Si sappia che le menti mediocri sono la regola, le buone l’eccezione, le eminenti rarissime e il genio un miracolo.
Arthur Schopenhauer
La società della mediocrazia è una ragnatela relazionale che amalgama i despoti, gli esperti, gli incompetenti e gli utenti nella medesima condizione esistenziale, e gli strumenti della mediocrità condivisa sono l’illusione, l’apparenza, la docilità… insomma fingersi migliori di quello che si è! Posizionarsi dove il vento della finanza/politica tira… non disturbare mai nessuno e soprattutto mai far nulla che possa contrastare i dettati comportamentali dell’ordine economico e sociale. Dire la mia parola è no!… significa disertare la cultura circolare dell’idiozia e uscire dalla mediocrità nella risorgenza dell’immaginario liberato. Il rapporto tra mediocrità e governance (già studiato da Schopenhauer, Kierkegaard, Marx, Gramsci) si sviluppa ancor prima della seconda guerra mondiale, con la comparsa di grandi aziende e multinazionali, poi mutuato da leader politici di destra e di sinistra: “Nella governance la misura dell’efficacia è la salute del settore economico e finanziario. Così muore la politica, cancellata dai diktat manageriali. Basta osservare il linguaggio nel dibattito pubblico. Non parliamo più di popolo ma di società civile, i cittadini diventano partner, riprendendo appunto un lessico del settore privato anche nella politica e le relazioni sociali (…) L’esperto è una figura centrale della mediocrazia: si sottomette alle logiche della governance, sta al gioco, non provoca mai scandalo, insegue obiettivi. È la morte dell’intellettuale” (Alain Deneault). Tutto vero. La vera peste del mediocre di successo è la somiglianza con la mediocrità generalizzata: il compromesso, la corruzione o la connivenza con i poteri mafiosi della politica lo riproduce e il divenire gli appartiene!
La fotografia della mediocrazia si riflette in ciò che la marca d’insignificanza… orde di fotografi senza fotografia si eccitano al richiamo dell’immagine mercatale e replicano le aberrazioni culturali della società contemporanea, che ha un solo programma, quello di arricchire le multinazionali, i paradisi fiscali, meno diritti per i lavoratori, distruzione del servizio pubblico, inquinamento drastico del pianeta, gestione privata delle pandemie, integrazione con guerre neoliberiste che condannano nell’inedia l’intera umanità. La fotografia della mediocrazia si può riassumere tanto nella fotografia insegnata, quanto in autori come Stephen Shore… fotografo statunitense nato nel 1947… per molti scrivani da riporto o fotografi del cretinismo edulcorato, è stato un talento precoce, a soli 14 anni presenta le sue fotografie ad Edward Steichen, il direttore del MoMa di New York, e da lì s’innalza ad apostolo della fotografia moderna… del resto, avendo un mentore come Steichen, un pittorialista raffinato nell’estetismo da salotto borghese, Shore non poteva che approdare a gratificanti riconoscimenti. A scuriosare nelle sue fotografie di viaggio negli Stati Uniti, si capisce che gli oggetti di cattura — stanze in cui ha dormito, pasti consumati, persone, strade, stazioni di servizio, motel, automobili, parcheggi —, specie parcheggi, automobili, strade… tutti fotografati su dominanti, verdi, rosse, gialle… figurano una devozione mondana di seconda classe… qui si annusa il colorismo della quotidianità come un’atarassia dei sentimenti affrescati nella dossologia accademica.
Le immagini della mediocrazia che mette in scena Shore riflettono la bonomia accreditata e le istantanee che dice di fare — latrine, cartelli stradali, cavi elettrici, insegne pubblicitarie —… non sono proprio icone di trasformazione del paesaggio tradizionale americano (come dicono), ma una sorta di segnaletica lessicale che scade nella consolazione dell’ordinario. La frequentazione della Factory di Andy Warhol, un abile millantatore assurto a “genio” di mercati d’alto bordo quanto di centri commerciali, gli deve aver fatto comprendere che la fotografia meno dice più si vende! E l’ha capito bene! Le sue lezioni di fotografia lo confermano… i discepoli infatti leggono e fanno fotografie come mangiano le zuppe Campbell’s di Warhol… una sollecitazione per i mediocri in tutto, perfino nel farsi le seghe con la necessaria passionalità… che vedono nelle istruzioni per l’uso della fotografia moderna di Shore, l’uscita di sicurezza dell’iconografia sommaria: quando la stupidità dei maestri si concilia con le loro dottrine e perfino con le loro vittime, vuol dire che la cultura anestetizzante ha preso il posto della soggettività creativa e il cammino è quello di non mettere mai in discussione il sistema che lo detta. Tutto rientra nella standardizzazione del pensiero, la “media” diventa la norma e la mediocrità viene eletta a modello! La fotografia della mediocrazia incoraggia l’educazione alla passività, all’affidabilità, alla religione d’impresa in ogni ambito della vita sociale… i fotografi non sono nemmeno sfiorati dallo spirito critico, unico grimaldello culturale per disertare dalla “linea mediana” delle regole stabilite… piegarsi in maniera ossequiosa a una visione del mondo come unica prospettiva del neoliberismo, del resto, è l’apogeo del mediocre. Alla periferia di Dio c’è sempre il Dia-volo e veste Prada! La moda di ogni moda è la prima gogna che introduce a una vita devota alla mediocrità! Non ne vogliamo mangiare di questo pane.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 3 volte gennaio 2022
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