Tre volte vincitore dell’Oscar, Vittorio Storaro è più di un semplice direttore della fotografia italiano è un filosofo della luce, dei colori e degli elementi.

Tutta a sua vita e l’indagine estetica le ha suddivise in capitoli separati: luce, colori ed elementi. Ragiona così e lo ha dimostrato anche nel suo maestoso libri, spiegando che ogni fase è memore della precedente.Ecco la trilogia pubblicata: – Scrivere con la Luce, i Colori e gli Elementi – bilingue italiano/inglese, più DVD. + LE MUSE

E’ insindacabilmente IL MAESTRO DELLA LUCE E DEI COLORI e del modo in cui influenzano la nostra risposta emotiva alle immagini cinematografiche, Storaro, nel corso della sua straordinaria carriera, è tornato a studiare, ogni volta che ne sentiva il bisogno.Pochissime persone, se non nessuna, soprattutto una volta raggiunte le vette nei loro campi, hanno l’umiltà e l’integrità intellettuale per ammettere di non aver mai smesso di studiare la materia.
«Prima di poter essere un maestro, come qualcuno mi chiama oggi, bisogna essere studenti. E io sono ancora uno studente».
Il padre era proiezionista cinematografico per la Lux Film, una delle maggiori società italiane degli anni Quaranta e Cinquanta, un giorno portò a casa un proiettore cinematografico dismesso insieme ad alcuni spezzoni di pellicola. La sera, Vittorio con il fratello, si sono essi a guardare quelle immagini di Luci della città di Charlie Chaplin, proiettate su un muro nel nostro piccolo cortile. Fu una epifania. Un po’ come ha raccontato Tornatore, in maniera autobiografica nel capolavoro Nuovo Cinema Paradiso, e come il piccolo protagonista, Salvatore, ogni tanto sbirciava attraverso il quadratino di vetro da cui si poteva vedere se il fuoco della composizione era giusto o no.
Guardando una proiezione dopo l’altra, ha gradualmente sviluppato il desiderio di diventare parte delle immagini proiettate. La folgorazione continua e inizia la fase dello studio.
Dopo aver studiato fotografia per cinque anni si iscrive al C.I.A.C. (Centro Italiano di Formazione Cinematografica) per due anni, supera brillantemente l’esame di ammissione al Centro sperimentale e inizia la formazione cinematografica attraverso la creazione della luce.
In alcune interviste cita spesso l’arte, spiega che da lì, dall’arte, arriva tutto, non di meno la rappresentazione della vita al cinema, ad esempio i capolavori del Caravaggio, uno su tutti: “La vocazione di San Matteo”.
-(599–1600. Olio su tela. 322 cm×340 cm. San Luigi dei Francesi, Roma)

