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GIAN PAOLO BARBIERI – SULLA FOTOGRAFIA DELLA SEDUZIONE

di Pino Bertelli

L’ironia è gioco col gioco per fare emergere il serio, in forma paradossale,

Là dove non lo si aspettava più.

Essa destabilizza per consolidare, distrugge per costruire”.

Michel Onfray

Sulla fotografia leggiadra

Contro la fotografia della società dello spettacolo. Ouverture in forma di indignazione. Ci si può immaginare un fotografo che non abbia un’anima d’assassino, dell’imbecille o del poeta? È sempre ciò che detestiamo a qualificarci come servi o cacciatori di sogni… amare il prossimo che conosciamo — complice di guerre, colonialismi o violazione dei diritti umani più elementari — è inconcepibile… alla frequentazione di un qualsiasi fotografo che si autocelebra senza conoscere nulla di sé né della fotografia che dispensa come “arte” a storici, critici, mercanti dell’ovvio e dell’ottuso, preferiamo di gran lunga stare in compagnia con un ritardato mentale… c’è della sensibilità autentica nei suoi svantaggi, mentre nell’artista che si fa “maledetto” c’è una stupidità senza confronti… solo chi ha trovato la saggezza nelle stelle merita di essere ascoltato. Dove c’è l’ossequio non c’è arte… il passaggio tra il cretinismo e il genio è stretto e solo chi si interpone tra la Genesi dell’indecenza e l’Apocalisse dell’indignazione comprende che la falsificazione e l’impostura in fotografia (e dappertutto) sono mezzi di privazione del piacere di vivere tra liberi e uguali (e ridere di tutti i poteri)… secoli di false speranze crollano di fronte a un frammento di verità e a cinque minuti di gioia autentica, quando i popoli in rivolta chiedono che l’arte del sopruso si trasformi in arte della vita quotidiana. Non si abita la fotografia impunemente, si abita una lingua, anche estrema, che fa dell’anima in volo il principio di tutte le bellezze o la fine di tutte le ingiustizie della terra… la fotografia è un orizzonte senza frontiere e nient’altro… ogni volta che il divenire mi sembra crollare sulle nefandezze del presente — imposte dai governi ricchi ai popoli impoveriti — e guardo le immagini leggiadre di GianPaolo Barbieri (specie la ritrattistica antropologica), ho l’impressione di essere visitato dalla grazia… detto meglio… la fotografia di verità spirituale di Barbieri— come la poesia immaginifica di John Keats — contiene una dolcezza sconosciuta a chi della fotografia fa merce soltanto… Barbieri ama il principio di bellezza in tutte le cose e le sue immagini contengono la gentilezza degli angeli ribelli… la poetica della grazia di Barbieri avversa il pittoresco e costruisce, sotto un certo taglio, anche ereticale (del non convenzionale galleristico o dell’avanguardia del cattivo edonismo), la rivincita del bello sul crepuscolo del mondano. Ciò che vi è di più arcaico nella fotografia è la bellezza, vale a dire la più vitale visione politica dell’esistenza. A parte la fotografia della verità ferita a morte o della bellezza dispersa nel disinganno universale, la fotografia che corre o viene insegnata è solo mediocrità (che sia numerica o argentica fa lo stesso). Gli stupidi vanno a finire sempre in paradiso, con le oche che volano e i patiboli delle chiese monoteiste che grondano sangue innocente degli eretici… la fotografia della grazia si chiama fuori dalla percezione dell’impotenza o dai lavatoi dell’arte da centro commerciale (qui anche Walter Benjamin, geniale fustigatore di politiche dell’angoscia e propugnatore di rivolte del costume, non ha compreso che l’arte di tutti per tutti è una bufala e le “mosche cocchiere” della sinistra se la giocano alla corte di qualsiasi padrone, in cambio di una manciata di dollari o un posto espositivo in televisione)… da nessuna parte è il vero, se non nella poesia della bellezza che ci svela il senso profondo della storia e implica un’idea di avventura che porta al di là dei produttori di eterne miserie. Secondo la tradizione ebraica della Kaballah, l’opera dell’uomo precede il mondo della conoscenza e dell’arroganza di duemila anni… o forse mi sbaglio! sono le parole che mi ha lasciato in sorte uno stregone africano cieco che ho conosciuto nel deserto etiopico, mentre mangiava foglie di acacia e beveva acqua di pozza… sono le leggi, i codici, le morali che creano i destini e l’infelicità del genere umano. Se avessi ascoltato i miei impulsi giovanili, sarei finito in galera o impiccato… è stata la fotografia leggiadra di Bellocq, Sander, Diane Arbus o Pietro Gori a farmi comprendere che non c’è Dio né Stato per il quale valga  la pena di uccidere o essere uccisi… Schopenhauer, Nietzsche o Artaud hanno appreso la loro filosofia stellare nei bordelli o nell’intuizione dell’istante come poetica del fuoco rubato agli dèi… nell’odore (nauseabondo) dell’incenso delle chiese o in quello di carogna dei parlamenti le verità sono divenute irrespirabili… è grazie alla sofferenza, e a nient’altro, che la facciamo finita di essere schiavi e — di utopia in utopia — rivendichiamo la conquista della felicità (con tuttii mezzi necessari, Malcom X, diceva) di tutti gli uomini. Motto di spirito! Lavoglia di bruciare i fotografi della società spettacolare mi assale solo quando ho un appuntamento con le loro opere in mostra… ci vado sempre con la certezza di incontrare Dio che vomita benevolenza e ottimismo sulla sua ultima creazione… non ho incontrato una solo artista disturbato che non creda in Dio o nella firma sugli assegni… Dio parla solo a sé e ai ragazzi di bottega che alla sua tavola si sono mangiati tutto il pane, hanno bevuto tutto il vino e uno di loro si è venduto il maestro per un pugno di dollari, poi si è impiccato a un fico per timore dell’insuccesso… sbarazzarsi della fotografia è privarsi del piacere di riderne.

