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Georges Angéli – Sulla fotografia in clandestinità a Buchenwald (Parte I)

di Pino Bertelli

“Io non sono un liberale, non sono un conservatore, non sono un progressista, non sono un monaco,

non sono un indifferentista. Vorrei essere un libero artista, nient’altro […]

Odio la menzogna e la violenza sotto tutti i loro gli aspetti […] Il fariseismo, l’ottusità

e l’arbitrio non regnano solo nelle case dei mercanti e in gattabuia;

io li ravviso nella scienza, nella letteratura, tra i giovani… Per lo stesso motivo non nutro

una particolare predilezione né per i gendarmi né per i macellai né per gli scenziati

né per gli scrittori né per i giovani. L’insegna e l’etichetta le tengo in conto d’un pregiudizio.

Il mio sancta santorum è il corpo umano, la salute, l’ingegno,  l’ispirazione, l’amore  e la libertà più assoluta, l’essere liberi dalla violenza e dalla menzogna, sotto qualunque aspetto si manifestino. 

Ecco il programma al quale mi atterrei, se fossi un grande artista”.

Anton Čechov

Georges Angéli

I. Né per fama, né per denaro, cinguettiamo come passeri su un mucchio di letame…

Né per fama, né per denaro diceva Čechov, nel suo autorevole e appassionante libello sui consigli di scrittura e di vita a difesa dall’infamia istituzionalizzata, e fare dell’arte di vivere il principio di un’altra umanità[1]. Čechov non aderisce a nulla della menzogna calcolata, artistica, politica che circoscrive la verità del potere sulle lacrime della schiavitù. La scrittura “materica”, financo “clandestina” di Čechov accusa l’intelligencija del suo tempo perché è ipocrita, falsa, isterica, maleducata, oziosa… indica “la completa bancarotta morale degli intellettuali” (Pëtr A. Kropotkin) e più di ogni cosa respinge la lingua dei funzionari, perché lì si nascondono tutte le sciocchezze, le bassezze e le spregiudicatezze che portano i poveri, i ribelli e i “quasi adatti” alle forche. 

Si rimprovera a Čechov di scrivere solo di avvenimenti mediocri, di non avere eroi positivi, lui risponde: “Conduciamo una vita provinciale, le vie delle nostre città non sono neppure lastricate, i nostri villaggi sono poveri, il nostro popolo è logorato. Tutti, finché siamo giovani, cinguettiamo come passeri su un mucchio di letame; a quarant’anni siamo già vecchi e cominciamo a pensare alla morte. Che specie di eroi siamo? […] L’uomo diventerà migliore quando gli avremo mostrato come è”[2]. Lo sdegno di Čechov è universale, come è universale l’amore verso la sofferenza della perduta gente.

Nel 1890 il dottor Čechov chiede al direttore dell’amministrazione carceraria Galk’in-Vraskij, un documento che l’autorizzava a visitare le colonie penali dell’isola di Sachalin (nell’Estremo Oriente Russo) per scopi scientifici e letterari… Čechov ha anche il passaporto e la tessera di corrispondente di «Novoe vremja». Dopo un viaggio di 11.000 chilometri (su treni, battelli, carrozze, carretti) arriva a Sachalin il 21 aprile 1890. Ci resterà sette mesi, riparte per nave verso Odessa il 13 ottobre. Nell’isola di Sachalin venivano destinati i criminali e i più fervidi oppositori dello Zar che si mescolavano alle popolazioni Ainu, Giljaki, Evenchi, Yakuti… Čechov si fa geografo, etnografo, sociologo, antropologo… più di ogni cosa cronista di un estremo lembo dell’impero zarista e discopre un universo concentrazionario e le sue crudeltà. Da ogni pagina dello scrittore fuoriesce la degradazione umana di un ordinamento infernale che decideva della vita o della morte di oltre 10.000 reclusi.

