In questi giorni è venuto a mancare Doug Rickard, un artista ancora molto giovane, che ha lasciato un segno importante nel mondo dell’arte e della fotografia o di quella che molti amano chiamare post fotografia. Fondatore ed editore del noto sito web sulla fotografia contemporanea American Suburb X, si è affermato sulla scena artistica internazionale con il lavoro “A New American Picture” (2010).
Nel 2007 Google lanciò Street View, un progetto sorprendente e per certi aspetti anche inquietante per fotografare ogni strada, prima in America e poi nel mondo. Auto con nove lenti, telecamere a 360 gradi comparvero nelle nostre città e inevitabilmente nelle nostre vite, fotografando di tutto. Un atto di sorveglianza vero e proprio che avrebbe fatto brillare gli occhi a George Orwell, divenne di uso comune e apprezzato.
Diversi fotografi mostrarono presto interesse per questo fenomeno. Non solo non era più necessario viaggiare o camminare per ore, ma le immagini di Google consentivano anche di bypassare il problema delle liberatorie per l’utilizzo delle immagini di persone riprese per strada.
Michael Wolf e Jon Rafman sono stati tra i primi a farne uso. Mentre Wolf è stato particolarmente influenzato dal concetto di sorveglianza, Rafman ha lasciato le frecce di navigazione di Google sulle sue immagini per rendere chiara la loro provenienza. Entrambi, hanno finito con il commentare il sistema usando continui riferimenti alla storia della fotografia di strada e mettendo in evidenza come le immagini di Street View fossero molto più vicine all’oggettività di quanto lo fosse la fotografia autoriale.
Doug Rickard, non si è lontanamente interessato a questo aspetto. Quello che ha cercato di fare è stato creare una continuità storica con la fotografia di strada e di paesaggio urbano americana, quella per intenderci di Walker Evans (American Photographs), Robert Frank (The Americans), Stephen Shore (Uncommon PLaces), Paul Graham (American Night), mantenendo la stessa poesia e potenza. Nel 2008 comincia utilizzando Street View per esplorare virtualmente le strade d’America alla ricerca di luoghi dimenticati, economicamente devastati e in gran parte abbandonati. Dopo aver localizzato scene di degrado urbano e rurale, Rickard ha ripreso le immagini sullo schermo del suo computer con una macchina fotografica montata su un treppiede, liberandole dalle loro origini tecnologiche e riproponendole su un piano decisamente documentario.
In tre anni ha accumulato migliaia di immagini per poi selezionarne circa ottanta; la bassa risoluzione ha finito con il donare un effetto pittorico. Le figure occasionali hanno i volti sfocati. La forte sensazione di surrealismo e di anonimato hanno rinforzato l’idea di isolamento dei soggetti e sottolineato come la società americana sia sempre più stratificata. In queste aree “il sogno americano” è stato infranto o è impossibile da raggiungere. Ne è venuto fuori un quadro che ha messo in evidenza problematiche di tipo diverso: la politica, la povertà, l’uguaglianza razziale e il clima socioeconomico; l’uso della tecnologia nell’arte, il tema della privacy e della sorveglianza e la iperproduzione di immagini sul web.
A New Orleans, quattro ragazzi neri passeggiano in una strada desolata sotto un cielo livido. Nel Bronx, la figura sfocata di un uomo in abito si libra minacciosa fuori da un negozio di alimentari chiuso. A Dallas, un cane bianco accanto a un albero morto e a un cortile sbiancato lancia uno sguardo all’auto di Google che passa. O a Fresno, un uomo con un cappello bianco siede su una sedia a rotelle in un cortile sporco. Dietro di lui c’è un camion e una casa malandata in stile ranch. Tutto sembra essere sbiadito nel beige, tranne i cassonetti blu taglienti. L’uomo guarda la macchina, non ha altro da fare. “…Le telecamere accentuano quell’atmosfera di alienazione, di persone invisibili, isolate, che non hanno opportunità, tutto è decadente e rotto. Ma d’altra parte, questa è la realtà”(DR).
È stato angosciante per l’autore, scoprire che per cercare la zona più povera di qualsiasi città americana, basta cercare il nome di Martin Luther King. Il titolo di viale, strada o piazza MLK è quasi una garanzia di trovarsi nella parte più povera e malfamata della città. “Uso MLK per trovare gli aspetti peggiori e più rotti della società”, ha detto Rickard, “e lui è questo grande faro di speranza e un eroe per molti americani. C’è una sorta di ironia in tutto questo, un’ironia che mi rende triste”
Le fotografie di “A New American Picture” sono state esposte nella mostra “New Photography 2011” al Museum of Modern Art di New York, a Le Bal a Parigi nella mostra “Anonymes”, curata da David Campany e Diane Dufour, al Pier 24, di San Francisco e alla 42a edizione di Les Rencontres d’Arles nella mostra “From Here On”, curata da Clément Chéroux, Joan Fontcuberta, Erik Kessels, Martin Parr e Joachim Schmid.
Una monografia in edizione limitata di A New American Picture è stata pubblicata da White Press/Schaden nel 2010. L’edizione commerciale è uscita nel settembre 2012, co-pubblicata da Aperture Foundation e Koenig Books.
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Massimo Mastrorillo
Ha lavorato a progetti a lungo termine concentrandosi sulle profonde conseguenze di conflitti e disastri naturali sulla società.
Ha ricevuto diversi premi, tra cui il World Press Photo, il Picture of the Year International (Magazine Photographer of the Year, terzo premio), il Best of Photojournalism (Magazine Photographer of the Year, terzo premio), il PDN Photo Annual, il Fnac Attenzione Talento Fotografico, l’International Photography Award, l’International Photographer of the Year al 5° Lucie Awards e il Sony World Photography Awards. E’ stato finalista all’Aftermath Grant 2011. Ha ricevuto la nomination per il Prix Pictet 2009 “Earth” e 2015 “Disorder”. Il suo progetto “Il Mare siamo Noi” è stato selezionato per il Vevey Images Grant 2015 e 2017.
E’ stato Leica Ambassador e Talent Manager dell’agenzia LUZ una delle più importanti agenzie fotografiche italiane.
Da anni è impegnato nella didattica con esperienza pluriennale presso la Scuola Romana di Fotografia, la Leica Akademie, la REA e la D.O.O.R. Akademy.
È uno dei membri e fondatori di D.O.O.R., una factory romana che si occupa di fotografia, talent scouting e publishing.
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