Sulla fotografia della seduzione

Il senso del sublime (in molta) della fotografia di Barbieri è “cosa” per coloro che lo capiscono… volteggia sul principio di affinità elettive e a vedere bene non tiene molto di conto gli incensamenti che la cultura consumerista veicola nelle griffe di “sarti di successo” (Armani, Versace, Dolce e Gabbana, Valentino…) che concepiscono la fotografia come prolungamento della merce… nulla è al di sopra, nulla è al di sotto del sublime egualitario dell’arte autentica… non è vero che tutto è possibile col consenso dell’altro… in margine alle istituzioni e fuori dalle convenienze resta l’arte della capacità di differire e fare del piacere e della cultura di sé il principio spirituale di ogni bellezza convulsiva… il sublime —in ogni forma espressiva — raggiunge la grandezza universale nella rinuncia alle connivenze collettive… il sublime estetico/etico di Barbieri è un lavoro del fare-anima che espelle l’entusiasmo degli stolti e si attesta nell’inguaribile malinconia che abita le grandi opere d’arte, sempre.

“La seduzione non si basa sul desiderio o sull’attrazione: tutto questo è volgare meccanica e fisica carnale, nulla di interessante. Certo, il fascino della seduzione passa attraverso l’attrattiva del sesso. Ma, propriamente, vi passa attraverso, la trascende. Per la seduzione, infatti, il desiderio non è un fine, ma un’ipotetica posta in gioco. Anzi, più precisamente, la posta in gioco è provocare e deludere il desiderio, la cui unica verità è brillare e restare deluso” (Jean Baudrillard). Non è importante afferrare una fotocamera, o un’arma qualsiasi, per fare chissà quale capolavoro… ciò che vale è la coscienza dell’uomo che la impugna e prende di mira la bellezza della verità o l’origine del male. La seduzione, come la libertà, non conosce le “buone maniere”… rompe le convenzioni, le regole del gioco, ripudia l’infingimento dei costumi… all’infinità degli dèi preferisce la curiosità dei corpi, dei gesti, degli sguardi e, più di ogni altra cosa, libera l’edonismo degli gnostici libertini nella sfrontatezza libertaria del dionisiaco. Solo l’uomo libero è il creatore dei propri valori (Michel Onfray), perché tutte le morali e tutti i valori istituiti sono privi di fondamento. La seduzione è la pratica della libertà senza dogmi o sensi di colpa, è la creatività licenziosa che permette di ritrovare la strada che porta alla liberazione. Gian Paolo Barbieri nasce a Milano, dicono le note che lo riguardano, nel 1938, in una famiglia di buona levatura… nel magazzino di tessuti del padre (è già un buon inizio) acquisisce molto di ciò che lo aiuterà poi a lavorare (su crinali espressivi non banali) nella fotografia di moda… nel 1955-56 si scrive alla scuola di recitazione del Teatro dei filodrammatici e insieme ad alcuni amici fonda la compagnia “Il Trio”… La Traviata, Letto matrimoniale, Un tram chiamato desiderio sono i drammi che presentano nella casa dei genitori di Barbieri… ottiene una piccola parte nella Medea di Luchino Visconti e con la sua bandiglia di compagni di palcoscenico fa l’attore, costumista, operatore nel rifacimento di film come La via del tabacco, La vita di Toulouse Lautrec o Viale del tramonto… opere che hanno segnato la storia del cinema (specie il film di Billy Wilder, Viale del Tramonto, con l’intramontabile interpretazione di Erich von Stroheim e Gloria Swanson). Negli anni della “dolce vita”, un eufemismo inventato da Federico Fellini e la stampa imperniata sulle cronache rosa, Barbieri è a Roma… sopravvive facendo fotografie per aspiranti attori/attrici… qualcuno si accorge che è bravo e gli consiglia di lavorare per la fotografia di moda… si trasferisce a Parigi e diventa assistente di Tom Kublin (per alcuni un maestro del genere)… nel 1964 è di nuovo a Milano, comincia a pubblicare su “Vogue Italia” e dal 1973 su “Vogue Paris”. Nel 1978 è già tra i grandi fotografi che si occupano della sontuosità (a volte deplorevole) del “made in Italy” nel mondo (come chiosano i giornalisti televisivi)… realizza campagne importanti per Elizabeth Arden Chanel, Dolce & Gabbana, Mikimoto… lavora per Valentino, Ferrè, Versace… negli anni ’90 compie viaggi in Madagascar, Thaiti, Seycelles, Polinesia… pubblica libri straordinari di volti, corpi, simbologie di quei popoli… intreccia (dicono) il glamour della fotografia di moda con la fotografia etnografica, vero niente. L’iconologia antropologica