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GLI SCUGNIZZI / CARACCIOLINI: IMMAGINI DI UNA MEMORIA NAPOLETANA 2° Parte

di Pino Bertelli

La fotografia dell’indignazione figurata negli scugnizzi / caracciolini, come vedremo più avanti, non è classificabile all’interno della cultura/politica dell’ostaggio che impera da sempre a Napoli… i piccoli diseredati, fotografati nei bassi, in un atelier o tra le barche di legno dei pescatori… sono destinati ai riformatori, ai collegi, alla morte per strada… e non ci sono sbirri, né maestri, né “anime pie” che tengano… o si è dalla loro parte o siamo complici di una barbarie prolungata esercitata contro gli ultimi… avendo rinunciato alla santità, vogliamo dire che è riprovevole scrivere una lettera d’amore (o fare una fotografia) per chi non ha voce né volto, con un dizionario… nulla eguaglia l’odio della politica verso gli straccioni che la denudano e impediscono a ciascuno di portare consenso e ricchezze alla menzogna che incarnano.

L’indifferenza è l’insulto più lusinghiero che si possa rivolgere a un individuo o a un popolo ridotto alla fame… ecco perché non possiamo immaginare un politico, un religioso o un saggio che non abbia un’inclinazione da assassino… e pensare che basterebbero cinque minuti di lucida anarchia per mettere fine a tutte le promesse e le illusioni che questi scellerati della morale, dispensano a ogni girata elettorale. Amare il potere è una cosa inconcepibile… è sempre quello che ammiriamo a farci servi volontari o pagliacci di corte… alla compagnia di politici, intellettuali o preti preferiamo di gran lunga quella di un ritardato che si è messo a contare le stelle… solo ciò che invita al rovesciamento di prospettiva di un mondo rovesciato, merita di essere ascoltato o vissuto.

Una società democratica degna di questo nome… aderisce all’amore verso chi soffre o non è niente… in una comunità autenticamente democratica, che potremmo chiamare consiliare o partecipativa, “l’interesse generale deve prevalere sull’interesse particolare, l’equa distribuzione delle ricchezze prodotte dal mondo del lavoro dove prevalere sul potere del denaro” (Stéphane Hessel). La resistenza sociale è al fondo dell’indignazione popolare, si tratta di affinare lo sguardo, scavare, trovare le figure dell’indignazione e respingere insieme tutte le forme di totalitarismo, fascismo, nazismo, comunismo e infrangere le chimere del libero mercato che sono al fondo degli imperi neocolonialisti della civiltà dello spettacolo. Stéphane Hessel, 93 anni, ex-partigiano francese, uno degli estensori della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) scrive: “Ai giovani dico: guardatevi attorno, e troverete gli argomenti che giustificano la vostra indignazione, il trattamento riservato agli immigrati, ai sans papiers [ai clandestini, ai migranti, agli scugnizzi d’ogni terra], ai rom. Troverete situazioni concrete che vi indurranno a intraprendere un’azione civile risoluta.

Cercate e troverete”. Indignarsi contro i palazzi del potere significa ritrovare la stupefazione dei bambini con i piedi scalzi nel sole e la pioggia sulla faccia… abbeverarsi alle riserve del disprezzo e denudare secoli di false speranze tradite… mettere fine alle implorazioni e riprendere nelle proprie mani la vita quotidiana. Il disgusto è un sintomo di salute al servizio della conoscenza… indica la fine del confortorio sociale e la caduta dei costruttori di destini feriti… il potere esiste fintantoché dura la seduzione che lo incensa… non è grazie ai dominatori, ma grazie alla sofferenza, e solo grazie ad essa, che la facciamo finita di essere burattini attaccati ai fili di qualche burattinaio. Indignarsi vuol dire cambiare alla radice la società… se davvero il Palazzo è l’origine di ogni bruttura, perché non incitare a distruggerlo? I filosofi si sono limitati ad interpretare il mondo, ora tocca ai popoli violentati e alle giovani generazioni cambiarlo.

