“al mio amico Renzo Chini,
per tutti quegli anni passati insieme a fotografare e filmare
la vita quotidiana della città-fabbrica…
non avevano né messaggi, né missioni, solo un punto di vista documentato”
« Dietro ad ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi: caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione ».
Piero Calamandrei
Discorso agli studenti, 1955
Art. 1. “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
I. Memoria e storia della città dell’acciaio
La fotografia è l’alfabeto degli angeli, attraversa il vento della storia ed è il messaggero delle stelle che ci porta a non dimenticare… è la manifestazione del dolore, della gioia, della compassione, della fraternità, dell’accoglienza, della felicità che appartiene agli uomini, alle donne che hanno affrontato le tempeste dell’esistenza e compreso lo spirito, l’anima o l’epifania della vita giusta, della vita bella, della vita buona nel miracolo laico della vivenza quotidiana… le immagini pubbliche e private di una città sono anche il suo autoritratto.
Il grande Archivio Fotografico Lucchini, preso in carica dall’Archivio Storico Comunale di Piombino, contiene la memoria e la storia della città dell’acciaio, della città-fabbrica, della gente del ferro dagli anni ’40 agli anni ’90. Sono diecimila immagini digitalizzate (di un corpus totale di trentamila)… una topografia visuale di notevole spessore culturale, politico e sociale che racconta i sogni, le speranze e la dignità di un’intera città legata alle chiamate della sirena che indicava i turni di lavoro in fabbrica. Non sappiamo se nell’archivio non ci sono o non sono state ancora scansionate le fotografie dei grandi scioperi anarco-sindacalisti dell’11 o dell’adesione larga al fascismo dei piombinesi (che abbiamo visto e studiato in archivi privati e personali)… tuttavia dopo l’8 settembre 1943 la città insorse nella “Battaglia di Piombino”… molti giovani andarono alla macchia e si affrancarono alla Resistenza… offrirono un elevato contributo di lotte e vite umane per la conquista della democrazia… nel 2000 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha insignito la città di Piombino con la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
La cultura del ferro a Piombino (Baratti), ricordiamolo, risale ai forni etruschi. Qui, tra il VI e il IV secolo a.C., si sviluppò il principale centro siderurgico del Mediterraneo nella lavorazione dell’ematite, minerale di ferro di cui era ricca la vicina Isola d’Elba.
La Magona d’Italia nasce nel 1864, gli Altiforni e Fonderie di Piombino nel 1897. Il compito della fotografia documentalista non è quello di approssimarsi alla propaganda ma alla percettibilità di una civiltà della fatica che riscopre l’importanza del corpo come traccia storica dell’umanità. La fotografia dell’umano parla di aurore che hanno brillato nella vita comune e di sconfitte, e insegnato che là dove ci sono cadute ci sono anche resurrezioni. La bellezza fanciulla dell’Archivio Lucchini soggioga e incanta, qualifica l’estetica generalizzata (l’autorevolezza) del lavoro e dei lavoratori… c’è qualcosa di prometeico in quelle facce aperte all’avvenire e una potenza delle forme nelle architetture-cattedrali di ferro che implicano ammirazione e stupore.
Per il movimento operaio di Piombino il fumo delle ciminiere non è stato solo pane ma anche un laboratorio di cultura, politica, condivisione sociale… come si vede nelle fotografie, l’attaccamento delle generazioni del primo dopoguerra alla città dell’acciaio corrisponde a qualcosa d’identitario, filiale, anche di scanzonato… incarnato nel diario quotidiano che l’attraversa…… la pesca, le barche a vela, i balli alla Lega Navale, il carnevale, i commercianti, gli artigiani (e i grandi scioperi in difesa del lavoro)… hanno espresso la visione forte e bella di una popolazione schiva alla servitù, anche se ideologizzata, che ha combattuto per respingere dappertutto l’infelicità.
Se entriamo a “gatto selvaggio” nella messe d’immagini dell’Archivio Lucchini, comprese le celebrazioni istituzionali (personalità della politica, della cultura, dell’esercito, della chiesa… in visita agli stabilimenti), possiamo vedere la germinazione di una ritrattistica corale dove la persona è la misura di tutte le cose… inaugurazione di appartamenti per i dipendenti, scuole professionali di ingresso al lavoro, le befane ai bambini, premiazione degli operai più anziani, la partecipazione giovanile allo sport, alla musica, al teatro, al cinema… sono concatenati in situazioni munifiche e tutto risulta in equilibrio con la cosa fotografata. Ogni immagine è gravida di “senso”, di promesse, di significati e diventa “segno” di un atto futuro.
L’impronta, la marca, la stigmatizzazione del Partito Comunista si allarga in tutti gli anfratti della città… i bambini nascono operai, nulla si fa né si disfa se non c’è l’ordine del partito… l’obbedienza è l’ostia da ingozzare e la propaganda il patibolo da erigere… si ride, si piange e si prega con la bandiera rossa nelle mani… i processi corporativi esercitano un controllo pressoché totale sui sistemi economici, politici, sociali e culturali dei piombinesi, e per intere generazioni gli spiriti liberi saranno emarginati, squalificati, esclusi o banditi dal comunismo con la fanfara e la spada che produceva una mentalità autoritaria più che una comunità libertaria.