di Barbieri ritorna alla fascinazione dionisiaca dei corpi e alla maniera della poesia straordinaria di Baudelaire, affabula una regalità dei gesti, un’ironia mitografica o una seduzione dell’istante che trabocca nel reale tutta la lucentezza erotica (mai volgare) di un trovatore di emozioni… i riconoscimenti al fotografo milanese sono planetari… le esposizioni antologiche al Victoria e Albert Museum di Londra e nel Kunstforum a Vienna… lo confermano maestro della purezza “alchemica”, che è un fattore della realtà… e molti mangiatori di utopie e assertori del bello come educazione estetica, considerano, a giusta ragione, la scrittura fotografica di Barbieri, un invito all’arte come ponte verso la felicità. Maurizio Rebuzzini, acuto osservatore dei linguaggi fotografici, a proposito di Barbieri, scrive nella rivista che dirige (“FOTOgraphia”, settembre 2007, n. 134): “Oltre alle affermazioni e gli appassionati apprezzamenti professionali nel mondo della moda, che frequenta dai luminescenti anni dell’alta moda, con tutto il proprio relativo contorno di fascino, mistero, seduzione, esclusività e rappresentazioni fotografiche in sintonia, Gian Paolo Barbieri, approda ora [l’occasione è la mostra antologica di Gian Paolo Barbieri, a cura di Martina Corgnati, esposta a Palazzo Reale di Milano, il catalogo — stupendo — è pubblicato da Federico Motta, 2007] a una consacrazione fotografica assoluta e inviolabile”. Tutto vero. Ancora. L’immaginale fotografico di Barbieri, specie nella ritrattistica “esotica”, emerge da eventi, epifanie, costruzione di situazioni che lavorano sull’archetipico, sul preesistente, sul mitologico che ancora affiora dai corpi, sguardi, gestualità… fotografie che sono tracce, segni, sentieri in utopia nelle quali “essere” significa “rinascere”… ciò che sborda in questa fotografia di Barbieri annulla la storia e dà volto a metafore sulla diversità che diventano “stile”… la psicologia del profondo di Barbieri rivela una parte per il tutto e come l’uomo delle origini incide l’osso, intaglia il legno, scolpisce la pietra, lui cammina nei sogni e fa della fotografia un’etica/estetica che dà forma alla materia e la libera in nuove forme del comunicare. La scrittura fotografica di Barbieri è un rizomario di idee che si riappropiano del tempo e dello spazio e nell’eversione poetica lavorano alla riattualizzazione dell’immaginario… sono fotografie di un filatore di bellezze che hanno molto a che vedere con la figurazione dei grandi pittori del Rinascimento italiano (Antonello da Messina, Andrea Mantegna, Bronzino, Masaccio, Caravaggio, specialmente) senza tuttavia dimenticare la semiologia del cinema in forma di poesia di Pier Paolo Pasolini, l’affresco storico di Luchino Visconti e, sotto un taglio più celato, la filmografia con pochi eguali di John Ford… può sembrare strano che un regista di western sia affiancato a uno dei più complessi fotografi del nostro tempo… non è così… l’inquadratura epica di Ford contiene la medesima intensità e sensibilità “lustrale” delle fotografie di Barbieri e in eguale misura rimandano e rinnovano la gioia del percepire… i grandi sognatori sono messaggeri di infinite bellezze e infanzie eterne… la felicità cosmica disseminata nelle loro inquietudini erranti superano qualsiasi frontiera e vanno a costruire, credo, un universo di bellezza che contiene ed evoca il fascino oscuro di aurore emozionali e passioni amorose mai finite. A leggere con attenzione la ritrattistica di moda di Barbieri… si scorgono fotografie che travalicano la commissione per la quale sono fatte e al di là della certificazione divistica (Angelica Huston, Mariolina Della Gatta, Benedetta Barzini, Veruska, Audrey Hepburn, Monica Bellucci o altre celebrità, anche maschili, che non importa menzionare) c’è in questo fare-fotografia (colore o bianco e nero) una sorta di ebbrezza dei corpi, dei segni, dei graffiti… che rimanda alla trasfigurazione dell’irrealtà dell’istante e nella cartografia di eleganze strutturali e armonie segrete, si comprende che il gusto e la maniera esigono coraggio e sfida, dispendio e risentimento del talento che mirano alla restaurazione della sovranità artistica e al godimento di sé. Il linguaggio fotografico di Barbieri incanta e inaugura stagioni di memorie dimenticate che coincidono con le tracce in amore del poeta che inventa la malinconia per non morire di verità (storiche) insopportabili.

