“A quell’epoca le ceneri degli Ebrei mandati ai forni servivano a condire il suo cibo.
«Chiudete gli occhi», consigliavano le anime sensibili.
«Non distogliete lo sguardo», supplicavano i suppliziati.
La porta aperta della fossa comune o sulla vita, era il triangolo disegnato dalle gambe dei nostri conquistatori. Bisognava chinarsi , mettersi carponi per varcarla. Onore a quanti vi sono rimasti calpestati. Onore a quanti hanno avuto il cranio fracassato dagli stivali del nemico che sfilava al ritmo dei suoi inni di gloria; perché, sia pure per un istante, hanno interrotto il ritmo del suo canto, intralciato il suo spiegamento sonoro. La vittoria sta nella pienezza. Basta una nota stonata perché l’edificio crolli.
L’evidenza ha ucciso la sorpresa.
Allora, tutto è stato evidente”.
Edmond Jabès
Nella filmografia più importante della Shoah, La zona d’interesse (The Zone of Interest, 2023) di Jonathan Glazer occupa un posto preminente… è un’opera che mostra l’orrore ordinario dell’immaginario nazista e anche la coscienza e l’incoscienza dell’impossibile vissuto come possibile… basta un minuto per dimenticare la mattanza di un popolo ma, a volte, occorre un film per ricordare l’eternità di un genocidio che rende la vergogna del totalitarismo nazista, ancora più vergognosa… è vero, “vittima dell’ingiustizia, l’Ebreo è il nemico di chi fonda la sua giustizia sull’ingiustizia. Essendo d’intralcio ai poteri assoluti, è bersaglio di chi detiene i poteri assoluti; d’intralcio perché renitente” (Edmond Jabès).
Tuttavia l’Ebreo quando disconosce il diritto di avere diritti a un altro popolo come quello palestinese, discopre anche la trasparenza del delitto di Stato che Israele impone come monopolio del terrore… si tratta di non confondere giustizia e verità… perché il colpo di grazia a un uomo o a un popolo non significa edificare una testimonianza storica ma celebrare un’accidia che divora gli occhi che vedono. Il vento dell’inferno dei ricchi soffia per rendere soddisfatti gli assassini.
L’aveva già scritto Hannah Arendt in La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme… vedeva in Adolf Eichmann, uno dei maggiori responsabili dello sterminio degli ebrei, come l’incarnazione della “banalità” servile che fa di un uomo un criminale della nomenclatura nazista e sarà fedele fino in fondo alla propria degradazione di macellaio: «Salterò nella mia tomba ridendo, perché la sensazione di avere sulla coscienza cinque milioni di esseri umani è per me fonte di straordinaria soddisfazione» (Adolf Eichmann). Il 1° giugno 1962 viene impiccato nella prigione di Ramia (Israele) e le sue ceneri disperse nel Mar Mediterraneo fuori dalle acque territoriali israeliane… sembra che nemmeno i pesci di fondale non ne hanno voluto mangiare di quel pane.
Per non dimenticare: Eichmann, Josef Mengele (responsabile del programma di eugenetica del regime di Adolf Hitler), Walter Kutschmann (ex capo della Gestapo in Polonia), Josef Schwammberger (ex comandante delle SS), Ante Pavelich (dittatore croato), Abraham Kipp e Jan Olij Hottentot (criminali di guerra olandesi) e più di 250 mila gerarchi e criminali nazisti furono aiutati a espatriare in Sudamerica da banchieri tedeschi, svizzeri, servizi segreti americani, Croce Rossa Internazionale e lo Stato Vaticano che fornirono sostegno economico, documenti e passaporti… permisero a degli assassini di giungere nei Paesi dove il cattolicesimo era predominante (Argentina, Cile, Bolivia e Paraguay)… Eichmann, sotto il falso nome di “Ricardo Klement”, portò con se la famiglia e gli fu trovato un lavoro negli stabilimenti della Mercedes a Buenos Aires. La struttura che si occupava della copertura e salvataggio dei criminali si chiamava O.D.E.S.S.A. (acronimo di Organizzazione di ex-membri delle SS, tra i quali alti gerarchi nazisti come Heinrich Himmler, Martin Bormann, Albert Speer)… era stata fondata alla Maison Rouge di Strasburgo (Francia orientale) il 10 agosto 1944. Il sistema di corrieri che si snodava tra la Svizzera, Austria e Italia, era protetta dalle ambasciate di Spagna, Egitto, Siria, Argentina e la chiamarono (giustamente) la via dei ratti 1943.
