“Io non sono un liberale, non sono un conservatore, non sono un progressista, non sono un monaco,
non sono un indifferentista. Vorrei essere un libero artista, nient’altro […]
Odio la menzogna e la violenza sotto tutti i loro gli aspetti […] Il fariseismo, l’ottusità
e l’arbitrio non regnano solo nelle case dei mercanti e in gattabuia;
io li ravviso nella scienza, nella letteratura, tra i giovani… Per lo stesso motivo non nutro
una particolare predilezione né per i gendarmi né per i macellai né per gli scenziati
né per gli scrittori né per i giovani. L’insegna e l’etichetta le tengo in conto d’un pregiudizio.
Il mio sancta santorum è il corpo umano, la salute, l’ingegno, l’ispirazione, l’amore e la libertà più assoluta, l’essere liberi dalla violenza e dalla menzogna, sotto qualunque aspetto si manifestino.
Ecco il programma al quale mi atterrei, se fossi un grande artista”.
Anton Čechov
I. Né per fama, né per denaro, cinguettiamo come passeri su un mucchio di letame…
Né per fama, né per denaro diceva Čechov, nel suo autorevole e appassionante libello sui consigli di scrittura e di vita a difesa dall’infamia istituzionalizzata, e fare dell’arte di vivere il principio di un’altra umanità[1]. Čechov non aderisce a nulla della menzogna calcolata, artistica, politica che circoscrive la verità del potere sulle lacrime della schiavitù. La scrittura “materica”, financo “clandestina” di Čechov accusa l’intelligencija del suo tempo perché è ipocrita, falsa, isterica, maleducata, oziosa… indica “la completa bancarotta morale degli intellettuali” (Pëtr A. Kropotkin) e più di ogni cosa respinge la lingua dei funzionari, perché lì si nascondono tutte le sciocchezze, le bassezze e le spregiudicatezze che portano i poveri, i ribelli e i “quasi adatti” alle forche.
Si rimprovera a Čechov di scrivere solo di avvenimenti mediocri, di non avere eroi positivi, lui risponde: “Conduciamo una vita provinciale, le vie delle nostre città non sono neppure lastricate, i nostri villaggi sono poveri, il nostro popolo è logorato. Tutti, finché siamo giovani, cinguettiamo come passeri su un mucchio di letame; a quarant’anni siamo già vecchi e cominciamo a pensare alla morte. Che specie di eroi siamo? […] L’uomo diventerà migliore quando gli avremo mostrato come è”[2]. Lo sdegno di Čechov è universale, come è universale l’amore verso la sofferenza della perduta gente.
Nel 1890 il dottor Čechov chiede al direttore dell’amministrazione carceraria Galk’in-Vraskij, un documento che l’autorizzava a visitare le colonie penali dell’isola di Sachalin (nell’Estremo Oriente Russo) per scopi scientifici e letterari… Čechov ha anche il passaporto e la tessera di corrispondente di «Novoe vremja». Dopo un viaggio di 11.000 chilometri (su treni, battelli, carrozze, carretti) arriva a Sachalin il 21 aprile 1890. Ci resterà sette mesi, riparte per nave verso Odessa il 13 ottobre. Nell’isola di Sachalin venivano destinati i criminali e i più fervidi oppositori dello Zar che si mescolavano alle popolazioni Ainu, Giljaki, Evenchi, Yakuti… Čechov si fa geografo, etnografo, sociologo, antropologo… più di ogni cosa cronista di un estremo lembo dell’impero zarista e discopre un universo concentrazionario e le sue crudeltà. Da ogni pagina dello scrittore fuoriesce la degradazione umana di un ordinamento infernale che decideva della vita o della morte di oltre 10.000 reclusi.
Čechov con in mano un taccuino a mo’ di fotocamera, annota storie, compila schede, riporta con minuzia ossessiva le situazioni disperate dei deportati… redige circa ottomila rapporti… parla con la gente dei villaggi, i prigionieri e i loro familiari… sottolinea l’asperità e la bellezza di quella terra, resoconta le punizioni, gli omicidi, le violenze dei militari che imperavano sulle colonie penali. Denuncia le condizioni dei bambini malati, delle donne abusate, delle ragazzine costrette alla prostituzione… e, nemmeno sotto traccia, afferma che a Sachalin, come in tutta la Russia, non c’è giustizia né onore e il patriottismo è una scorciatoia per i tribunali, i servi e i carnefici.