“Quando si fantastica profondamente, non si ha mai finito di cominciare”, Novalis, diceva. Di più. La geografia iconografica di Barbieri, sotto molti aspetti, inventa l’intimità del mondo, supera gli schemi di una sessualità schiavizzata nei codici del “buon costume” e inchiodata alle bassure delle morali dominanti. Il suo fotografare sfugge ai segni del tempo che consuma e la sostanza della propria unicità piange lacrime di dolcezze sconosciute… è un’archeologia espressiva che riprende la cosmogonia magica dei sentimenti struccati e si compenetra nella filosofia androgina/antropologica dei grandi valori. Ciascuno è il pane che mangia e l’amore che vive. La fotografia di seduzione di Barbieri contiene l’innocenza del divenire e l’eresia di tutte le inquisizioni… le sue ricerche creative (Silent Portraits, 1984; Thaiti Tattoos, 1989; Madagascar, 1994; Assouline, 1994 o Equator, 1999) è ciò che più interessa alla nostra fame di bellezza e di giustizia che difficilmente circola sul boccascena della fotografia internazionale… i filamenti discorsivi di Barbieri si accostano a corpi, sguardi, gesti e in una sorta di intima complicità con i ritrattati, superano la posa… costruiscono il rapporto del fotografo con la verità che accade davanti alla fotocamera… mostrano che la fotografia nasce dalla meraviglia o non è niente. In molte delle fotografie di “gente selvatica”, per così dire, di Barbieri… si apprende il bene del corpo e il candore del passato… la rivelazione artistica coincide con il ritorno alle visioni primordiali dell’uomo e fuori da ogni spirito di santità, il fotografo rifiuta tutti i principi di autorità e si cala all’altezza dell’anima e del suo destino. Il suo fare-fotografia qui è un movimento evolutivo, “è l’azione dello Spirito, che soffia dove vuole e che conduce le coscienze sempre più verso la luce della verità” (Vito Mancuso). A memoria di ubriaco (fatte le 250 251 dovute eccezioni per Diane Arbus, Tina Modotti, August Sander, Roman Vischniac o la Banda Bonnot) non si era mai visto fotografare gli “invisibili” con tanta regalità… là dove il corpo parla, l’anima si fa gioco di ogni autorità temporale. Le zattere della libertà fotografica di Barbieri sono gremite di uomini, donne in amore e solo autori del dissidio (non solo fotografico) come Robert Mapplethorpe, Sebastião Salgado o Oliviero Toscani (la sua fotografia della ragazza anoressica censurata dalla cecità delle istituzioni, resterà un’icona tra le più grandi e maledette del nostro tempo)… sono riusciti a scardinare il tanfo del colonialismo culturale e riportare la fotografia sulla punta dell’anima… le immagini di Barbieri contengono, appunto, l’uguale lacerazione dell’esistente e mostrano che la verità (come la bellezza) abita nell’uomo interiore… detto meglio… attraverso la visione surreale dei ritrattati e la relazione amorosa tra fotografo e corpi che scintillano nel suo immaginario libertario/libertino, la forma/materia dei corpi diventa corpo e anima dell’umanità. L’arte della seduzione nelle scritture fotografiche di Barbieri è parte di un’immaginazione raffinata che ridesta emotività, fantasia e l’attività onirica… i personaggi di Barbieri interpretano la bellezza come anomalia e sembrano resuscitare il senso/forma come destino… a sfogliare le fotografie in bianco e nero di uomini denudati che portano sulle spalle teste di bufalo, trasportano una manta o il ritratto (senza testa) di un giovane e un filo di sangue (o di sudore, ma vogliamo pensare che sia