- Di Bernhard Walter (1911-1979).
“Donne vecchie e giovani sono lì, in piedi sulla rampa, con i neonati in braccio e i bambini più grandi per mano, o aggrappati ai vestiti, spaventati.
Accanto ci sono gli uomini, vecchi e giovani. Di lì a poco, saranno sottoposti a un processo di selezione che ne manderà a morire la maggior parte in modo orribile, nel giro di qualche ora. Questo è uno dei tanto gruppi di ebrei ungheresi che furono deportati dalla Rutenia carpatica ad Auschwitz-Birkenau nel giugno del 1944.
La stella gialla cucita sui loro abiti sembra sproporzionata, tanto è grande: ci fissano con occhi stanchi, spaventati, indagatori, intimoriti, dolci, ma anche coraggiosi, occhi che ci pregano di dare una risposta…”
Avner Shalev
La fotografia della persecuzione ad Auschwitz-Birkenau supera la megalomania dei governi, dei conventi e delle caserme… e soltanto fotografi di una certa ambizione estetica, convertiti al delirio d’onnipotenza di un tiranno o di un mercato, un museo o una galleria di lignaggio borghese, e Bernhard Walter (il più fotografo più accreditato dell’Album Auschwitz) esce da questo stampo non proprio creativo… quantomeno dalla medesima fiera della falsità… è il risultato di epoche corrotte che proprio come quelle moderne, hanno operato e operano sulla dissoluzione delle morali, delle razze, delle culture. La stupidità, si vede, caratterizza i momenti culminanti della storia e l’equivalenza politica ne rivendica l’asprezza quanto le fosse comuni… occorre la prostrazione di un idiota o di un credente per sostenere la distruzione di universi sociali che non vogliono integrarsi nella realtà, senza arrossire di vergogna.
Walter è stato un SS-Hauptscharführer e capo del servizio di identificazione del dipartimento politico nel campo di sterminio di Auschwitz. Insieme al suo assistente, Ernst Hofmann, il vero fotografo, è considerato uno degli autori dell’Album Auschwitz (circa 200 fotografie). Un ex prigioniero ricorda lo scoramento di quei giorni: “Le camere a gas lavoravano a ciclo continuo, giorno e notte. Una colonna di fuoco saliva dai camini di Auschwitz e restava sospesa in area insieme a una densa nuvola di fumo. I crematori, riempiti fino all’inverosimile, esplodevano e uno dei camini venne demolito. Ma l’officina della morte non si fermava mai e fu riattivata per- sino la camera gas della casa colonica presso il bunker 2, chiusa nel 1942. Furono scavate enormi fosse dentro le quali venivano bruciati i cadaveri. Molti testimoni riferiscono di bambini arsi vivi nelle fosse di Birkenau”5. I cittadini delle campagne intorno ad Auschwitz tuttavia non avvertono né cattivi odori, né vedono quel fumo nero né la cenere che il vento porta sulle loro case… almeno così dicono ai soldati che liberano il campo e nei documentari del dopoguerra… pensavano forse che in quel campo di sterminio si coltivassero patate o crauti per il pranzo do- menicale dopo la messa?
Nella gerarchia della menzogna i tedeschi non sono secondi a nessuno in fatto di efferatezze… gli uomini d’ogni Paese sentono l’onore per la Patria come un carnefice quello della vittima… e basta uno sgozzatore qualunque che sale al potere che ne rivendicano le aberrazioni. Il destino dei popoli è quello di seguire un profeta o un bastone… e chiunque non accetti la soggezione a un capo, un “creatore” o un assassino diagnosticato già nell’infanzia, rende legittima la sua soppressione. Per mettere in onore la politica, si devono come prima cosa impiccare i moralisti che la detengono, Nietzsche, diceva… il gregge che li sostiene affoga nella propria insignificanza o nel trasformismo ideologico nel quale resta gregge.
Le immagini dell’Album Auschwitz si riferiscono al “reinsediamento degli ebrei ungheresi” (come dicevano i nazisti), e documentano lo sterminio di quasi mezzo milione di ebrei ungheresi. La professionalità dei fotografi nazisti è innegabile… la qualità tecnica delle immagini lo dicono… uso sapiente degli obiettivi, controllo della luce, inquadrature di forte presa del reale… specie in certi ritratti ravvicinati, i deportati sono fotografati con il giusto di- spregio… una catalogazione da bestiario allo scannatoio.