Nella geografia umana dello stabilimento ci sono immagini in contro luce di grande impatto emotivo… lo sguardo del fotografo s’appoggia alla fabbrica sul mare e i fumi delle ciminiere sembrano lunghi capelli di fate nel vento… le case, il porto, la spiaggia di Ponte d’Oro, la campagna intorno alla fabbrica… ritagliano una figurazione austera (qualche volta anche a colori) della filiera siderurgica e la lavorazione dell’acciaio all’interno dei reparti intreccia stili, linee, forme che vedono l’uomo (e i valori della sua maestria) al centro del racconto visivo. La bellezza dell’operaio che figura la propria vitalità, conferisce alla ritrattistica che ne consegue l’innocenza del divenire.
Gli operai fotografati sui luoghi di lavoro rappresentano una fenomenologia della dignità… sembrano caricarsi di eredità culturali e politiche come sommatoria di credenze e nelle pieghe di questo atteggiamento volitivo, quasi ludico, riflettono “ciò che rende la vita degna di essere vissuta” (Thomas S. Eliot). Il tempo e lo spazio, la materia e la realtà s’intrecciano sui volti degli operai e si legge, ci sembra, il senso del rispetto non solo per il proprio lavoro ma anche per la crescita sociale della comunità. Quando si fotografa un uomo e come sta al mondo, si tocca la verità della carne e il sangue dei giorni (Friedrich W. Nietzsche, diceva, forse). La fotografia del dialogo è un pensare-figurare oltre l’oblìo… è una meditazione per figure che cercano la via della prossimità.
La fotografia, del resto, quando contiene il Duende è un dolore, talvolta una collera che sa ricompensare, cerca solo l’essere amati e compresi, è una comunicazione in amore che si lega alla comunità spirituale che manifesta… è un’estetica irriducibile che travalica il documento e si lascia emozionare fuori dal popolarismo dozzinale dal quale parte… il Duende applicato alla fotografia è un potere misterioso che tutti i fotografi sentono e nessuno spiega, poiché al momento che un fotografo dice che la sua fotografia è unica, eccezionale o arte… significa che non possiede il Duende o il Dionisiaco che sottende… il Duende bisogna risvegliarlo nelle più recondite stanze del sangue, Federico García Lorca, diceva… il Duende è sempre un cambiamento radicale di tutte le forme del comunicare. Gli artisti enduendadi amano il margine della ferita e si pongono contro l’eterno castigo che ogni potere destina agli ultimi, gli sfruttati e gli oppressi.
Certo, l’autocrazia della politica dominante ha impresso piaghe profonde sui sottoposti e la trasformazione di uomini in macchine è stata al fondo della repressione spirituale delle genti di Piombino… il divenire della popolazione della città-fabbrica poggiava sulla sindacalizzazione dei bisogni che trasformavano la “burocrazia rossa” (Bakunin) in un nuova schiavitù.
Le decisioni politiche prese non sono state spesso lungimiranti… il fiato addosso di una monocultura ideologica ha represso idee, emozioni, strappi del tessuto sociale per più di mezzo secolo e prodotto l’appiattimento generalizzato che germinerà negli anni ’90 e defluirà nella zona grigia d’inizio secolo. Cadono le bandiere e gli inni e s’innalzano i miti della civiltà dello spettacolo dove anche la rivisitazione delle canzonette dei Beatles o dei Rolling Stones passano per rivoluzionarie… ormai destra e sinistra si somigliano e si confondono, e forse non sono mai state così vicine, visto che provengono dalla medesima radice autoritaria, come la storia insegna.
Il cammino dell’obbedienza nella città-fabbrica è stato feroce e al di là del bene e del male l’immaginario collettivo è stato addomesticato, violato, sconvolto nelle scelte politiche del momento… l’aspetto profondo dei partiti l’avevano capito bene Albert Camus e Simone Weil… Camus vedeva nella non appartenenza a qualunque genere di partito la prima garanzia alla quale dovrebbe tendere ciascun individuo e attraverso scambi di idee e punti di vista appassionati, cercare di costruire un rimedio al male della servilità che attraversa la società moderna. Nel febbraio del 1950 esce il Manifesto per la soppressione dei partiti politici della Weil (già scomparsa da sette anni) dove si legge: “I partiti sono organismi costituiti in maniera da uccidere nelle anime il senso della verità e della giustizia”. Il governo del futuro, secondo Noam Chomsky, dovrebbe destituire l’organizzazione sociale del liberalismo, “ma solo un movimento rivoluzionario radicato in ampi strati della popolazione, che miri a eliminare le istituzioni repressive e autoritarie, private o statali”, può esprimere e sviluppare forme del socialismo libertario… forse la consultazione politica-sociale più allargata ai cittadini della città-fabbrica poteva fare meno danni o evitare incomprensioni, rotture, indignazioni profonde, irrimarginabili… poiché la speranza ha occhi d’infanzie intramontabili e porta con sé il magico, il mistero e l’ignoto della sovversione non sospetta… sa anche che il cammino verso l’inferno è lastricato di buone intenzioni.
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Pino Bertelli è nato in una città-fabbrica della Toscana, tra Il mio corpo ti scalderà e Roma città aperta. Dottore in niente, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema e fotografia. I suoi lavori sono affabulati su tematiche della diversità, dell’emarginazione, dell’accoglienza, della migrazione, della libertà, dell’amore dell’uomo per l’uomo come utopia possibile. È uno dei punti centrali della critica radicale neo-situazionista italiana.
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