Jimmy Nelson cerca la bellezza nelle radici dell’essere umano.
“In un mondo in costante cambiamento, abbiamo bisogno della saggezza delle culture indigene del mondo per riportarci a un’esistenza più equilibrata e armoniosa.”


Non è il tipo che va in vacanza in posti remoti e già che è li fa un giro turistico, scatta qualche foto agli indigeni locali e poi torna a casa e decide di farci un libro.
Ecco no. Fa quello che solo i grandi reporter, i grandi autori fanno, quelli che hanno la vera passione, dove c’è il sacrificio di anima e corpo, dove l’urgenza di raccontare è più forte di qualsiasi limite.
Jimmy Nelson, è uno di quei pochi e grandissimi autori che unisce la sua vita a ciò che racconta.

In un precedente articolo avevo raccontato l’incredibile vita di Edward Curtis, per chi se la fosse persa ecco qui il LINK
Nelson è la continuazione concettuale e visiva di Curtis. Altri tempi, tutto diverso, ma lui agisce con la stessa delicatezza, cultura, dedizione ed empatia che fu del celebre predecessore. Una curiosità interessante è che da una intervista apprendiamo che nella sua attrezzatura c’è anche una fotocamera analogica, che possiamo chiamare “vintage”, un piccolo banco ottico di formato 10×8, anzi più precisamente lui si porta dietro:
Linhof Technorama 617S III
Hasselblad H6D-100c
Leica S (Typ 007)