In alcuni casi l’intenzionalità dei fotografi è davvero rivoltante… come i ritratti di Rabbi Leib Weiss, Rabbi Naftali Weiss o quello del giovane disabile deposto su una spagliata poltrona di vimini, prima d’essere gassato (come abbiamo già descritto sopra)… e gli inabili al lavoro, i bambini impauriti, indifesi, violati nella loro innocenza e avviati alle camere a gas… qui i fotografi sono stati davvero all’altezza dei loro crimini… le loro fotografie pietrificano sorrisi e speranze di gente indifesa e umiliata… che è la prerogativa degli imbecilli senza rimpianti.
I persecutori, anche i meno raffinati, quelli che prendono gli ordini sul serio, si fortificano nel- l’abominio e l’idiozia che accompagna la loro servitù si lascia dietro, e a futura memoria, una cartografia fotografica disseminata di salme. Siamo dispiaciuti che dopo la fine della guerra, Walter abbia scontato solo pochi anni di carcere in Inghilterra e in Polonia, e che qualcuno dei sopravvissuti di Auschwitz non l’avesse appeso per il collo al cancello del campo, per non di- menticare.
Walter prima della guerra faceva lo stuccatore. Nel 1933 aderisce al Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP), tessera 3.178.708, all’Allgemeine SS… un’organizzazione che si occuperà di amministrare e pianificare le esecuzioni degli ebrei nei campi di sterminio.
Nel 1934 è nel campo di Dachau e, viste le notevoli doti di sorveglianza e classificazione, lo passano a quello di Sachsenhausen, poi lo promuovono responsabile dell’ufficio identificazioni di Auschwitz. I bravi fotografi si vedono subito… hanno quell’aria d’assassini gentili che piac- ciano a tutti i poteri… sono degli esteti del sangue… prosperano nella vaghezza del consenso come rane bollite e si trovano a loro agio tanto in un salotto borghese che in un campo di sterminio… i fotografi nazisti, proprio come quelli occidentali, vivono d’insignificanze glorificate da guerre sanguinarie o premi internazionali (che ancora ai nostri giorni mietono allori sul san- gue dei vinti)… sono l’eccellenza della volgarità estetizzata nella fatalismo dell’ecatombe.
Ricordiamolo. Walter viveva con la sua famiglia nel campo di Auschwitz. Non era solo un bravo classificatore di ebrei e identificatore di spie, era anche abile a sparare sugli ebrei inermi e per questo nel 1942 gli viene conferita la Croce al merito di guerra di seconda classe con spade. Dopo la fine della guerra sconta la prigionia in Inghilterra e poi trasferito in Polonia, condanna- to a tre anni di reclusione e privato dei diritti civili. Fu scarcerato nel 1950… e nel 1964/1965 chiamato al primo processo su Auschwitz a Francoforte. Sul banco degli imputati nega di essere co-autore dell’Album Auschwitz… il fotografo polacco Wilhelm Brasse, che lavorò agli ordini di Walter, sopravvissuto ad Auschwitz, fotografo del campo, poi tra i testimoni ai processi dei crimini nazisti, parlò a favore di Walter, dicendo che aveva tenuto un comportamento corretto nei confronti dei detenuti (?!).
A Brasse, ricordiamolo, si deve una notevole documentazione della persecuzioni degli ebrei di Auschwitz. E proprio non ci è facile raccordare la sua bonomia nei confronti dell’acredine visuale – persecutoria di Walter verso gli ebrei.
Nelle fotografie sugli ebrei del campo di Auschwitz, attribuite a Walter o Hofmann… poco importa chi le ha scattate… la spietatezza delle SS sulla gracilità di vecchi, donne e bambini ebrei (ungheresi, in massima parte), non lascia scampo sulla criminalità organizzata… come abbiamo già annotato… gli ebrei scendono dai carri merci e vengono smistati verso le camere a gas (i più deboli) o inviati ai lavori forzati (i meno fragili). Il bastone, la frusta e il mitra erano il linguaggio delle SS e la sentenza anche della “distruzione della volontà di procreazione” del popolo ebraico. In molte delle fotografie di Auschwitz, stupisce la forza identitaria degli ebrei che la paura non scalfisce… come quella in cui si vede un gruppo di donne e i loro bambini… sono ancora vestiti in maniera decente, al centro un ragazzino con la stella gialla sul petto, al collo appeso un barattolo e appoggiato a un bastone, guarda in faccia al fotografo e lo fulmina nella bellezza della sua riprovazione.