Čechov con in mano un taccuino a mo’ di fotocamera, annota storie, compila schede, riporta con minuzia ossessiva le situazioni disperate dei deportati… redige circa ottomila rapporti… parla con la gente dei villaggi, i prigionieri e i loro familiari… sottolinea l’asperità e la bellezza di quella terra, resoconta le punizioni, gli omicidi, le violenze dei militari che imperavano sulle colonie penali. Denuncia le condizioni dei bambini malati, delle donne abusate, delle ragazzine costrette alla prostituzione… e, nemmeno sotto traccia, afferma che a Sachalin, come in tutta la Russia, non c’è giustizia né onore e il patriottismo è una scorciatoia per i tribunali, i servi e i carnefici.

[1] Anton Čechov, Né per fama, né per denaro. Consigli di scrittura e di vita, a cura di Piero Brunello, Minimum fax, 2022

[2] Anton Čechov, Né per fama, né per denaro. Consigli di scrittura e di vita, a cura di Piero Brunello, Minimum fax, 2022

Čechov resta disgustato dalla brutalità dei carcerieri e inorridito dal trattamento riservato ai prigionieri, dal tipo di punizioni loro inflitte e scrive al suo amico editore, Aleksej Suvorin (antisemita e fiancheggiatore dell’Impero russo): «Sachalin è il luogo delle più intollerabili sofferenze che possa sopportare l’uomo, libero o prigioniero che sia (…). Abbiamo fatto marcire in prigione milioni di uomini, li abbiamo fatti marcire invano, senza criterio, barbaramente; abbiamo obbligato la gente a percorrere migliaia di verste al freddo, in catene, l’abbiamo corrotta, abbiamo moltiplicato i delinquenti»[1]. In un’altra lettera a Suvorin, dice inoltre che “nel benessere c’è sempre una parte d’insolenza che si manifesta anzitutto nel fatto che l’uomo sazio fa una predica all’affamato”[2], mai fa i conti ai governi, ai ministri, ai nobili e ai vescovi.

Lo scrittore fu osteggiato dalle autorità, riesce però a passare di villaggio in villaggio e raccogliere i ricordi, le memorie, le indignazioni dei servi della gleba, i pescatori, gli esiliati, i galeotti… entra nelle izbe e si fa messaggero di povertà inenarrabili… nel libro che pubblicherà, parzialmente censurato, L’isola di Sachalin[3], un diario di bordo intrecciato a inchieste, narrazioni, schizzi poetici… riporta nefandezze, ricatti, violenze, corruzioni… descrive come un censimento, i derelitti morire sotto le frustate, per fame, per consunzione, i rituali dei condannati a morte per impiccagione… annotazioni che strangolano l’indifferenza quanto la tirannide. L’isola di Sachalin non è solo un atto di accusa al governo zarista ma un trattato sulla disumanità di tutti i poteri.

Senza fare incongrue comparazioni tra Čechov e il fotografo Georges Angéli, deportato a Buchenwald nel 1943, ci sembra importante sottolineare la contiguità del sistema concentrazionario zarista con quello nazista… le poche immagini rubate nel campo di Angéli, riflettono la medesima quotidianità maltrattata, recisa, violata di Čechov… lo spaventamento dei predicatori dell’ordine o dei vigliacchi d’occasione che risveglia il carnefice assopito negli uomini… specie in quelli di buona volontà e obbedienti a leggi, morali e codici dello Stato. I discendenti dei ghigliottinati lo sanno… non si abita una patria, si abita l’obbedienza a un ordine, a una soggezione, a una ricompensa… il padrone, il re o il profeta è questo e nient’altro. E quando la voce dei dominatori si alza sui sogni di pace dei popoli, il giorno dopo scorre più sangue nel mondo.

[1] Anton Čechov, Né per fama, né per denaro. Consigli di scrittura e di vita, a cura di Piero Brunello, Minimum fax, 2022

[2] Anton Čechov, Né per fama, né per denaro. Consigli di scrittura e di vita, a cura di Piero Brunello, Minimum fax, 2022

[3] Anton Čechov, L’isola di Sachalin, a cura di Valentina Parisi,  Adelphi, 2017

[Continua…]

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