sangue) che gli corre sul petto baciato dal sole… vediamo che queste immagini androgine, scolpite in una grazia estetica/etica molto femminile, trascendono la realtà dell’istante e vanno a costruire una sinfonia della gioia visuale che è anche rimorso per qualcosa che è andato definitivamente perduto, l’innocenza della rêverie. “Il mondo è costituito dall’insieme delle nostre ammirazioni. La nostra massima potrebbe essere: Ammira subito, capirai dopo” (Gaston Bachelard). La poetica della rêverie di Barbieri rimanda alla dottrina dell’esordio… prima di ogni cosa gli uomini hanno molto sognato e liberato il sensibile in una filosofia del gioco che educava a vedere il bello in uno sguardo e non c’è nulla al mondo che brilla di autenticità più di uno sguardo in amore. La filosofia di seduzione che attraversa l’intera opera di Barbieri, le citazioni di film (Da qui all’eternità, Casablanca, Improvvisamente l’estate scorsa…) dei grandi pittori, (La libertà che guida il popolo…) le invenzioni mitologiche (rivisitazioni della tragedia greca)… è una visione poetica che contrasta ogni forma di ordine e lascia emergere il desiderio contro tutte le pretese e le certezze dell’ortodossia (religiosa, politica, economica)… rovescia le verità costituite… seduzione e femminilità si confondono e vanno ad elaborare atti nobiliari del comunicare, dove estetica e metafisica favoriscono il disincanto, il gioco, l’eresia e si riversano in una critica graffiante, anche, del pensiero dominante. “La seduzione è sempre all’erta, pronta a distruggere ogni ordine divino, foss’anche quello della produzione o del desiderio. Per tutte le ortodossie la seduzione continua a rappresentare il maleficio e l’artificio, una magia nera che perverte tutte le verità, una congiura di segni, un’esaltazione dei segni nella loro utilizzazione malefica. Ogni discorso è minacciato da questa improvvisa reversibilità o assorbimento nei propri segni, senza traccia di senso. È per questo che tutte le discipline, il cui assioma sia costituito dalla coerenza e dalla finalità del proprio discorso, non possono che esorcizzarla. Ed è qui che seduzione e femminilità si confondono, si sono sempre confuse (Jean Baudrillard)2 . Le fotoscritture di Barbieri trasgrediscono l’oggettualità fotografica e l’identità occasionale… i ritrattati sono l’epifania di un gioco di specchi e “dicono” che ogni legge, regola o dottrina è fatta per essere disconosciuta. I nudi esotici di Barbieri non sono per nulla esotici… sono belli… di una bellezza antica rivissuta fuori dalla società omologata (Pasolini, diceva)… quei corpi “ingenui” ci osservano, diventano riflesso delle nostre capacità di leggere e di amare, accogliere e condividere… acquistano così una potenza autonoma e invitano al viaggio fantastico contro il pregiudizio… alla maniera di Nietzsche, insegnano che l’eterno ritorno lo si vive tutti i giorni, e fuori dalla banalità addomesticata che non ha strategie fatali e fa dell’enigmatico e dell’incomprensibile il successo della propria mediocrità. L’etica del dispendio disseminata nella fotografia di Barbieri porta a conoscere l’uomo e alla riconciliazione del suo dolore (storico) col mondo… non c’è sovranità di nulla se non c’è piena consapevolezza della bellezza… il principio del piacere si scontra contro il principio di realtà ed è nella trasmutazione dei valori che la filosofia dionisiaca del fotografo fa della preminenza dell’istante costruito, il carattere degli istanti perduti e l’inaugurazione del linguaggio