Nella Piazza Rossa di Mosca, poco distante dal Cremlino, si trova la famosa Cattedrale di San Basilio, risparmiata anche da Stalin, che, nella sua scalata al potere, non si era fatto scrupolo di distruggere decine di migliaia di chiese. Basilio il Beato, era uno dei cosiddetti “santi pazzi” o “yurodivy”, i quali spesso andavano in giro completamente nudi o mortificavano la loro carne indossando pesanti catene o stracci sporchi e pidocchiosi. Digiunavano e dormivano all’aperto, pronunciavano profezie e, secondo la leggenda, facevano miracoli. San Basilio era ritenuto divinamente ispirato e quindi veniva ascoltato dallo zar. Faceva parte dell’unico gruppo che poteva permettersi di criticare apertamente il Cremlino ed esprimere le frustrazioni dei russi comuni.
Oggi esiste uno zar ma purtroppo non un San Basilio che possa fermare questa folle aggressione e guerra in Ucraina. Tanti sono i pensieri che passano per la testa di ognuno di noi, assistendo alla sofferenza e alla morte di tanti civili inermi. Quante volte Gino Strada ha ricordato ai vari guerrafondai o politicanti da strapazzo che solo i civili sono le vere vittime dei conflitti? Lui poteva farlo perché era un uomo d’azione, uno che si era imbrattato le mani del sangue di questi civili e troppo spesso aveva assistito alla loro morte, nonostante il tentativo di salvarli.
La vicenda dei Santi Pazzi, le immagini ricorrenti della guerra, mi hanno recentemente riportato al grande fotografo ucraino Boris Mikhailov e al suo bellissimo lavoro “Case History”, ma anche a riflettere sul come gli uomini imparino assai poco dalla storia, la memoria sia troppo spesso labile perché sacrificata agli interessi del potere e la vita sia così complessa e severa da creare strani intrecci che poco hanno a che fare con la casualità, quando a dominare è il lato più oscuro dell’umanità.
Nato a Kharkov nel 1938, Mikhailov è considerato uno dei principali fotografi dei paesi dell’ex Unione Sovietica. Per più di quarant’anni, il lavoro di Mikhailov ha esplorato la posizione dell’individuo all’interno dello spazio ideologico, compresa la vita nell’Europa orientale post-sovietica, e il vuoto ideologico lasciato dall’implosione. “Case History” è stato pubblicato nel 1999 e sostanzialmente documenta l’oppressione sociale, la povertà devastante, la durezza e l’impotenza della vita quotidiana dei cosiddetti Bomzhes, o senzatetto a lungo termine, di Kharkov.
Nella sua prima età adulta, Mikhailov ha studiato ingegneria e lavorato in una fabbrica, e, come hobby, ha imparato a fotografare. All’inizio, ha scattato foto di sua moglie, Vita, e dei suoi amici in situazioni casuali, catturando aspetti della loro vita quotidiana, compreso il bere e la nudità. Quando le foto di sua moglie nuda furono trovate nel suo posto di lavoro, fu licenziato. Fu allora che decise di dedicarsi alla macchina fotografica a tempo pieno. La nudità era un argomento proibito ai tempi dell’Unione Sovietica. Controllare la nudità era diventato un modo per controllare le persone. “Il senso di colpa era legato alla nudità”, disse una volta Mikhailov in un’intervista per il Sunday Times. “Poiché tutti erano nudi, tutti erano colpevoli. Ci facevano vergognare dei nostri corpi”.
In Case History, i Bomzhes, così simili agli Yurodivi, non si vergognano della loro nudità, la elevano quasi ad uno stato di santità così come le loro pose teatrali li trasformano quasi in eroi.
