“…uno non ha un’anima per se solo, ma un pezzetto di una grande anima,
che è la grande anima di tutta l’umanità… io non potrò mai morire,
io sarò dovunque, dovunque sia un uomo, dovunque ci sia un uomo che soffre
e combatte per la vita, io sarò là, dovunque ci sia un uomo che lavora per i suoi figli, io sarò là,
dovunque il genere umano si sforzi di elevarsi, con i ricchi e con i poveri,
io ho questa continua aspirazione di continuo miglioramento, e dove una famiglia mangerà
le frutta di un nuovo frutteto, o andrà ad occupare la casa nuova, là mi troverai… “.
dal film Furore (1940), di John Ford
La “soluzione finale della questione ebraica”, ordinata da Hitler e applicata con dovizia di esecuzioni sommarie dai suoi carnefici blasonati… e nella complicità con la grande maggioranza delle famiglie tedesche… è un crimine (non solo) di guerra, è la volontà di un intero popolo che chiedeva di eliminare altri popoli perché ritenuti “inferiori”! Hitler e la gerarchia nazista decisero l’annientazione degli ebrei attraverso un sistema industriale, finalizzato a non lasciare in vita una sola persona giudea. L’organizzazione nazista fu davvero laboriosa, burocrati, funzionari e carnefici fecero un “buon lavoro” di squadra… il saccheggio degli ebrei fu sistematico…gerarchi, imprenditori, affaristi, aguzzini… confiscarono i beni degli ebrei deportati o uccisi sul posto… però lasciarono agli ebrei i soldi del biglietto del treno di solo andata che li portava alla morte nei campi… nei vagoni venivano ammassate fino a mille persone… il coordinamento dei treni era di pertinenza della polizia e delle SS… e arrivavano sempre in orario.
Il firmamento antisemita nazista era variopinto… scienziati, industriali, economisti, giudici, avvocati, psicologi, intellettuali, artisti, proletari… promettevano un brillante avvenire alla gioventù hitleriana… la devozione ideologica che prostravano al Führer li assolveva da tutte le coercizioni commesse a danno degli ebrei, dei diversi, dei deboli… proprio come ai nostri tempi… con un po’ meno sangue sparso, ma i ghetti dei migranti lo dicono… nascere nella terra o nel “popolo sbagliato”, per il “popolo giusto” vuol dire che passerai per i camini o sarai destinato a recinzioni e sopraffazioni inumane… niente male… c’è sempre un Ministero che tratta di espiazione e migrazione forzata. A nessuno importa niente della sorte dei migranti, nemmeno a molti che li salvano dall’affogare nel Mediterraneo… è solo una questione di soldi e anche per una certa dose di lavanderia del sentimenti truccati.
I nazisti però un certo stile ce l’avevano nel praticare la decimazione degli ebrei… quando li bruciavano nei forni, le SS ordinavano ai residenti delle fattorie e città vicine a campi, di aprire/chiudere le finestre per attenuare l’odore emanato dagli ebrei in fumo. L’arianizzazione dell’ottimismo è l’anello ideologico che assicurava la redenzione della gente comune all’antisemitismo… le azioni di “pulizia ebraica”, l’offerta al signore Dio/Hitler! Da sempre, il fiorente mercato delle armi passa dalle imprese multinazionali e dalle banche delle chiese, dove tutti vanno a ingozzare l’ostia del profitto… e in qualunque nazione, non solo in tempo di guerra, il patriottismo arma il braccio degli ingenui ed esalta l’identificazione tra il popolo e il regime.
Basta consultare l’Album Auschwitz, ritrovato da una sopravvissuta dei campi, Lili Jacob, per comprendere il “rigore scientifico” con il quale i nazisti decidevano chi inviare alle camere a gas e chi ai campi di lavoro… le donne anziane, i bambini, i più deboli non avevano scampo!… è impressionante vedere le SS e i Sonderkommandos (deportati ebrei “obbligati” a collaborare con le SS nel processo di sterminio di altri ebrei all’interno dei campi), smistare, anche a frustate, le persone scaricate dai carri merci… nessuna mancanza di scrupoli, l’assassinio era elevato al rango di arte da macello! Le facce atterrite delle vittime lo dicono, e quelle dei carnefici lo confermano! Nessuna ascesi criminale è concepibile senza la fede in qualcosa che seduce o alimenta la propria bestialità!