Quel dipinto ha cambiato la storia dell’arte visiva. Caravaggio era un uomo visionario che ebbe un’intuizione incredibile, si poteva usare la luce o l’oscurità in modo simbolico.
“Quando vidi quel quadro dal vivo ho capito che sì, ero molto esperto in tecnologia ma ero molto ignorante in arte. In quel dipinto c’è tutto: c’è un taglio netto tra luce e ombra, e i personaggi vengono messi magnificamente in risalto con i loro contrasti e le loro espressioni. Caravaggio è stato in grado di andare oltre e di dipingere, letteralmente, il viaggio che compie la luce nell’oscurità. Ha raccontato la storia della nostra vita: passato e presente, inconscio e subconscio».”
Nella creazione di un film è necessario considerare molto di più della semplice tecnologia per materializzare un’immagine sullo schermo. Era un punto di vista nuovo e decisamente interessante per il giovane Storaro. Da quel momento in poi ha iniziato a cercare di capire perché il cinema è chiamato la decima musa. Si nutre degli altri nove: della letteratura, della pittura, della musica, della scultura, dell’architettura, della filosofia e così via. La rivoluzione è stata rendersi conto che l’illuminazione, in qualsiasi film, doveva iniziare con un concetto visivo. Tutto questo a conferma che occorre conoscere la storia delle numerose “Arti” che fanno parte del linguaggio cinematografico.
Ad esempio, conoscere qualcosa sulla storia dell’architettura aiuterà a capire il tipo di luce appropriata in una cattedrale romanica, gotica, rinascimentale o barocca. Il tipo specifico di movimento della telecamera dovrebbe essere collegato alla letteratura della storia. Ecco perché chiamiamo questa forma di espressione “Scrivere con la luce”. Il ritmo della telecamera e dell’illuminazione dovrebbero avere qualche relazione con la musica. La composizione delle Immagini dovrà essere influenzata dalla conoscenza della Pittura. Se guardiamo il mondo di fronte a noi, lo vediamo a 180 gradi e chiamiamo questa visione “Realtà”. Solo quando selezioniamo una porzione di questo mondo, definendo uno spazio specifico, con una composizione particolare, quell’immagine diventa “Arte”, che in latino significa “abilità”. In questo modo possiamo esprimerci nell’arte visiva.
Sono tutti questi motivi che messi in relazione nel cinema, ci portano a comprendere che quando cambiamo la composizione o l’illuminazione, cambiamo l’emozione di quella specifica immagine. Quindi usiamo la pittura, la musica, la letteratura, i tre elementi principali che determinano il modo in cui dobbiamo comportarci nella realizzazione di un film. Naturalmente tutto diventerà più maturo con la filosofia, con l’architettura, con la scultura e così via.
Ma essenziali sono i tre elementi fondamentali: Immagine-Musica-Parole.
Nei film che sceglie di illuminare ama trovare la dualità, perché la vita è divisa, come la vita di tutti, tra luce e ombra. E nella luce che cosa c’è? Ci sono i colori. Che, come li ha definiti Leonardo Da Vinci, sono i figli del matrimonio tra luce e ombra. Se non ha la possibilità di poter mettere in armonia o, occasionalmente, in conflitto la luce, l’ombra e i colori, non sente di potersi esprimere.
Tutti questi pensieri/concetti li possiamo ritrovare nei film che ha fatto, tutte le collaborazioni con Bertolucci, Coppola, Beatty, Carlos Saura e Woody Allen, si può riconoscere un linguaggio preciso. Quello della luce, appunto. Che ha una sua proprietà e una sua importanza nell’esprimersi. Una cosa molto simile allo stile e alla voce di uno scrittore o di un compositore musicale.
Nella sua carriera ha rifiutato molti film, con molto dispiacere ha confessato ma sottolinea: “Quello che facciamo è ciò che siamo, ciò che ci rappresenta; ciò che, alla fine, rimane. Mettiamo tutto noi stessi nel nostro lavoro. E quindi, se non c’è un argomento capace di parlarmi, io dico di no: ringrazio e vado avanti”.
Ha rifiutato film che possiamo definire “violenti”, ha detto no a Kill Bill di Quentin Tarantino, sceneggiatura stupenda, ma era troppo radicata nella vendetta, ed un tema che proprio non riesce ad affrontare, è più forte di lui. A questo punto in molti si chiederanno il motivo per il quale ha spalleggiato Francis Ford Coppola in Apocalypse Now, la riposta la racconta Storaro dicendo che anche lui sobbalzò a quella richiesta, ma Coppola rispose che quello non era un film di guerra, si raccontava la guerra per parlare il senso della civilizzazione e diede a Vittorio un libro da leggere “Cuore di tenebra di Joseph Conrad”, primaria ispirazione del film. Vittorio lo lesse, un paio di mesi dopo erano nelle Filippine e ci rimasero più di un anno per realizzare quella meravigliosa pellicola che fece storia.

Quando gli propongono un copione decide anche in base all’idea figurativa che gli chiedono di portare sul set:
“Devo sentire di poter dare un’anima, una mia idea di racconto, non mi va di limitarmi a buttare qualche lampadina su un soffitto bianco e a dare motore. Ho bisogno di una visione».
Da dicembre nelle sale “Coup de Chance” (in italiano tradotto come Un colpo di fortuna) di Woody Allen è al cinema con Lucky Red. E di questo film Storaro ha curato la cinematografia.

Altri celebri successi cinematografici con la direzione della Fotografia di Vittorio Storaro.
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Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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