Non sono poche le fotografie di ebrei che rovesciano l’indicizzazione criminale nazista… specie donne e bambini che incrociano lo sguardo del fotografo tra la curiosità e lo sdegno… alcune donne ben vestite si defilano dall’impietosità dell’immagine, altre straziate dal viaggio e dalla vecchiaia abbassano gli occhi e si stringono ai bambini che guardano in macchina… in alcuni ritratti si vedono ebrei in abiti ancora decorosi che sembrano sfidare l’intrusione del fotografo… in una fotografia, peraltro mossa, una donna con i capelli corti e cappotto chiaro con la stella cucita sopra… passa davanti alla fotocamera… guarda in faccia il fotografo, più indignata che sorpresa… dietro si vede un soldato che detta ordini a un gruppo di uomini e li seleziona per il lavoro forzato o per la morte. Qui la donna (si chiamava Geza Lejtbs, di Budapest) non mostra nessuna supplicanza… semmai il carattere dell’ineluttabile ma senza consenso.
C’è l’immagine di Babo, la “scema del villaggio” di Tacovo… la donna è appoggiata al carro merci… la faccia è incorniciata dalla pezzola nera legata sotto il mento… tiene nelle mani un filo… lo sguardo è puntato dritto contro il fotografo… sembra percepire la selezione dei con- dannati a morte nei forni crematori. A volte basta la sbirciata di una persona fragile a interroga- re l’abiezione del potere e inchiodarlo per sempre alla storia del male. Un ordine supremo o ameno è un pretesto senza diritto di pietà.
La nazificazione della società tedesca passa da Auschwitz… Heinrich Himmler era molto soddisfatto dell’efficienza vandalica del comandante del campo Rudolf Höß (Höss)1941-1943…
fervente cattolico, volontario della croce rossa, più volte decorato con la Croce di Ferro nella prima guerra mondiale… si scrive al partito nazionalsocialista nel 1922 (tessera n. 3240), e nel 1933 è membro effettivo delle SS (tessera n. 193.616). Con le SS-Totenkopfverbände (Unità testa di morto) si distinse per l’odio viscerale contro gli ebrei a Dachau, Sachsenhausen, ma dette il meglio di sé ad Auschwitz… qui si appropriò anche di una certa quantità di beni dei deportati da riempire due carri ferroviari… Himmler e Adolf Eichmann spesero ammirazione e lodi per il lavoro fatto con l’acido cianidrico nella camere a gas… Höß si riteneva un fedele ese- cutore degli ordini di Himmler e le operazioni di sterminio ad Auschwitz non erano che una prassi manageriale volta a cancellare la pericolosità degli ebrei che volevano impadronirsi della Germania (dirà Höß nei vari interrogatori dopo la sua cattura).
Nella sua autobiografia (scritta nel corso della sua prigionia) Höß afferma: “Fin dalla costitu- zione dei campi di concentramento, questi avevano contenuto prigionieri ebrei. Ormai li cono- scevo abbastanza, fin dai tempi di Dachau. […] Non era facile a Dachau la vita per gli ebrei. Erano addetti al lavoro nelle cave di pietra, assai gravoso per loro; la sorveglianza esercitata nei loro confronti era particolarmente rigorosa, per influenza di Himmler e dello Stürmer, che veniva diffuso dappertutto, nelle caserme e nelle osterie. […] (continua)
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Pino Bertelli è nato in una città-fabbrica della Toscana, tra Il mio corpo ti scalderà e Roma città aperta. Dottore in niente, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema e fotografia. I suoi lavori sono affabulati su tematiche della diversità, dell’emarginazione, dell’accoglienza, della migrazione, della libertà, dell’amore dell’uomo per l’uomo come utopia possibile. È uno dei punti centrali della critica radicale neo-situazionista italiana.
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