Gli scugnizzi / Caracciolini Immagini di una memoria napoletana

Questo scritto è dedicato a due compagni di strada (il gobbo e il mancino) 

che si sono persi ai quattro venti della terra o sono volati nella vita sognata degli angeli… 

avevano i pantaloni corti con le toppe, una bretella di traverso

 e rubavano i baci al profumo di tiglio alla figlia del cenciaio, 

portava le calze nere con la riga storta che le conferivano 

la regalità di una regina povera…

 

…e a un poeta e amico che un’estate degli anni ’50 

mi fece comprendere che l’amore è nella strada e solo l’amore 

aiuta gli uomini e le donne a essere un po’ meno soli… 

per l’amore come per la libertà non ci sono catene… 

si chiamava Pier Paolo Pasolini.

“Io stavo seduto alla punta della ferrovia vide arrivare una famiglia di forestieri che parlavano fra di loro, chiamarono dei facchini, allora rispose io brave gente mi fate il faore di chiamarmi a me invece di chiamare i facchini perché io ho più fame gli altri perché nessuno mi vuole allora dissero i forestieri fai due o tre capovolte io le feci e mi dietero due lire poi dissero tutti siete porci voi napoletani io rispose voi vene abbusate che io non ho mezi di vivere altrimenti io fossi meglio di voialtri ma perora io non sono porco ma siete voialtri che prima ci fate fare le capovolte e poi ci chiamate porci ma ricordatevi che io sono buono di farmi voler bene da tutti. Voi che siete signori io mi levo il berretto ma per indeligeza son meglio di voi avete capito? Scusatemi gentilissima signora Civita io ringrazio tutti i superiori che mi hanno portato a questo stato ma io son piccolino e all’evolte fo delle piccole manganze ma però il signor Comandante mi rimprovera per farmi venire su buono. La cara signora Civita che se ne affliggi di me e tanto se ne cura da che io ero analfabeta ora scrivo da per me solo senza che nessuno mi díce níente e io lo devo tutto a lei che mi aiuta o come mia vera madre. La sera quando vado in branda penso quando i forestieri mi facevano fare le capriole ma io adesso vorrei vedere quel forestiere che mi chiamava porco in vece adesso vade vestito meglio di loro da marinaio Italiano e oppure un paio di scarpe nnere. Io ringrazio pure il reverente Viggiani che mi ha fatto venire. Se pure mi mandano in guerra io muoio col nome della mia cara signora Civita e col nome della patria e viva l’Italia”.

                                                                                                                                                                                  Lastro Raffaele, caracciolino

Giulia Civita Franceschi e i Caracciolini sulla nave Caracciolo
  1. La nave-asilo Caracciolo

La fotografia muore di fotografia, perché l’umanità è guardata sempre (o quasi) attraverso la propria ignoranza e la propria paura. La sola fotografia buona, è quella che possiamo vedere due volte, senza bruciarla. Il mercimonio di ogni arte bruttura l’uomo e lo rende prono a ogni potere. Una storia e coscienza di classe (György Lukács) della fotografia non c’è stata e tutti i luoghi di marginalizzazione forzata (ghetti, carceri, manicomi, campi di sterminio, periferie invisibili delle città…) entrano nella schedografia fotografica ma raramente sono studiati a fondo, quando non indicati come “modelli” da superare… la fotografia di strada è un atlante di conoscenze che vanno ben oltre le immagini scippate alla vita quotidiana… è il superamento della logica economica mercantile della moda, della guerra, dell’avanguardia… come strumenti invasivi e persuasivi della società dello spettacolo che accede a statuto di sovranità assoluta e deplora o punisce chi diserta o disobbedisce alle regole imposte. “Lo spettacolo è un rapporto sociale fra persone, mediato dalle immagini… lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione che diventa immagine” (Guy Debord). Lo spettacolo è l’insieme della comunicazione umana mutata in merce. La storia insegna che sovente la gioventù più bella muore in galera o costretta all’esilio… l’amore di sé e per gli altri è il solo mezzo per abolire lo stato presente delle cose ed esigere non solo il pane, ma anche il profumo del- l’acacia blu.