La zona d’interesse si dipana sulla vita ordinaria di Rudolf F. F. Höß (Höss), la moglie Hedwig, i loro cinque figli e i personaggi di contorno che s’incrociano nella cosiddetta area d’interesse, circa 25 miglia attorno al campo di stermino di Auschwitz. La casa di Höß e adagiata al muro che li divide dal campo, sovrastata dai camini che fumano giorno e notte… si sentono solo voci, latrati di cani, grida, rumori di treni e fornaci che provengono di là dal
muro… tutti sono ciechi e sordi alle oscenità che i nazisti stanno effettuando sulla cancellazione di ebrei, zingari, omosessuali, folli, svantaggiati, deformi, dissidenti, comunisti, anarchici… la famiglia Höß passa le giornate a nuotare, pescare, passeggiare in riva al fiume… Hedwig cura il giardino e i rapporti con la servitù (ragazze polacche), altri detenuti col vestito a righe e la stella gialla sul petto si occupano dei lavori pesanti. La signora Höß non disdegna d’indossare pellicce, gioielli, cosmetici che appartenevano ai gassati.
L’atmosfera è quella che regna in una famiglia borghese che attiene ai riti dei compleanni, della buona tavola, dei rapporti con gli ufficiali nazisti che si occupano della “soluzione finale” della questione ebraica. Il comandante Höß è persona efficiente, ligia al mestiere di boia… approva con baldanza il
progetto di un nuovo forno crematorio realizzato dalla premiata ditta JA Topf & Söhne, specializzata in camere a gas… molto attiva nei principali campi di sterminio… i loro inceneritori-crematori furono brevettati dallo Stato nazista e dopo la guerra l’azienda venne trasformata in una società statale e poi in una GmbH (società a responsabilità limitata).
Successivamente le fabbriche sono state demolite ed è rimasto solo l’ex edificio amministrativo aperto al pubblico nel 2011 come luogo commemorativo sulla responsabilità della Topf & Söhne nella macellazione ebraica. Ci dà un qualche sollievo sapere che uno dei fratelli Topf (Ludwig) si
sia ammazzato con la svastica nel cuore… quando uno è nazista nell’anima la sola cosa che si porta in cielo o all’inferno (che è lo stesso) è l’imbecillità di credere a una razza superiore dispensata da un imbecille più grande, aureolato dal popolo tedesco, Hitler… gli infatuati d’ogni totalitarismo appartengono alla genia dei tarati e si possono prendere in considerazione solo quando sono stati passati per le armi. Ecco perché amiamo più i cani perduti senza collare che gli uomini incartati nelle fedi o nelle ideologie.
Nel corso di una gita sul fiume in canoa con i figli, Höß si ferma a pescare e i figli giocano nell’acqua… vede avanzare le ceneri degli ebrei nella corrente… ha un attimo di smarrimento, di preoccupazione… una lavata porta via il lezzo degli ebrei e il corso delle cose riprende in tutta normalità… la madre di Hedwig giunge in visita alla figlia e ai nipoti… resta attonita dalle fiamme del crematorio visibili dalla camera delle bambine e dal giardino… se ne va sdegnata della situazione che la figlia definisce come un paradiso. Höß viene promosso a vice ispettore dei campi di concentramento e dovrà trasferirsi a Orianenburg, vicino a Berlino.
Hedwig e i bambini rimangono nella casa ad Auschwitz.
Höß ha una relazione con una detenuta politica (Eleonor Hodys) del campo… gli storici scrivono che proprio i rapporti di Höß con l’internata, appropriazioni e crudeltà sui prigionieri, sono alla base del suo allontanamento da Auschwitz (?!)… a Berlino Höß mostra la sua efficienza organizzativa… l’operazione consiste di traghettare oltre 800.000 ebrei ungheresi in diversi campi di concentramento, impiegare il 20% dei prigionieri nel lavoro forzato e di sterminare il resto. Il successo di questa carneficina lo potrà ricongiungere con la famiglia.
Höß lascia il suo ufficio di Berlino… mentre scende le scale è assalito da conati di vomito ma non riesce a vomitare… cambia lo scenario… siamo ai nostri giorni… inservienti del Museo statale di Auschwitz-Birkenau puliscono l’ambiente delle camere a gas, i forni crematori e le stanze dove sono conservati migliaia di oggetti personali delle vittime… stacco e ritorno su Höß che riprende a scendere le scale inghiottito nell’oscurità.
