Tra i più solerti fotografi nazisti (anche se fotografi lo erano non solo per lavoro, ma piuttosto per una per inclinazione innata al sadismo, questo almeno dicono le loro elegiache immagini del dolore)… si annoverano Bernhard Walter, Ernst Hofmann, Friedrich Franz Bauer, Ludwig Knobloch, Albert Cusian, Walter Genewein, Willy Georg, Ernst Herrmann, Heinrich Jöst, Foto Zermin, Foto Amthor, Foto Theil… ci bastano… non sono le schedografie che ci interes- sano, nemmeno gli elencari della cattività… non vogliamo entrare nemmeno in questa o quella fotografia scattata da questi bravacci dell’inettitudine… hanno tutte il timbro dell’assassinio protetto e valgono solo per l’autobiografia che le hanno dettate… una sorta di corrispondenza visiva che aspira al regno della sfigurazione… alle bassezze germinali dell’inchino all’autoritari- smo che li assolve! Un funzione performativa dell’inconscio popolare che impone l’assertorio dell’obbedienza come unica maniera d’esprimersi… l’uccisione che trova nella fotografia la suggestione della propria morte!
Questi ridicoli borseggiatori della fotografia in divisa delle SS, piuttosto abili nella messa in scena, ricercatori dell’inquadratura giusta… specializzati in immagini della fricassea ebraica, senza avere un sussulto d’intelligenza… erano elementari, grezzi, primitivi, sapevano però somministrare la burocrazia del dolore come gli psicoanalisti ne decretano l’origine su un divano… cioè con l’arroganza velata di un padre autoritario o di una madre indifferente… ipocriti, puritani, incolti del loro stesso mestiere di elitismo e aristocrazia che autorizzano il sopruso… e siccome l’inconscio è una sorta d’affastellamento tra linguaggio e immagini… la spirale degli atteggiamenti compulsivi e dell’alienazione che ne consegue, emerge nei meccanismi di re- pressione, regressione, perversione e sublimazione del martirologio… tutte cose sulle quali le religioni monoteiste e i regimi autoritari hanno eretto le loro fortune e le loro galere.
L’immaginario funesto dei fotografi nazisti non conteneva solo perversioni di morte… ma an- che un ingorgo di pulsioni omicide che travasavano nella fotografia dei prigionieri, dei deportati, degli ammazzati… e lasciavano traccia non tanto dell’ingiustizia subita dei morituri, quanto della rappresentazione cannibalesca della costrizione morale, sociale, etica… associata alle forze demoniache del nazionalsocialismo… erano testimoni non della gloria infondata nazista, ma della subordinazione, anche sessuale, dell’isteria generalizzata comparata alle ossessioni delle repressioni mistiche… si fotografa come si uccide! O si vive come si ama il diverso da sé! Fotografi-interpreti di un psicopatologia della vita ordinaria che li proietta nell’omicidio premeditato, la messa a morte di una popolazione che li interrogava nel momento stesso che veniva foto- grafata, distrutta!
Il carattere plastico, dinamico, creativo, vivente della fotografia, tuttavia non è facile a sottomet- tere… poiché quando la fotocamera capita nelle mani sapienti di certi poeti inadempienti, rimette in discussione la fotografia nella sua interezza e il cattivo uso che molti ne hanno fatto e ne fanno ancora… in questo senso la fotografia rivoluziona prima la propria vita, poi la società! Non è cosa nuova… la fotografia, nella sua versione creativa, richiede un’analisi critica della società in cui vive… e ne denuncia le nevrosi, le imposizioni, le improprietà… quando la foto- grafia è solo una parte consumistica o adottiva del tutto… succede ciò che diceva Freud della sua psicoanalisi: “I pazienti sono gentaglia. Buoni solo a faci vivere, materiale per imparare. E comunque non possiamo aiutarli”, solo sopprimerli, forse? Le dittature, le tirannidi, i totalitarismi… hanno trasfigurato la gentaglia di Freud in assassini o vittime, e glorificato le belle idee che uccidono — diceva un fascista futurista (preso troppo sul serio), Filippo Tommaso Marinetti, che ha scritto odi per la X Mas e cantato eroi e macchine della guerra mussoliniana, quello che voleva uccidere anche il chiaro di luna —, insieme ai principi più elementari dei diritti dell’uomo.
La sfogliatura delle immagini fatte dai nazisti (prese senza uno specifico ordine di orribilità), ci permette di osservare l’eguale dimensione oscena che il fotografo prende come evento purificale… incredibile… se vediamo i bambini morti di fame nel ghetto, il nazista che spara alla testa dell’ebreo sull’orlo di una fossa comune, il soldato che alza il fucile e fredda alle spalle la donna con il bambino in braccio o i corpi bruciati fotografati clandestinamente da membri del Sonderkommando (ebrei che collaboravano con le SS all’interno dei campi)… ci si accorge che c’è una certa spavalderia nello sguardo del fotografo… sovente le inquadrature sono pensate, se non ricercate… fanno da contraltare alla seduzione dell’odio come cerimoniale di una distruttività umana inaccettabile… le vittime sono già uccise… la fotografia le uccide di nuovo! La normalizzazione della perversione nazista riduce le persone a oggetti da rompere, spaccare, dissolvere in un determinismo delinquenziale che al momento che provoca morte, prova anche piacere!
La denegazione del reale impedisce ai nazisti di riconoscere il delitto nel mentre l’affermano… ma non è una rimozione… è la costituzione corporea di una stirpe di assassini che rivelano l’enfasi dell’infantilismo attraverso la persecuzione… la fotografia è la confessione autobiografica dell’autore… e dietro un carattere autoritario e fanatico non ci può che essere un criminale! Chi snocciola parole di sangue convertite in acqua benedetta e parla in nome degli altri è sem- pre un impostore o un carnefice… obbedisce a un ordine superiore… mai a quello della propria coscienza… soltanto l’uomo libero si assume la responsabilità dell’“io”, parla a nome di se stesso e si prende il diritto di farlo. Chi parla a nome dell’altro o del popolo, sa già d’essere a fianco della falsità e del crimine costituito. Shakespeare sapeva che “siamo fatti della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita”. Più an- cora che è un’epoca terribile quella in cui degli idioti governano dei ciechi! E il nazionalsocialismo (come tutti i regimi totalitari) ne è l’esempio più fulgido.
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Pino Bertelli è nato in una città-fabbrica della Toscana, tra Il mio corpo ti scalderà e Roma città aperta. Dottore in niente, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema e fotografia. I suoi lavori sono affabulati su tematiche della diversità, dell’emarginazione, dell’accoglienza, della migrazione, della libertà, dell’amore dell’uomo per l’uomo come utopia possibile. È uno dei punti centrali della critica radicale neo-situazionista italiana.
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