[1] Anton Čechov, Né per fama, né per denaro. Consigli di scrittura e di vita, a cura di Piero Brunello, Minimum fax, 2022
[2] Anton Čechov, Né per fama, né per denaro. Consigli di scrittura e di vita, a cura di Piero Brunello, Minimum fax, 2022
Čechov resta disgustato dalla brutalità dei carcerieri e inorridito dal trattamento riservato ai prigionieri, dal tipo di punizioni loro inflitte e scrive al suo amico editore, Aleksej Suvorin (antisemita e fiancheggiatore dell’Impero russo): «Sachalin è il luogo delle più intollerabili sofferenze che possa sopportare l’uomo, libero o prigioniero che sia (…). Abbiamo fatto marcire in prigione milioni di uomini, li abbiamo fatti marcire invano, senza criterio, barbaramente; abbiamo obbligato la gente a percorrere migliaia di verste al freddo, in catene, l’abbiamo corrotta, abbiamo moltiplicato i delinquenti»[1]. In un’altra lettera a Suvorin, dice inoltre che “nel benessere c’è sempre una parte d’insolenza che si manifesta anzitutto nel fatto che l’uomo sazio fa una predica all’affamato”[2], mai fa i conti ai governi, ai ministri, ai nobili e ai vescovi.
Lo scrittore fu osteggiato dalle autorità, riesce però a passare di villaggio in villaggio e raccogliere i ricordi, le memorie, le indignazioni dei servi della gleba, i pescatori, gli esiliati, i galeotti… entra nelle izbe e si fa messaggero di povertà inenarrabili… nel libro che pubblicherà, parzialmente censurato, L’isola di Sachalin[3], un diario di bordo intrecciato a inchieste, narrazioni, schizzi poetici… riporta nefandezze, ricatti, violenze, corruzioni… descrive come un censimento, i derelitti morire sotto le frustate, per fame, per consunzione, i rituali dei condannati a morte per impiccagione… annotazioni che strangolano l’indifferenza quanto la tirannide. L’isola di Sachalin non è solo un atto di accusa al governo zarista ma un trattato sulla disumanità di tutti i poteri.
Senza fare incongrue comparazioni tra Čechov e il fotografo Georges Angéli, deportato a Buchenwald nel 1943, ci sembra importante sottolineare la contiguità del sistema concentrazionario zarista con quello nazista… le poche immagini rubate nel campo di Angéli, riflettono la medesima quotidianità maltrattata, recisa, violata di Čechov… lo spaventamento dei predicatori dell’ordine o dei vigliacchi d’occasione che risveglia il carnefice assopito negli uomini… specie in quelli di buona volontà e obbedienti a leggi, morali e codici dello Stato. I discendenti dei ghigliottinati lo sanno… non si abita una patria, si abita l’obbedienza a un ordine, a una soggezione, a una ricompensa… il padrone, il re o il profeta è questo e nient’altro. E quando la voce dei dominatori si alza sui sogni di pace dei popoli, il giorno dopo scorre più sangue nel mondo.
[1] Anton Čechov, Né per fama, né per denaro. Consigli di scrittura e di vita, a cura di Piero Brunello, Minimum fax, 2022
[2] Anton Čechov, Né per fama, né per denaro. Consigli di scrittura e di vita, a cura di Piero Brunello, Minimum fax, 2022
[3] Anton Čechov, L’isola di Sachalin, a cura di Valentina Parisi, Adelphi, 2017
[Continua…]
Altri articoli di questo autore
Edward Steichen – Sulla fotografia nel boudoir
Edward Steichen – L’impiccagione della fotografia come una delle belle arti
Terry Richardson. Sulla fotografia consumerista
Terry Richardson. Sulla fotografia che uccide la fotografia
Francesca Grispello. Sulle fotoscritture del corpo come anima in amore e l’iconografia della seduzione come fragilità della bellezza
Miseria della fotografia nella civiltà dello spettacolo
Lello Mazzacane – Sull’antropologia visuale e fotografia dell’esistenza
Pierangelo Campolattano – L’agente di custodia-fotografo del carcere dell’isola di Gorgona
Elio Ruffo. Sul Cinema della disperanza (parte settima e ultima)
Elio Ruffo. Sul Cinema della disperanza (parte sesta)
La zona d’interesse (2023) di Jonathan Glazer
Elio Ruffo. Sul Cinema della disperanza (parte quinta)
Elio Ruffo. Sul Cinema della disperanza (parte quarta)
Elio Ruffo. Sul Cinema della disperanza (parte terza)
Elio Ruffo. Sul Cinema della disperanza (parte seconda)
Elio Ruffo. Sul Cinema della disperanza (parte prima)
Commentari sulla macchina/cinema nello spettacolo dell’Apocalisse
Ognuno per sé e la fotografia contro tutti! – quinta parte
Ognuno per sé e la fotografia contro tutti! – quarta parte
Ognuno per sé e la fotografia contro tutti! – seconda parte
C’è ancora domani (2023), di Paola Cortellesi
Ognuno per sé e la fotografia contro tutti!
