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Ando Gilardi “La Stupidità fotografica” Johan & Levi Editore

di Massimo Mastrorillo

“La nostra intenzione che oggi viene per prima, dopo molti anni trascorsi parlando e scrivendo di fotografia, oggi è quella di divertire il lettore. Poi di suggerirgli qualcosa che possa essergli utile per proteggersi dalla stupidità sempre in agguato. E non solo quella fotografica.”

Quello che Ando Gilardi scrive nella prefazione del libro, fa riflettere, alla luce dei tempi che stiamo vivendo. Ciò che più mi attrae di queste parole è il riferimento al divertimento. Quanto ci divertiamo con la fotografia, al di là del discorso della passione che ci guida e ci porta a desiderare di usare la fotografia come mezzo di espressione? Nei molti anni di professione come autore ed educatore ho percepito che il divertimento collegato alla fotografia è un elemento sempre più raro ma semplice da trovare tra i bambini o gli artisti che alla fotografia ricorrono come un mezzo tra i tanti.

È come se diventare sempre più consapevoli come autori alla fine riduca la voglia di giocare, divertirsi con la fotografia. Per non parlare del fatto che il linguaggio fotografico, così ricco e complesso, viene spesso ridotto ad un puro e noioso abecedario che serve a mettere insieme parole spesso desuete o prive di fantasia. Quante volte per esempio rimettiamo mano alle nostre immagini, quelle che riteniamo finite, concluse, soddisfacenti, per metterle in gioco, in discussione, per associarle ad altre immagini che magari fino a quel momento abbiamo pensato non centrassero nulla con le stesse, per il semplice desiderio di fare qualcosa contro le regole, magari qualcosa di stupido?

Gilardi, sempre nella prefazione, scrive: “quando, come si dice, “posiamo” stupidi lo siamo di meno, perché emerge la nostra migliore natura, quella infantile. Insomma, davanti alla macchina viene a galla il fanciullo che gli anni, le delusioni, le difficoltà della vita hanno sepolto in noi.”

Il fanciullo che c’è in noi può essere davvero il mezzo per liberarsi di tanti archetipi, clichè. Perché dobbiamo ripetere le foto di H.C. Bresson o chi per lui per sentirci appagati e felici?

L’artista giapponese Takuma Nakahira, all’apice del successo come esponente del movimento Provoke, che di per sé era già qualcosa di nuovo e controtendenza, cadde vittima dell’alcolismo e finì in coma etilico nel tentativo, ripetuto e non riuscito, di far fondere il suo linguaggio fotografico con quello che sentiva provenire dall’ambiente che fotografava. Sosteneva che era errato pensare esistesse solo il nostro linguaggio e che ogni cosa ne avevo uno suo. L’unico problema era che non comprendendolo, gli esseri umani non lo riconoscevano. Una volta uscito dal coma, tornò a fotografare lentamente ma con un atteggiamento completamente diverso, infantile, riuscendo a raggiungere quello scopo che lo aveva inizialmente portato nell’abisso.

Ma torniamo al nostro libro. Gilardi scrive: La fotografia è più grande di noi e non dipende da noi che in minima parte. È spesso capricciosa, a volte addirittura ci odia. Talvolta ho l’impressione che ci prenda per il sedere. Ma questo non capita proprio agli stupidi, sempre persuasi che sono loro a fare le fotografie?

Paul Graham, nel testo dal titolo “Photography is easy, photography is difficult”, scritto nel 2009, sottolinea come la fotografia sia così facile da risultare ridicola e al tempo stesso così difficile perché è ovunque, in qualunque momento, perché non è scissa dal fluire della vita. Proprio questo suo essere in bilico tra banalità e complessità la rende attrattiva ma al tempo stesso, proprio perché legata alla vita, così incontrollabile, andrebbe presa  con più leggerezza (da non confondersi con superficialità) e divertimento.

Questo manuale di Aldo Gilardi può aiutarci a riflettere su questo aspetto. È pieno di ironia, è indispensabile e spesso illuminante. Di sicuro aiuta a prendersi un po’ meno sul serio come fotografi. Del resto “la fotografia può far sembrare stupido un genio e il genio uno stupido: penso a quella di Einstein che mostra la lingua”…

 

Citazioni di Aldo Gilardi dal libro “La stupidità fotografica”

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