“I’m Looking Through You” è un raro esempio di poema visivo. Tim Davis è un autore complesso, sempre pronto a mettersi in gioco, sfidarsi e sfidare. Mi ricordo il suo lavoro su Roma nel 2007. Consapevole della difficoltà di confrontarsi con le migliaia di anni di storia e di interpretazioni sulla città, decise di dirigersi solo nelle periferie, più vicine alla sua cultura e più familiari ai suoi occhi americani. Con dei video ritrasse prostitute e trans che cantavano e fotografò solo i peni che imbrattavano le mura della città. Un approccio provocatorio, ma vero, sincero. Troppo spesso si pensa che il talento di un autore possa permettergli di raccontare in maniera profonda e originale qualunque cosa, lasciandoci spesso delusi.
Questo libro è anche, in qualche modo, una celebrazione sfacciata della fotografia e della sua complessità. Davis afferma:” La macchina fotografica è una macchina che vede solo le superfici. Il mondo lancia il suo incantesimo, e la macchina fotografica ne divora il fascino, acriticamente, con pura certezza, supponendo che non ci sia nulla sotto”. Spinto dal desiderio di fare tutto in modo diverso, nel 2017 abbandona i suoi progetti e il suo banco ottico. Consigliato dalla moglie, decide di fare qualcosa che lo renda felice, che gli faccia nuovamente assaporare l’amore per la macchina fotografica e la fotografia.
Si dirige a Los Angeles. Sente che in quella città c’è un senso di possibilità, molte più immagini da realizzare, molto più potere evocativo e bellezza di qualunque altro posto nel quale fosse mai stato. Sin dal primo viaggio, utilizza, per la prima volta, una macchina fotografica digitale, il formato 35 mm e il verticale, uscendo dalla sua “comfort zone” autoriale. “Il numero di immagini diverse che potevo scattare mi rinvigoriva”…“Ho scoperto che la mia fame di immagini non si placava. Non potevo credere a quanto ci fosse da vedere”.
Per circa due anni, cammina per miglia ogni giorno, fotografando e scrivendo. La pubblicazione presenta tre “story-essays”, meditazioni in evoluzione sulla città, il suo processo artistico e la natura della fotografia. “Sono sempre stato un poeta e un fotografo“, riflette Davis. “E il linguaggio è inestricabile dal mio processo fotografico. L’empatia fotografica consiste nell’osservare le superfici mutevoli del mondo alla ricerca di segni di ciò che sta accadendo all’interno. Questo richiede immaginazione. E se non si ha immaginazione, si finisce con il restare in superficie. Vedo la fotografia come una serie di problemi da risolvere.”
Arrivato alla conclusione del progetto, si mette editare le fotografie prodotte (più di 160) in collaborazione con Lesley Martin di Aperture e il graphic designer Andrew Sloat. Per quasi due anni si riuniscono creando coppie di immagini con delle piccole stampe. “Era un una specie di conclave; cercavamo di trovare le combinazioni perfette ed era davvero divertente. Sembravamo tre persone che prendevano parte ad un gioco: creare delle pagine che comunicassero tra loro. Le foto erano divertenti, piacevoli, avevano umorismo ma suscitavano anche emozioni.”
Nell’anno successivo Tim Davis rivede diversi di questi dittici, li spezza, riedita l’intera sequenza ascoltando musica. Crea una “playlist” di colonne sonore di film noir, una musica narrativa, costruita appositamente per accentuare il dramma e ne trae ispirazione. Il libro diventa più emotivo e le sequenze si avvicinavano sempre più alle sensazioni provate dall’autore durante gli scatti. Tre lunghi anni di lavoro e poi il design studiato per rendere piacevole il libro come oggetto, una sorta di insegna pubblicitaria o graffito tascabile, ricco di estetica “piena” e di contenuti.
Tim Davis è un autore che non ha paura di fallire e sfidarsi. Di sé dice: “Quello che trovo come artista è che mi butto completamente in tutto. Sono come una persona che si lancia da un ponte e spera che lì sotto ci sia dell’acqua. È un po’ come innamorarsi- quando hai quel pensiero “questo è tutto per me“. A volte ti svegli la mattina dopo e sei così insicuro. Se non accetti di poter fallire non puoi essere un fotografo. Si fanno così tante foto che non funzionano. C’è così tanto fallimento. Se non riesci a gestirlo, la fotografia non è il mezzo per te.”
“I'm Looking Through You” è stato pubblicato da Aperture ed è un libro da avere, prima che diventi introvabile.
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Massimo Mastrorillo
Ha lavorato a progetti a lungo termine concentrandosi sulle profonde conseguenze di conflitti e disastri naturali sulla società.
Ha ricevuto diversi premi, tra cui il World Press Photo, il Picture of the Year International (Magazine Photographer of the Year, terzo premio), il Best of Photojournalism (Magazine Photographer of the Year, terzo premio), il PDN Photo Annual, il Fnac Attenzione Talento Fotografico, l’International Photography Award, l’International Photographer of the Year al 5° Lucie Awards e il Sony World Photography Awards. E’ stato finalista all’Aftermath Grant 2011. Ha ricevuto la nomination per il Prix Pictet 2009 “Earth” e 2015 “Disorder”. Il suo progetto “Il Mare siamo Noi” è stato selezionato per il Vevey Images Grant 2015 e 2017.
E’ stato Leica Ambassador e Talent Manager dell’agenzia LUZ una delle più importanti agenzie fotografiche italiane.
Da anni è impegnato nella didattica con esperienza pluriennale presso la Scuola Romana di Fotografia, la Leica Akademie, la REA e la D.O.O.R. Akademy.
È uno dei membri e fondatori di D.O.O.R., una factory romana che si occupa di fotografia, talent scouting e publishing.
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