“31 agosto 2019 ... da quel momento il mio modo di guardare il mondo è cambiato. Tutto è cambiato. La morte prematura di Maria, la sua decisione di porre fine alla propria vita, è un taglio netto, una linea di demarcazione ben definita tra il prima e il dopo.”
Poco dopo questa tragedia personale, l’Assessorato alla Crescita Culturale di Roma Capitale commissiona a Martin Kollar un lavoro fotografico per la Collezione Roma. Mentre gli altri artisti chiamati a far parte del progetto decidono di lavorare sulla città, Martin si affida al famoso detto che “tutte le strade portano a Roma” e decide che per il suo progetto intraprenderà un cammino da Bratislava, sua città di residenza, alla Capitale. “Long Stroll or All Roads Lead to Rome” dura 42 giorni; l’autore percorre 1255 chilometri, l’equivalente di 950.000 passi e, grazie alla solitudine forzata, riesce a decomprimere, a metabolizzare il suo dolore e l’incredulità per quanto gli era accaduto nella vita privata. L’undici gennaio arriva a Roma e di lì a poco il mondo viene colpito dalla Pandemia entrando in “lockdown”. Kollar, come tutti noi, è costretto a vivere in una sorta di limbo dove il tempo passa lentamente, una lentezza simile a quella che aveva sperimentato durante il cammino verso Roma e decide di mettere mano all’archivio fotografico, le decine di materiali raccolti dai viaggi, dai sopralluoghi e dalle riprese fatte insieme a Maria. Negli ultimi anni avevamo visitato vari centri di ricerca e istituti scientifici, e iniziato a preparare e girare il film “Letopis”, il primo realizzato insieme. Ne è risultata una sorta di viaggio nel tempo, nel loro tempo, compiuto in fasi diverse. Periodi in cui vinceva l’incapacità di aprire i file, si alternavano a periodi ossessivi in cui Martin non poteva fare a meno di guardare ripetutamente le immagini, rivivendo gli anni, i mesi e i giorni passati insieme alla sua compagna. E in questo procedere così schizofrenico, si sono lentamente delineati contesti e fili nascosti, passati inosservati prima e giustamente rielaborati e connessi tra di loro dopo, in un tentativo non tanto di ricostruire la vita passata insieme, quanto di catturare il momento in cui il prima trascende il dopo e di comprendere come nella vita qualsiasi evento, aspettato o inaspettato, ci colga spesso impreparati.
Martin Kollar ha il dono di aver un grande senso dell’ironia e di rendere semplice ciò che appare complesso o per lo meno doloroso. “After” rispecchia appieno questa capacità. Un lavoro così intriso di dolore risulta comunque leggero, enigmatico, a volte ironico. Lo definirei un “fotografo gentile”. La sua gentilezza non si deve scambiare con ottimismo, perché in realtà molti dei suoi lavori sono anche estremamente realistici, spesso duri, una durezza espressa sempre con grande tatto. Questa sua capacità si manifesta non solo nei lavori fotografici ma anche nei suoi corto e lungo metraggi cinematografici. Ne è un vivido esempio il film “October 5th” incentrato su un viaggio in solitaria del fratello, prima di compiere, esattamente nella data del titolo, un intervento chirurgico per eliminare una malformazione del volto. Quasi un’ora di girato in cui non viene detta una sola parola, se non un “bonjour”, con la consapevolezza che a volte davvero bastano gli sguardi, i gesti per riuscire ugualmente a dire molto.
L’autorialità di Kollar non accetta compromessi e non teme le sfide. Il vero trampolino di lancio per la sua carriera è stato “Field Trip”, il lavoro realizzato all’interno del progetto di residenza The Place, in cui dodici fotografi di grande spessore e notorietà hanno documentato diversi aspetti della vita quotidiana dello Stato d’Israele. Il suo progetto ha riscosso i maggiori consensi e ricevuto diversi premi. Il perché, al di là del chiaro talento, lo si può ritrovare nelle sue parole: “Dopo diverse brevi detenzioni della polizia in Israele, ho cominciato a capire che non potevo rifiutare l’idea di essere sotto sorveglianza. I governi spiegano questi atti come “misure di sicurezza”, ma per me erano difficili da accettare 20 lunghi anni dopo la fine del regime comunista. In qualche modo mi sono ritrovato nel mio passato psichico, valutando le situazioni con un leggero senso di paranoia.
È probabile che la polizia di sicurezza israeliana abbia una registrazione dei miei movimenti sotto sorveglianza. Ho pensato che un tale rapporto sarebbe il testo più adatto per questo libro. Ma ci sono alcune cose nella vita che siamo destinati a non comprendere mai completamente, che non possiamo provare, confutare o evitare”.
Dalla sofferenza nascono spesso i migliori lavori. Questo mi hanno insegnato e ho spesso avuto modo di verificare nella mia vita professionale. E di nuovo come in altri lavori di Kollar, compreso “After” e il precedente “Provisional Arrangement”, anche in “Field Trip” c’è una profonda riflessione sull’inconfutabilità e sulla provvisorietà di molti eventi della vita. Che questi temi lo tocchino nell’intimo o riguardino una visione più generalista, finiscono con il confermare solo una grande coerenza narrativa e stilistica. In un periodo in cui spesso prevalgono le mode, è una qualità che non può passare inosservata e che viene giustamente premiata.
Domani martedì 16 novembre alle 21:00 Martin Kollar sarà nostro ospite per una talk. Un’occasione da non perdere per confrontarsi con lui e il suo lavoro.
Vi aspettiamo.
Per partecipare è sufficiente registrarsi qui:
Il libro di Martin Kollar “Provisional Arangement” è disponibile su CineSud.it
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Massimo Mastrorillo
Ha lavorato a progetti a lungo termine concentrandosi sulle profonde conseguenze di conflitti e disastri naturali sulla società.
Ha ricevuto diversi premi, tra cui il World Press Photo, il Picture of the Year International (Magazine Photographer of the Year, terzo premio), il Best of Photojournalism (Magazine Photographer of the Year, terzo premio), il PDN Photo Annual, il Fnac Attenzione Talento Fotografico, l’International Photography Award, l’International Photographer of the Year al 5° Lucie Awards e il Sony World Photography Awards. E’ stato finalista all’Aftermath Grant 2011. Ha ricevuto la nomination per il Prix Pictet 2009 “Earth” e 2015 “Disorder”. Il suo progetto “Il Mare siamo Noi” è stato selezionato per il Vevey Images Grant 2015 e 2017.
E’ stato Leica Ambassador e Talent Manager dell’agenzia LUZ una delle più importanti agenzie fotografiche italiane.
Da anni è impegnato nella didattica con esperienza pluriennale presso la Scuola Romana di Fotografia, la Leica Akademie, la REA e la D.O.O.R. Akademy.
È uno dei membri e fondatori di D.O.O.R., una factory romana che si occupa di fotografia, talent scouting e publishing.
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