Non sappiamo se quelle immagini sacrificali sono state fatte dalla SS-Oberscharführer, Bern- hard Walter e dal suo assistente, SS-Unterscharführer, Ernst Hoffmann… in quanto responsabili di prendere le impronte digitali e fotografare i prigionieri al momento dell’immatricolazione (il procedimento non avveniva per quanti erano stati avviati alle camere a gas)… non è certo nemmeno se l’Album di Lili sia appartenuto a Richard Baer, il famigerato comandante del campo di Auschwitz, un ex pasticcere… sappiamo però che questo criminale delle SS-Totenkopf- verbände (Unità testa di morto), tessera n. 44225… ha espletato i suoi “onorevoli servizi” al Führer, a Dachau, Colombia-Haus, Sachsenhausen, Buchenwald, Auschwitz… raggiungendo eccellenti traguardi sull’assassinio sistematico degli ebrei… con l’avanzata delle truppe sovietiche si rese latitante… assunse l’identità di Karl Egon Neumann e andò a fare il tagliaboschi nelle foreste della Bassa Sassonia (a Sachsenwald)… nel 1960 fu scoperto e imprigionato… pecca- to! muore d’infarto in galera il 17 giugno 1963, invece di essere impiccato a un albero con la cinghia delle SS e il berretto con la testa di morto in testa! Vogliamo serbare la nostra rabbia per cause migliori!
Album di Auschwitz, a cura di Israel Gutman, Bella Gutterman e di Marcello Pezzetti (per l’edizione italiana),
Einaudi 2008 o https://www.yadvashem.org/yv/en/exhibitions/album_auschwitz/index.asp
L’immagine del dolore. In principio è stata la luce, poi la fotografia… disse il folle al poeta, senza neppure parlarsi… eppure il loro viatico li portò a fare della vita un’opera degna d’attenzione, diceva quello che lo impiccarono per lesa maestà all’ordine istituito… détournement inso- lente di Pascal, l’abate Meslier e d’un ubriaco di taverna di porto toscana: tutta l’infelicità dei fotografi viene dal fatto che essi non sanno restare seduti, soli, in una stanza, senza pensare d’essere un artista… la fotografia non serve a niente, come la musica di Mozart! Con le budella dell’ultimo prete, impiccheremo l’ultimo padrone! e i fotografi subito dopo! La libertà, come la bellezza e l’amore non si concede, ci si prende! La memoria della fotografia, alla quale attinge la storia, che a sua volta la alimenta, mira a conservare il passato soltanto per magnificare il pre- sente e il futuro della società omologata… occorre che la memoria sociale (non solo) della fotografia induca alla liberazione e non all’asservimento degli uomini. Il solo dovere che noi abbiamo verso la storia della fotografia è quello di riscriverla.
In una notarella sul pensiero figurativo-visionario di Gioacchino da Fiore, che ha investito i Movimenti del libero spirito del millenarismo e sollecitato la memoria e la storia di tutti i dispregiatori della libertà… ha attraversato il Medio Evo, il rinascimento, il secolo dei lumi ed è giunto fino alla pedagogia libertaria della nostra epoca… abbiamo scritto: a margine del pensiero libertario gioachimita, che poggia le sue visioni comunitarie nella luce di cuori puri e fedi che non siano finte, e nelle ombre gerarchiche che impediscono la grazia angelica di manifestare la libertà assimilata all’amore di sé e del prossimo… occorre ricordare che nessuna storia del- la fotografia al mondo menziona (seriamente) che le prime immagini negative-positive non sono state scoperte con la fotografia di Joseph Nicéphore Niépce, Vista dalla finestra a Les Gras, 1826, circa… e nemmeno la filosofia del Mito della caverna di Platone (La Repubblica) ha annunciato le ombre e le luci che i filosofi più avvertiti hanno interpretato essere alla base della fotografia e del cinema e di tutte le arti figurative.