simbolico/liberato delle passioni. Per chiudere ma non per finire… il “cristo velato” di Barbieri non è un’icona idolatrata ma desacralizzata… un’immagine tra le più importanti della storiografia fotografica moderna… il Cristo del Mantegna, quello di Pasolini (Una vita Violenta) o Ernesto Che Guevara ammazzato e disteso sul tavolo di una scuola boliviana (prima che gli fossero tagliate le mani) e la sua immagine investisse l’ipocrisia politica del mondo… sono i riferimenti — anche inconsci, forse — ai quali la fotografia di Barbieri rimanda… è accettabile tutto ciò che procura piacere ed esecrabile tutto quanto è fonte di sofferenze… “il solo peccato da condannare è la stupidità” (Oscar Wilde, diceva). Il desiderio smaschera, disvela, rovescia l’indifferenza e la ragione imposta… elogio del desiderio significa godere e far godere, scegliere piuttosto l’incanto e la gioia contro le confessioni e le punizioni delle fedi monoteiste o le forche del dissidio delle ideologie. Il “Cristo velato” (che non si titola così) di Barbieri, in bianco e nero, lascia intravedere il sesso… senza esibizione… il pudore del fotografo svuota l’immagine di tutti gli incensi bruciati alla sua sacralità e si schiera apertamente con le pulsioni misteriose della vita… il principio selettivo del bello che questa fotografia contiene, definisce la grandezza dell’uomo e autorizza ciascuno al disincanto della favola delle sacre scritture… la padronanza estetica del fotografo non teme infingimenti e trasforma, modifica, riorienta i punti di riferimento ordinari… lo sforzo della sua potenza prometeica è evidente e coincide con lo stupore e l’ammirazione del Cristo che si fa Uomo… riporta al dolore di Achille davanti al cadavere di Patroclo… Barbieri si fa ribelle fino in fondo e adagia il Cristo/ Uomo nella morale egualitaria dove tutti gli uomini sono prossimi alla bellezza e a nient’altro che alla bellezza… l’inumanità del reale è l’accettazione di vivere l’eros come confortorio di istanze sociali (famiglia, patria, lavoro) codificate e fare della servitù volontaria la gogna o i ceppi di un’educazione del dolore e della salvezza eterna. Il Cristo svelato di Barbieri dunque lascia le spoglie del santo e si fa uomo tra gli uomini! può amare ed essere amato (da donne o uomini, fa lo stesso)… Barbieri riporta il Cristo sulla terra e fuori da ogni imbalsamazione trascendentale sembra dire che niente è immorale se ciò che fai è fatto con amore… non importa chi ami, quale sesso abbia, ciò che conta è buttare “il proprio corpo nella lotta” (Pasolini, diceva), e mia nonna partigiana, annotava sui miei pantaloni strappati di ragazzo di strada — “Ciascuno è l’amore che vive” —. L’immagine androgina del Cristo di Barbieri è un florilegio di pathos che rimanda a infanzie felici (o infelici), educazioni trascurate o ludiche, seminagioni di sentimenti, desideri o timori dove nessuno è obbligato a rispettare promesse né ad onorarle se non a se stesso… la conoscenza di sé è l’opera temporale e la virtù di chi fa del sentimento del presente, il sentimento della vita. I limiti, come i maestri, esistono per essere violati. L’amore, come la libertà, non è mai innocente. L’amore e solo l’amore (eterosessuale, omosessuale o lesbico) ha la capacità di metterci in contatto diretto col mondo che è dentro e fuori di noi… l’amore è la presenza dell’Altro all’origine di ogni flusso esperienziale o artistico… chi ha molto amato, amato sarà sempre.

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