LA CITTÀ DELL’ACCIAIO NELL’ARCHIVIO FOTOGRAFICO LUCCHINI PIOMBINO 1940 / 1990
Diane Arbus Della fotografia trasgressiva. Dall‘estetica dei “Freaks” all‘etica della ribellione (Parte prima)
Gisèle Freund – Sulla fotografia delle passioni
Marialba Russo – Sulla fotografia mediterranea
Francesca Woodman – Sulla fotografia dell’esistenza
GLI SCUGNIZZI / CARACCIOLINI: IMMAGINI DI UNA MEMORIA NAPOLETANA 4° Parte
Sulla fotografia di resistenza dei ghetti L’antisemitismo, i carnefici di Hitler e gli anarchici nei forni (parte sesta)
Sulla fotografia di resistenza dei ghetti L’antisemitismo, i carnefici di Hitler e gli anarchici nei forni (parte quinta)
Gente dell’Arcipelago Toscano Ritratti di mare, di pietra, di ferro, di vento
GLI SCUGNIZZI / CARACCIOLINI: IMMAGINI DI UNA MEMORIA NAPOLETANA 3° Parte
GLI SCUGNIZZI / CARACCIOLINI: IMMAGINI DI UNA MEMORIA NAPOLETANA 2° Parte
GLI SCUGNIZZI / CARACCIOLINI: IMMAGINI DI UNA MEMORIA NAPOLETANA I° Parte
PAOLA AGOSTi – Sulla fotografia DELL’INDIGNAZIONE
Nancy “Nan” Goldin è una fotografa di notevole talento visionario.
ALEXANDRA BOULAT – Il coraggio della fotografia
GIAN PAOLO BARBIERI – SULLA FOTOGRAFIA DELLA SEDUZIONE
Sulla fotografia di resistenza dei ghetti L’antisemitismo, i carnefici di Hitler e gli anarchici nei forni (parte terza)
André Adolphe Eugéne Disderi sulla fotografia della “BELLA” BORGHESIA
Giuseppe “Gegè” Primoli Conte e fotografo della belle époque
Sulla fotografia di resistenza dei ghetti L’antisemitismo, i carnefici di Hitler e gli anarchici nei forni (parte seconda)
Sulla fotografia di resistenza dei ghetti L’antisemitismo, i carnefici di Hitler e gli anarchici nei forni (parte prima)
Album Auschwitz sulla fotografia criminale nazista (parte terza)
Album Auschwitz sulla fotografia criminale nazista (parte seconda)
Album Auschwitz sulla fotografia criminale nazista (parte prima)
Tommaso Le Pera Della fotografia immaginista scritta sull’acqua del teatro e sulla filosofia gnostica degli occhi chiusi (parte IV))
Tommaso Le Pera Della fotografia immaginista scritta sull’acqua del teatro e sulla filosofia gnostica degli occhi chiusi
Fino all’ultimo respiro del cinema-Duende di Jean-Luc Godard
Pino Bertelli è nato in una città-fabbrica della Toscana, tra Il mio corpo ti scalderà e Roma città aperta. Dottore in niente, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema e fotografia. I suoi lavori sono affabulati su tematiche della diversità, dell’emarginazione, dell’accoglienza, della migrazione, della libertà, dell’amore dell’uomo per l’uomo come utopia possibile. È uno dei punti centrali della critica radicale neo-situazionista italiana.
No comment yet, add your voice below!