La zona d’interesse è tratto dal romanzo omonimo di Martin Amis (uscito per Einaudi nel 2015)… Glazer scrive la sceneggiatura e realizza con un’austera bellezza figurativa un’opera tra le più forti che hanno trattato le tematiche della Shoah. La fotografia del polacco Łukasz Żal, talentoso autore delle immagini dei film di Paweł Pawlikowski, Ida (2013) e Cold War (2018), conferisce al film una suggestione estetica di forte presa del reale e al contempo lo incastona in una straniante dolcezza. Il montaggio di Jarosław Kamiński (polacco) e la musica i Mica Levi (cantautrice e compositrice britannica) introducono la lettura del film tra la percezione oggettiva e l’introiezione della dissimulazione tragica… i dettagli entrano negli sguardi e i suoni si riverberano nella metafora assurda dell’omicidio di massa.
L’attorialità misurata, quasi rarefatta di Sandra Hüller (Hedwig Höß) e Christian Friedel (Rudolf Höß) infonde a La zona d’interesse l’impalpabilità del dolore e al contempo l’agonia di una certezza che rende i campi della vergogna ancora più vergognosi.
Agli Oscar 2024, Glazer, dopo aver ricevuto il premio per il miglior film straniero, molto emozionato, con le mani che tremano, legge un biglietto: «Il nostro film mostra dove porta la disumanizzazione nella sua forma peggiore.
Siamo qui come persone che rifiutano il fatto che la loro ebraicità e l’Olocausto vengano strumentalizzati da un’occupazione che ha portato al conflitto così tante persone innocenti (…) Che si tratti delle vittime del 7 ottobre in Israele o dell’attacco in corso a Gaza, tutte vittime di questa disumanizzazione, come possiamo far finta di niente?”. Il mese prima il produttore di La zona d’interesse, James Wilson, nel corso degli BAFTA Film Awards, aveva detto: «Quei muri non sono una novità prima, durante o dopo l’Olocausto. E sembra evidente in questo momento che dovremmo preoccuparci delle persone innocenti uccise a Gaza o nello Yemen nello stesso modo in cui pensiamo alle persone innocenti uccise a Mariupol o in Israele». I bottegai ebrei di Hollywood s’indignano e scatta l’antisemitismo… nessuno può dire che Israele commette eccidi nello stile disinvolto dei nazisti e dei comunisti… oltre mille ebrei legati alla fabbrica delle illusioni firmano una lettera di protesta contro l’ebreo inglese che si è permesso di dire che la disumanità di tutte le guerre porta al massacro dell’innocenza d’interi popoli.
Va detto. Le guerre sono il prodotto dei piani finanziari, militari, politici, religiosi, culturali della civiltà dello spettacolo (e dei comunismi di Stato) e sono l’espressione armata della dittatura della mediocrazia… l’Impero della merce che aspira a dominare il pianeta esprime una genealogia del fanatismo ed è la macchina da guerra del capitalismo saprofita che impone le proprie regole. L’odio che scaturisce dalle religioni, dal terrorismo di Wall Street, dal mercato delle armi strozza in gola la verità violentata dalla delocalizzazione, colonizzazione, espropriazione, oppressione, sfruttamento, disuguaglianze… e guida gli omicidi, le stragi, i genocidi… ed è l’odio che arma la mano dei criminali, dei dittatori, dei tiranni, degli assassini che albergano nei governi… la zona d’interesse è la grammatica degenerativa del mercato globale, il catechismo necrofilo dei capi di stato che falcidiano la ragione a favore del dispotismo.
Per tutto questo siamo sempre stati istintivamente dalla parte dei perdenti d’ogni causa, anche quelle perse in partenza… abbiamo preferito la giustizia all’imposizione… gli utensili per rovesciare un mondo rovesciato sono tutti buoni, e in ogni caso, senza nessun rimorso.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 8 volte aprile, 2024
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Pino Bertelli è nato in una città-fabbrica della Toscana, tra Il mio corpo ti scalderà e Roma città aperta. Dottore in niente, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema e fotografia. I suoi lavori sono affabulati su tematiche della diversità, dell’emarginazione, dell’accoglienza, della migrazione, della libertà, dell’amore dell’uomo per l’uomo come utopia possibile. È uno dei punti centrali della critica radicale neo-situazionista italiana.
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