Nel 1974 a Barcellona esisteva un locale, El Molino, molto simile al Moulin Rouge di Parigi. Era un luogo dove si respirava un clima di libertà ed espressività anche culturale in un momento in cui la Spagna era oppressa dalla dittatura di Franco. Il giovane Fontcuberta, per tre-quattro anni lo frequentò producendo circa 3-4000 immagini di reportage mai realmente utilizzate, dal momento che il suo indirizzo artistico si è poi discostato in modo definitivo da quel genere di fotografia.
Molti anni dopo (2016), pensando ad un progetto su Barcellona, Fontcuberta decise di utilizzare queste immagini. In collaborazione con un folto team di collaboratori si inventò la figura di Ximo Berenguer, fotografo gay, impegnato culturalmente e politicamente a cui attribuì la realizzazione delle immagini (il nome del vero autore non doveva comparire da nessuna parte). L’idea non era nuova.
Traeva ispirazione dalla figura di Charles Jones, il giardiniere che rese arte le sue piante attraverso la fotografia. Le immagini di frutta, verdure e fiori di Jones, vennero scoperte per caso ad un mercato di antiquariato nel 1981 da Sean Sexton. Jones, morto nel 1959, era sconosciuto alla scena artistica e i suoi lavori non erano mai stati esposti fino a quel momento.
Dopo la scoperta di Sexton le serie di fotografie entrarono in grandi collezioni museali e sono tutt’ora vendute a cifre considerevoli.
Altra fonte di ispirazione fu sicuramente l’autobiografia della fotografa inglese Amory Clay, scritta da William Boyd. Ogni fotografia nel libro riportava con assoluta precisione personaggi, luoghi e date delle riprese.
La citazione che introduceva il racconto e dava senso al titolo: “Qualunque sia la durata del tuo soggiorno su questo piccolo pianeta, qualunque cosa ti accada, l’importante è che tu possa sentire, di tanto in tanto, la dolce carezza della vita.” Risultava tratta dall’opera di Jean-Baptiste Charbonneau “Avis de passage” (1957).
L’accuratezza per il dettaglio, la precisione nella descrizione dei particolari inducevano il lettore a uscire dal romanzo per ricercare notizie su questi personaggi dell’arte e della letteratura del novecento al momento sconosciuti.
In effetti non si era mai sentito parlare di Amory Clay, il cui nome derivava da un anagramma di iniziali di grandi fotografe esistite, né di Jean-Baptiste Charbonneau né di altri personaggi presenti nel romanzo perché erano frutto della fervida immaginazione dell’autore, un vero professionista della mistificazione, un illusionista, un prestigiatore, che, ricercando la verità dentro la menzogna, offriva un avvincente romanzo che si leggeva come la “vera storia” della protagonista che attraversava il secolo ventesimo e i suoi tumulti con la macchina da presa costantemente nelle mani.
Ma torniamo al nostro Ximo Berenguer. Nella ricostruzione fake creata da Fontcuberta e il suo team, Ximo risultava aver realizzato una bozza di libro con il suo lavoro sul locale. Una sera perse la vita in un incidente con la sua moto e la bozza e l’archivio vennero ereditati dalla sorella, una monaca di clausura.
Le immagini erano state “scoperte casualmente” diversi anni dopo da Joan Fontcuberta. Grazie alla sua notorietà e credibilità come artista, il team creò un forte interesse mediatico intorno all’evento. Improvvisamente si cominciò a parlare della scoperta di un grande talento. Venne realizzato un libro accompagnato da testi scritti da Fontcuberta sotto falso nome, una mostra, il festival PhotoEspana espose le sue opere e diversi collezionisti le acquistarono. I giornali scrissero articoli entusiasti sull’autore ritrovato.
La rivelazione del fake doveva avvenire in un momento ben preciso ma, di fronte alla possibilità che un giornale potesse avere l’esclusiva della notizia, Fontcuberta decise di rivelare la verità attraverso una conferenza. I giornalisti mostrarono tutto il loro sdegno e risentimento per essere stati usati ed essere caduti nella trappola. Ai collezionisti che avevano acquistato le opere di Ximo Berenguer venne proposto o il risarcimento o l’attribuzione delle stesse a Joan Fontcuberta. Inutile dire che optarono tutti per la seconda offerta. Le opere avevano già acquistato valore per il solo fatto di essere associate alla creazione dell’evento.
Un artista di fama mondiale si era preso gioco del mondo dell’arte e dei meccanismi spesso incomprensibili del mercato ad essa associato e, agli addetti ai lavori, non restava che prenderne atto. Una storia che fa riflettere e che merita attenzione.
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Massimo Mastrorillo
Ha lavorato a progetti a lungo termine concentrandosi sulle profonde conseguenze di conflitti e disastri naturali sulla società.
Ha ricevuto diversi premi, tra cui il World Press Photo, il Picture of the Year International (Magazine Photographer of the Year, terzo premio), il Best of Photojournalism (Magazine Photographer of the Year, terzo premio), il PDN Photo Annual, il Fnac Attenzione Talento Fotografico, l’International Photography Award, l’International Photographer of the Year al 5° Lucie Awards e il Sony World Photography Awards. E’ stato finalista all’Aftermath Grant 2011. Ha ricevuto la nomination per il Prix Pictet 2009 “Earth” e 2015 “Disorder”. Il suo progetto “Il Mare siamo Noi” è stato selezionato per il Vevey Images Grant 2015 e 2017.
E’ stato Leica Ambassador e Talent Manager dell’agenzia LUZ una delle più importanti agenzie fotografiche italiane.
Da anni è impegnato nella didattica con esperienza pluriennale presso la Scuola Romana di Fotografia, la Leica Akademie, la REA e la D.O.O.R. Akademy.
È uno dei membri e fondatori di D.O.O.R., una factory romana che si occupa di fotografia, talent scouting e publishing.
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