Con questo immenso lavoro, visibile in mostra fino al 24 febbraio a Palazzo Reale di Milano, Nelson racconta quelle tribù che stanno scomparendo, popoli di cui non conosciamo neanche l’esistenza, che si pensano perduti nel tempo e nella storia, comunità antiche che se non ne parlassimo e se non cercassimo di tutelarli, potrebbero perdere le loro tradizioni o scomparire del tutto.
Le immagini sono straordinarie, raffigurano popoli nativi in un modo mai visto prima: potenti, belli e orgogliosi.
Sicuramente questo lungo progetto potrebbe far aprire una nuova conversazione su ciò che queste tribù possono ancora insegnare a noi, al cosiddetto mondo sviluppato e non viceversa. In un’era di globalizzazione e omogeneizzazione, il lavoro di Nelson ci ricorda che ci sono molti angoli del pianeta dove le persone vivono vite semplici proprio come facevano i loro antenati, centinaia o addirittura migliaia di anni fa e forse, in qualche modo che a noi può sembrare inconcepibile, vivono meglio di noi. Jimmy Nelson sta, in qualche modo, colmando il divario tra l’Occidente e le culture più tradizionali del mondo.
Questo incredibile fotografo britannico ha dedicato gran parte della sua vita a viaggiare nelle regioni più remote del mondo per documentare le popolazioni indigene in via d’estinzione in abiti tradizionali.
Jimmy Nelson, classe 1967, è nato a Sevenoaks, nel Kent. Ha trascorso la sua infanzia viaggiando a seguito del lavoro del padre, uno stimato geologo, e così ha vissuto un po’ ovunque, in Africa, Asia e Sud America.
Questa esposizione a varie culture e ambienti ha sicuramente influito nelle scelte future suscitando l’interesse di Nelson per la fotografia e poi a intraprendere la carriera di fotoreporter.
All’età di otto anni fu mandato allo Stonyhurst College nel Lancashire. All’età di sedici anni gli è stata diagnosticata l’Alopecia Totalis: una forma di alopecia areata, una malattia infiammatoria del follicolo pilifero, caratterizzata dalla perdita completa dei capelli del cuoio capelluto, che diventa glabro. A diciannove anni lasciò il collegio per un viaggio a piedi attraverso il Tibet e portò con sé una piccola macchina fotografica per semplice documentazione. Al suo ritorno Nelson capì che la fotografia di documentazione del mondo avrebbe potuto offrirgli una carriera come fotoreporter professionista.
Nel 1992 venne incaricato di produrre il libro Literary Portraits of China, per il quale ha viaggiato attraverso il suddetto paese per un periodo di tre anni.
La carriera di Nelson come fotografo professionista è poi decollata all’inizio degli anni ’90 quando ha iniziato a lavorare per committenze pubblicitarie e per delle riviste. I suoi incarichi lo hanno portato in giro per il mondo, dall’Africa all’Asia e alle Americhe, documentando culture e ambienti diversi. Tuttavia, è stata la sua passione per l’esplorazione e la preservazione delle culture in via di estinzione del mondo a definire il suo viaggio fotografico e la sua cifra stilistica.
Così, d’impatto, si può dire che sia noto soprattutto per i ritratti di grande formato altamente dettagliati delle popolazioni indigene, ma non ci si può fermare solo a quello. Certo, ha uno stile fotografico caratterizzato dall’uso di colori intensi, composizioni ben studiate, una bella tecnica di colpi di luce in esterni, ma come già scritto è importante andare oltre questa semplice seppur bella, apparenza. Per ottenere questi risultati trascorre spesso settimane o addirittura mesi convivendo con le comunità che fotografa, immergendosi nelle loro tradizioni e nel loro stile di vita. Questo approccio gli permette di stabilire una profonda connessione con i soggetti e questa relazione arriva chiara nelle immagini che ci presenta. Va oltre la bellezza. Ed è per questo che ci tengo a sottolineare quanto lui riesca a riportare una sublime dignità ai suoi soggetti; ci arrivano in maniera così regale e maestosa che non viene da pensare che siano popoli quasi primitivi, almeno secondo il nostro concetto storico e concettuale e particolarmente presuntuoso.
Un altro punto di attenzione è la rappresentazione di gruppi non in posa, colte come dentro un frame di un film, impegnate in rituali, mentre suonano strumenti musicali, si arrampicano su rocce o cavalcano cavalli, sono immagini di narrazione dei gesti e delle azioni di vita quotidiana, liturgie a noi sconosciute ma che per loro sono tradizioni forse millenarie. Un mondo sconosciuto a cui possiamo e dobbiamo affacciarci con estrema cautela e rispetto.
La pietra miliare più significativa nella carriera di Jimmy Nelson è arrivata quando ha iniziato il suo ambizioso progetto, “Before They Pass Away”. Il progetto mirava a documentare le ultime culture indigene sopravvissute al mondo, catturando le loro tradizioni e il loro stile di vita prima che svanissero col tempo e per colpa delle nostre invasioni. Nel corso di diversi anni, Nelson ha visitato più di 35 comunità in tutti e cinque i continenti, creando una straordinaria raccolta di fotografie che sono state esposte in tutto il mondo e pubblicate in un libro acclamato dalla critica.
Nel 2016, Nelson ha lanciato la Jimmy Nelson Foundation, un’organizzazione senza scopo di lucro dedicata a preservare e celebrare la diversità culturale attraverso la fotografia, l’educazione e la narrazione. La fondazione sostiene vari progetti e iniziative che consentono alle comunità indigene di condividere le proprie storie e preservare il proprio patrimonio culturale.
I tre libri che ha pubblicato e che l’hanno portato alla notorietà sono:
“Jimmy Nelson Homage to Humanity” accompagna i lettori in un viaggio affascinante attraverso la vita delle popolazioni indigene di tutto il mondo.
“Jimmy Nelson – The Last Sentinels” si concentra sui guardiani degli ecosistemi più remoti e fragili del mondo.
“Before They Pass Away” è una toccante documentazione di culture e tradizioni in via di estinzione in tutto il mondo.

I suoi lavori hanno raccolto apprezzamenti senza precedenti, non da ultimo da parte della BBC, che ha collaborato con lui per una serie di documentari di prossima uscita. Oltre al suo lavoro antropologico cosmopolita, Nelson assume occasionalmente incarichi di moda, tra cui amo ricordare la bellissima campagna per la collezione Ralph Lauren autunno 2015 realizzata nel nord della Finlandia.
© Jimmy Nelson-Ralph Lauren, 2015
Per chi volesse, ancora ultimi giorni per vedere la mostra a: PALAZZO REALE, MILANO – prorogata fino 24 febbraio 2024
Altri articoli di questa rubrica
Le fotografie che hanno fatto la storia dell’hip hop
Mary Ellen Mark – Senza confini
Helga Stentzel – Fotografia surrealista domestica
Reuben Wu – La fotografia è un verso di una poesia dimenticata
WEEGEE – Il crimine diventa Arte
Terry O’Neill – Al posto giusto nel momento giusto
THE CAL 2025 – Un ritorno al passato così così
IMMAGINI E SEGNI: ITALIA, 1969-89 – PRATICHE DI MEMORIA
Lara Zankoul – Sopra o sotto?

Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
No comment yet, add your voice below!