Il pudore della fotografia sociale muore con l’innocenza e l’autenticità dei bambini di strada di Napoli e del mondo (non solo) nei primi del Novecento… può parlare di fame solo chi la fame l’ha conosciuta o chi l’ha aiutata a superare e a sconfiggere. Una signora della buona borghesia napoletana, Giulia Civita Franceschi (1870-1957) è stata l’artefice di un “sistema pedagogico” che porta il suo nome — “Sistema Civita” —… era un metodo educativo singolare, si trattava di recuperare i bambini senza famiglia nelle strade di Napoli, ragazzi abusati in molti modi che venivano sottratti alla sicura delinquenza ed esposti a ogni tipo di malattie… poneva in primo piano i valori di accoglienza, dignità, solidarietà e faceva dei piccoli sbandati futuri uomini… era un’educazione del cuore che aiutava ogni bambino a riconoscersi nei propri valori e nei propri talenti… il Ministero della Marina fece dono alla città di Napoli la nave Caracciolo e tra il 1913 e il 1928 fu destinata ad accogliere gli orfani dei marittimi e dei fanciulli abbandonati di Napoli (750 anime in fiore) che giornalisti, storici e fotografi poi hanno chiamato “Scugnizzi”. Giulia Civita Franceschi salì a bordo della Caracciolo nel 1913 e vi rimase fino al 1928, anno in cui fu allontanata dal regime fascista. Una delle maggiori forme di pedagogia dell’infanzia mai conosciute e apprezzate in tutto il mondo ancora oggi, cadde nell’oblìo, ma non c’è nessun potere, per quanto oppressivo sia, che possa soffocare la prodigalità dei buoni poeti (come Salvatore Di Giacomo) o di angelesse della povertà (come Giulia Civita Franceschi) che sconfiggevano i falsi valori dominanti (compresi quelli della chiesa).

Gli scugnizzi divenuti marinaretti sulla nave-asilo Caracciolo, in un primo tempo erano accolti e lasciati liberi di muoversi e scoprire gli altri… poi avviati all’apprendimento della pesca e alla coltura dei mitili nel lago di Fusano… alla scuola affiancavano l’iniziazione al lavoro come meccanici, falegnami, pratica della vita marinara… l’età era compresa tra i 6 e i 16 anni… i marinaretti dormivano in brande attaccate ai soffitti… la Signora Civita era sempre a bordo della nave-asilo e infondeva ai ragazzi un’atmosfera di fraternità e solidarietà… i caracciolini, come testimoniano giornali, documenti, cartoline… resteranno fortemente legati e riconoscenti alla loro “madre” e innumerevoli sono i visitatori, anche internazionali, che si avvicenderanno sulla nave-asilo per conoscere il “Sistema-Civita”. Alcuni caracciolini moriranno in guerra, altri troveranno un posto nella “società civile”, altri ancora faranno fortuna come imprenditori della loro intelligenza… nessuno dimenticherà mai la Signora Civita Franceschi, né la nave-asilo della loro salvezza. 

Il primo “linguaggio” è stato il toccare, la prima “lingua” il canto, l’immagine poi ha raccontato che là dove le strade dei poveri s’incrociano, i loro cuori si danno del tu!

“A queste creature la nave donò una seconda nascita. Vi arrivavano laceri, pallidi, sperduti e vi ritrovarono il sorriso e, quasi sempre, la salute del corpo, insieme a quella dello spirito. La famiglia, che non conoscevano, appare ad essi come una improvvisa rivelazione. Dimenticarono prestissimo le vedute turpitudini, l’eloquio volgare della strada, e le qualità sopite di gentilezza e di bontà riaffiorarono, man mano che il corpo e il respiro rifiorivano in un ambiente, che, volutamente si intonava alla fanciullezza, sommersa da conoscenze intempestive o da pericolose libertà… questo popolo infantile, disperso nel vento e nel sole, nella miseria, è una caratteristica della nostra città” (Giulia Civita Franceschi, 1947). Gli scugnizzi non furono solo “futuri soldati della patria” (Andrea Viggiani, sacerdote, 1914), più di ogni cosa i caracciolini sono stati l’espressione di una comunità amorosa che ha dato voce e corpo (immagine) a chi non l’aveva mai avuta. “Ciò che ogni giorno ci uccide — diceva un saggio — non è la morte ma l’avvilente vita” (Edmond Jabès). I caracciolini ci ricordano ciò che non è più… i loro volti, i gesti, gli sguardi erano colmi di speranze che alimentavano domani migliori… hanno colto le rose della vita e mostrato più tardi di essere uomini liberi e creatori dei propri sogni, al di là del bene e del male.

…continua

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