sconforto, l’abbandono, l’impotenza, l’ineluttabilità degli eventi, la fragilità della gioia, la stanchezza, il cinismo, tutto ciò che concorre a creare un paesaggio di uomini e di natura sempre in crisi di astinenza. Sente e scatta, percepisce e gira la sua macchina fotografica, pensa e reagisce con un click.

Abituato al bianco e nero domina la luce, la lega intorno ai sentimenti con garbo senza enfatizzare la drammaticità di una scena che da sola è sufficiente a far capire con straordinaria capacità quanto commovente e intensa è la Storia che si racconta davanti a lui, davanti a noi. Stupore e sorpresa continuamente accompagnano il lettore delle sue fotografie di fronte all’abilità dei potenti di generare disordine, caos, distruzione. Innegabilmente il disordine contagia il paesaggio, privandolo di vita, denudandolo della sua sensualità, lasciandogli la nostalgia di ciò che sarebbe potuto rimanere.

 

 

Da quando nasce il reportage – con il primo fotografo di guerra riconosciuto Roger Fenton nel 1854 che documenta la guerra di Crimea su commissione del governo inglese – ad oggi sembra che l’umanità sia in continua e perenne sofferenza.

Nel dizionario Treccani “Reportage” viene usato “nel linguaggio giornalistico, servizio di un cronista, di un corrispondente, di un inviato speciale su una situazione o un argomento particolare: r. giornalistico, televisivo; un r. di guerra. “.

Ivo Saglietti ha testimoniato gli eventi e i cambiamenti nei Paesi del terzo mondo e soprattutto in zone di guerra e di forti contrasti come Afghanistan, Irak, Ucraina, Serbia, America Latina, Crimea, Russia, Balcani, Africa: le sue sono foto che parlano e documentano. È riflessivo, legato al bianco e nero, con una sua spontanea sensibilità e con una composizione dell’immagine veramente evocativa. Cartier-Bresson e Eugene Smith sono i suoi ispiratori iniziali e la fotografia ha per lui, con il bianco e nero, i colori della speranza e della disperazione, la sua vera forza.   La sua vocazione vuole cultura, linguaggio, impegno verso l’uomo e il suo destino. Con questo si sente “engagé”.

È questo ciò che semplicemente cerca in una fotografia: un istante di umanità.

 

Biografia Ivo Sagllietti

Nato a Toulon, Francia, inizia la propria attività a Torino come cineoperatore, producendo alcuni reportages di tipo politico e sociale. Nel 1975 inizia a occuparsi di fotografia, lavorando nelle strade e nelle piazze della contestazione e nel 1977 si trasferisce a Parigi. Da qui iniziano i suoi viaggi come fotografo reporter, dapprima con agenzie francesi, in seguito per conto di agenzie americane e per riviste internazionali (Newsweek, Der Siegel, Time, The New York Times ), per i quali “copre” in assignement situazioni di crisi e di conflitto in America Latina, Africa, Balcani, Medio Oriente.

Nel 1992 conquista il premio World Press Photo (nella categoria Daily Life, stories) con un servizio su un’epidemia di colera in Perù e nel 1999 la menzione d’onore allo stesso concorso per un reportage sul Kosovo.  Nello stesso tempo inizia a lavorare su progetti a lungo termine: “Il Rumore delle Sciabole” (1986-1988), suo primo progetto e libro, documenta la società cilena durante gli ultimi due anni della dittatura militare del Generale Augusto Pinochet. Successivamente si rivolge sempre di più verso progetti personali di documentazione che gli permettono di affrontare una storia in modo più articolato e meno condizionato dalle esigenze e richieste dei settimanali, come nel reportage che ripercorre la via della tratta degli schiavi dal Benin alle piantagioni di canna da zucchero della Repubblica Dominicana e di Haiti, o come in quello sulle tre malattie che devastano i paesi del terzo mondo – aids, malaria e tubercolosi – realizzati negli anni Novanta e Duemila. Vincitore del Premio Enzo Baldoni 2006, del Taf Prize a Lucca Digitalphotofest. Diversi progetti tra cui due importanti da menzionare:

– il progetto sulla coltivazione del caffè nel mondo, realizzato in diversi paesi – Brasile, Costa Rica e Tanzania – commissionato da Lavazza.

– il servizio “The Shadow and the Life/L’ombra e la Vita”, che documenta in Uganda e in Russia i danni prodotti dall’HIV alla popolazione e in Uzbekistan quelli prodotti dalla tubercolosi, è stato finalizzato, con un libro ed una mostra, da MUVAPRED (Mucosal Vaccines for Poverty Related Diseases) come progetto di ricerca scientifico finanziato dalla Commissione Europea con l’obiettivo di realizzare vaccini in grado di contrastare malattie quali l’AIDS/HIV, la tubercolosi e la malaria, facilmente applicabili in paesi in via di sviluppo. Il progetto, sostenuto da MUVAPRED come consorzio di 24 gruppi di ricerca, dislocati in 10 differenti paesi tra Europa e Africa, è stato coordinato presso Novartis Vaccines and Diagnostics di Siena. Dal 2000 è membro associato dell’agenzia foto giornalistica tedesca Zeitenspiegel Reportagen, per la quale sta lavorando ad un progetto sulle frontiere nel Mediterraneo e Medio Oriente. A proposito della fotografia di Ivo Saglietti è stato osservato come egli appartenga a quella “nobile schiera” di fotografi per i quali è importante partecipare emotivamente, quasi empaticamente, alla realtà che stanno vivendo, stabilendo con le persone che ritrae un rapporto umano. Ciò che gli preme raccontare è l’uomo e il suo destino.

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