La raffigurazione dell’immagine negativa-positiva nasce nell’Arte rupestre preistorica (Neolitico), come si può vedere nella grotta con tracce di mani, Santa Cruz,(Argentina). Lì gli uomini del tempo hanno ottenuto la tipologia negativa appoggiando la mano asciutta sulla pietra, sof- fiandoci sopra la polvere rossa che poi toglievano… per l’immagine positiva il palmo della mano veniva spalmato di polvere che premevano sul muro in modo da lasciare la sagoma della mano. Rappresentare un pensiero, un’immagine, un suono o un segno nella sua essenza… significa mostrare che il bello, il buono e il giusto fioriscono nella presentificazione del senso. Il resto è solo forma. Amen e così è.
La desertificazione della coscienza e l’autunno dell’intelligenza si poteva leggere sul cancello del campo di sterminio di Auschwitz: “Il lavoro rende liberi”. Il capo dei carnefici gridava al suo popolo: “La brutalità incute rispetto. Le masse hanno bisogno di qualcuno che ispiri loro paura e le renda tremanti e sottomesse.
Non voglio che i campi di concentramento si trasformino in pensioni di famiglia. Il terrore è il più efficace fra tutti gli strumenti politici…” (Adolf Hitler). Correva l’anno 1933, dicono gli storici col vezzo della citazione colta… senza mai prendere parte al deploro che le parole di Hitler esprimono… e quando lo fanno s’accostano in bella uniformità ai qualificativi o alla supremazia degli aggettivi della storia.
Un’intera nazione credette a questo pazzo asceso al potere e oltre sei milioni di ebrei (omosessuali, zingari, comunisti, anarchici, folli, handicappati…) furono sterminati nelle camere a gas dei nazisti. I governi delle nazioni più civilizzate e l’impero della chiesa di Roma (per mezzo di papa Pio XII) osservarono un ossequioso silenzio fino alla fine del secondo conflitto mondiale. Dopo la sconfitta del nazismo e la liberazione dell’Europa, cominciarono a girare (anche in Italia) le immagini della Shoah… la conoscenza del dolore si trasforma in coscienza attraverso il dolore e anche l’impudore degli scettici muore nell’autenticità dell’innocenza violata e violentata. I mucchi di cadaveri esposti ai fotografi (d’ogni esercito) non nascondono le verità che si celano nelle “sacre scritture” e a chi ha sarà dato e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha! Amen e così sia.
In questo senso, se sfogliamo con grazia e commozione le immagini dell’Album Auschwitz, si coglie l’immagine-simbolo del genocidio subito dagli ebrei nei campi e nella storia dell’umanità… se poi gli ortodossi di Israele — nei confronti del popolo palestinese — si sono comportati allo stesso modo dei nazisti, vanno egualmente denunciati di fronte al tribunale dei diritti umani, derisi e calpestati, e impedire loro di continuare la macellazione della popolazione palestinese… ma non è qui che possiamo riflettere su questa ingiustizia che insanguina la possibilità dei palestinesi e israeliani di vivere in pace come due popoli in due nazioni… non ci sono né guerre giuste, né guerre sante… le guerre brutturano l’uomo e impediscono di vedere la fame di bellezza che c’è ai quattro venti della terra.
L’Album Auschwitz o dell’orrore pianificato. Le immagini dell’Album Auschwitz rappresentano il protocollo visuale dell’intransigenza nazista… il dilettantismo funereo del fotografo riflette la decimazione degli ebrei in maniera spontanea… l’arrivo dei treni, lo smistamento degli ammazzati, dei temporaneamente salvati e quelli che vanno a finire nei campi di lavoro per l’industria bellica nazista… famiglie che si stringono accanto ai treni svuotati… mucchi di valigie e beni degli ebrei accatastati sulla strada… vecchi, donne, bambini persi nello smarrimento, nell’incredulità, nella disapprovazione anche… tutti marchiati con le stelle gialle sui vestiti stracciati… si notano alcune signore borghesi ancora ben vestite e ragazzi avvolti in cappotti di pregevole fattura… molti guardano in macchina… i Sonderkommandos trafficano con la roba degli ebrei, le SS usano la frusta e il fucile e indirizzano i più deboli alle camere a gas e gli altri alle baracche… in queste fotografie si respira un’atmosfera da proscrizione, cancellazione, devitalizzazione dei giudicati all’ultimo viaggio verso un universo di morte.