Per comprendere meglio anche le dinamiche dell’attuale conflitto e della scelta dei soggetti da parte di Mikhailov è necessario ricordare che Karkov è la seconda città più grande dell’Ucraina. È stata la prima città dove è stata proclamata la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina (dicembre 1917). Oggi Kharkov è un importante centro culturale, scientifico e industriale. Qui hanno la loro sede operativa colossi come la Malyshevm (carri armati), la Khartron (elettronica aerospaziale e nucleare) e la Turboatom (turbine). Dopo il crollo dell’Unione Sovietica è iniziato per Kharkov un periodo di grande sviluppo economico che ha inevitabilmente finito con il creare divisioni di classe sempre più nette con un aumento vertiginoso dei senzatetto, inesistenti fino a poco tempo prima.
Con cinismo si parlava di creature, una volta umane e poi degradate, spaventose, orribili. Una “fauna” specifica del post-comunismo. Per Mikhailov erano persone normali, che erano andate incontro alla rovina e che era importante fotografare in quello specifico momento, prima che perdessero la loro umanità e si indurissero nell’animo, nel tentativo di sopravvivere. Molte delle sue immagini fanno riferimento all’immaginario cristiano, altre alla ritrattistica classica e dei nudi in pittura.
“Queste in Case History sono persone reali. L’unica cosa che cambia è il modo in cui sono messi in posa e il fatto che siano nudi… Ho chiesto ai miei modelli di tirarsi su i vestiti come metafora della loro vita”. “Per Case History, i vecchi metodi documentari non erano possibili – era importante e necessario per me trovare nuovi metodi per mostrare questa vita”.
Le persone vengono ritratte sotto una luce poco lusinghiera – rendendole addirittura oggetto di repulsione – ma l’autore non riflette sulla loro condizione quanto su quanto sia disumana la società che permette alle persone di cadere in tali condizioni. Mikhailov ha spesso pagato i suoi soggetti, senza mai nasconderlo e infischiandosene di coloro i quali trovavano scandaloso questo suo modo di operare. Dava loro pasti caldi in cambio del loro recitare, non solo per la macchina fotografica ma per un pubblico, come attori in un teatro di crudeltà.
Questo limite così sottile e discutibile tra giudizio, morale, dignità, ruoli mi riporta al conflitto in atto. Anche in questo ripugnante teatro sembrano comparire le medesime figure: oligarchi, zar, santi, eroi. E viene da domandarsi: che fine avranno fatto i Bomzhes odierni? Saranno riusciti a salvarsi dai bombardamenti dell’invasore?
La storia dell’umanità è un continuo ripetersi di meraviglie e atrocità. La buona fotografia, quella che nasce dal talento e dal cuore, quella che non giudica ma rispetta anche se sembra non farlo perché provocatoria, è destinata a stupire e ad essere sempre attuale e in definitiva a smuovere inevitabilmente le coscienze.
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Ha lavorato a progetti a lungo termine concentrandosi sulle profonde conseguenze di conflitti e disastri naturali sulla società.
Ha ricevuto diversi premi, tra cui il World Press Photo, il Picture of the Year International (Magazine Photographer of the Year, terzo premio), il Best of Photojournalism (Magazine Photographer of the Year, terzo premio), il PDN Photo Annual, il Fnac Attenzione Talento Fotografico, l’International Photography Award, l’International Photographer of the Year al 5° Lucie Awards e il Sony World Photography Awards. E’ stato finalista all’Aftermath Grant 2011. Ha ricevuto la nomination per il Prix Pictet 2009 “Earth” e 2015 “Disorder”. Il suo progetto “Il Mare siamo Noi” è stato selezionato per il Vevey Images Grant 2015 e 2017.
E’ stato Leica Ambassador e Talent Manager dell’agenzia LUZ una delle più importanti agenzie fotografiche italiane.
Da anni è impegnato nella didattica con esperienza pluriennale presso la Scuola Romana di Fotografia, la Leica Akademie, la REA e la D.O.O.R. Akademy.
È uno dei membri e fondatori di D.O.O.R., una factory romana che si occupa di fotografia, talent scouting e publishing.
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