Gli sguardi delle donne sono fiammeggianti, spesso… quelli dei vecchi, arresi o carichi di sdegno… quelli dei bambini restano sospesi tra l’incredulità e l’intimorimento… un ragazzo disabile è incastrato in una sedia di vimini sdrucita… messo in posa per la fotografia in uno spiazzo di terra… dietro i deportati sono fuori fuoco… lo prendiamo ad icona della scempiaggine disumana che l’intero album esprime. Il ragazzo (fotografato per dimostrare la “bruttezza e l’anormalità della razza ebraica”) si è tolto il cappello che ha appoggiato sulle gambe… forse non può camminare… i piedi gonfi sono stretti in scarpe di stracci… tiene una mano aggrappata al bordo della poltrona… l’altra è quasi nascosta sotto gli abiti o forse una coperta… sul gilet ha appuntata la stella di David… una sciarpa sembra sorreggere la testa piuttosto grossa rispetto al corpo…il suo sguardo però non è arreso… anzi, guarda l’operato del fotografo e l’indignazione si porge a una regalità che non lascia scampo a intermezzi di sottomissione… c’è tutta l’antica nobiltà ebraica in quell’atteggiamento di sfida, tutta la sapienza di chi subisce un sopruso, tutta la dignità di quanti sanno d’essere sconfitti ma vinti mai. Il ragazzo non è vittima dell’ingiustizia ma il denunciatore del male che subisce e il suo volto altero rifiuta il silenzio e ogni spiegazione è resa vana… sarà destinato alla camera a gas, perché le “persone speciali” sono specchio della saggezza o della folgore dell’uomo… i veri accusatori dei tormenti inflitti all’innocenza… gli assassini del popolo ebraico figurano la vastità del male, ma non saranno mai tanto forti d’annullare la parola sussurrata e umana che li condanna nell’idiozia per l’eternità.
Si deve all’intelligenza belligerante del mio amico e maestro d’indicibili scorribande libertarie sulla critica radicale della fotografia, Ando Gilardi, e del suo saggio trasversale sulla fotografia spontanea della Shoah, Lo specchio della memoria, il richiamo alla documentazione, anche clandestina, militare o amatoriale dello sterminio e della verità fotografica di diari e archivi sulla disumanità nazista dei perseguitati, complici e salvati… qui riporta in luce una una pagina indicativa degli Judenrät (“Consiglio ebraico degli anziani”), un corpo amministrativo imposto dai nazisti agli ebrei dei ghetti, per la sorveglianza e “servizi di sicurezza”.
Il lavoro di controllo o di delazione o di compromissione dei Judenrät con l’operato dei nazisti contro gli ebrei, suscita ancora posizioni controverse tra gli storici… corruzioni, crudeltà, con- nivenze con gli assassini ci sono state e la “polizia ebraica” non è stata estranea nemmeno al mercato nero, tradimenti e esecuzioni degli stessi fratelli… come del resto la verità fotografica ha lasciato in eredità a quanti si avvicinano a studiare la Shoah, senza timore di dire chi sono stati i carnefici, le vittime e chi ha cercato di salvare in qualche modo la pelle sulla morte dell’al- tro! Poiché ciascuno è protagonista della propria sopravvivenza, esistenza o resistenza, non serve quindi scaricare colpe o riconoscenze delle sofferenze umane in leggerezza… esistono uomini buoni e uomini cattivi, il male è tutto umano, come il bene… quindi ciò che conta è il grado ultimo della coscienza, al quale nessuno può scappare… non possiamo cercare l’assolu- zione del male in Dio, se non nella ribellione o nel crollo dell’uomo di fronte alle proprie responsabilità. (continua)
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