André Kertész, prima di Bresson di Capa e di Brassai.
“Tutto quello che abbiamo fatto, Kertész l’ha fatto prima”.
Così disse Henry Cartier- Bresson!
Proprio così, Bresson lo considerava il padre della fotografia contemporanea e Brassai lo riteneva “Il Maestro”. Fu mentore di Robert Capa.
Una personalità complessa che ha definito l’idea di fotografia agli inizi del Novecento per fissarla nei decenni a venire. Una delle cose che si notano subito, guardando il suo lavoro, è che André Kertész non è facilmente etichettabile in un solo genere, con la sua carriera ha dimostrato come qualsiasi aspetto del mondo meriti di essere fotografato. I costanti mutamenti di stile, temi e linguaggio, se da un lato ci impediscono di collocare il lavoro del fotografo ungherese in un ambito estetico esclusivo, dall’altro ne dimostrano la versatilità e la continua ricerca comunicativa e non per nulla viene ricordato per essere il pioniere della composizione fotografica, del reportage fotografico, del fotogiornalismo, della fotografia artistica e della fotografia di strada “lirica”, quella che oggi amiamo definire “street photography”.
Il suo lavoro sintetizzava il sentimento con l’osservazione e l’ingenua spontaneità.
Kertész ha passato tutta la sua vita alla ricerca dell’accettazione del consenso, per qualche strano motivo fece fatica a farsi apprezzare, probabilmente era troppo avanti per la visione contemporanea.
Kertész, il cuoi vero nome era Kertész Andor faceva parte della classe media ebraica di Budapest, figlio di un libraio speranzoso che il figlio diventasse un agente di cambio. Invece Kertész imparò da solo a usare la macchina fotografica, realizzando la sua prima foto nel 1912 e, come soldato durante la prima guerra mondiale, trascinando lastre di vetro che sarebbero diventate le sue prime foto pubblicate in prima linea. Nel 1925, all’età di 30 anni, partì per Parigi, la culla della fotografia, dove cambiò il suo nome da Andor, fece amicizia con i dadaisti. La storia racconta che fu proprio uno di loro che lo soprannominò “Fratello Occhio che Vede” in riferimento a un monastero medievale dove tutti i monaci, tranne uno, erano ciechi.
Parlando poco francese, vagava per le strade, registrando una città incantata, bizzarra, comica e misteriosa che sembrava esistere tra i battiti del cuore. Era una specie di naïf, molto sofisticato, e questo lo si può notare in tutte le sue immagini”.
“La fotografia è la mia sola lingua. Io non faccio semplicemente delle foto. Io mi esprimo attraverso le foto”.
Nel 1927 Kertész tenne una mostra ben accolta alla Galleria Au Sacre du Printemps di Parigi. L’anno successivo partecipò al Primo Salone Indipendente di Fotografia. Le sue fotografie, si evidenziavano per i notevoli atteggiamenti modernisti, e per questo motivo furono spesso citate dai critici degli anni ’20 e ’30 come prova che la fotografia poteva essere considerata un’arte raffinata.
Oltre alle immagini della vita quotidiana, Kertész realizzò ritratti di luminari come il regista russo Sergey Eisenstein, il pittore olandese Piet Mondrian, la scrittrice francese Colette, l’artista francese bielorusso Marc Chagall, il pittore francese Fernand Léger, lo scultore americano Alexander Calder. Alcuni di questi ritratti furono realizzati su incarico per la pionieristica rivista fotografica francese “Vu” (pubblicata nel 1928-1940). Kertész ha lavorato come fotografo principale per Vu dal suo lancio fino al 1936. Tra i suoi saggi fotografici c’erano quelli su un’abbazia trappista, i commercianti di Parigi, Lorena, Borgogna e altre regioni della Francia. Ha anche contribuito ad Art et Médecine e a molti altri periodici europei.
Nel 1928 Kertész acquistò una Leica, una piccola macchina fotografica portatile che gli diede la possibilità di muoversi più liberamente in qualsiasi ambiente.
Kertész sposò la pittrice di origine ungherese Rozsa Klein nel 1928. Le insegnò la fotografia e presto divenne una rispettata ritrattista fotografica conosciuta come Rogi André. Nel 1932 la coppia divorziò. L’anno successivo Kertész sposò un’altra ungherese, Erzsébet (Elizabeth) Salamon
Sempre nel 1933 la rivista umoristica con sfumature ritenute audaci per l’epoca “Le Sourire” commissionò a Kertész una serie di fotografie di nudo utilizzando specchi deformanti. Le sue prime 200 “distorsioni”. Da una committenza nacque una ricerca importante, infatti continuò a utilizzare specchi deformanti nella sua fotografia in modo intermittente per il mezzo secolo successivo. Il suo primo libro, Enfants (1933; “Children”) fu seguito da Paris Vu par André Kertész (1934; “Paris Seen by André Kertész”) e Nos Amies les Bêtes (1936; “Our Friends the Animals”).
Kertész si recò a New York City nel 1936 con un contratto di un anno con la Keystone Press Agency. Insoddisfatto del lavoro in studio di moda che gli era stato assegnato e della vita a New York, presto ruppe il contratto, anche se le difficoltà finanziarie e la seconda guerra mondiale gli impedirono di tornare in Europa. Nel 1944 divenne cittadino statunitense.
Dal 1936 al 1947 lavorò come fotografo freelance per riviste americane, tra cui Look, Coronet, Harper’s Bazaar, Vogue e Town and Country. Tuttavia, alcuni editori americani consideravano le sue immagini troppo poetiche e, quindi, inadatte alle loro idee di storia e impaginazione. Nel 1947 firmò un contratto esclusivo con le pubblicazioni Condé Nast, diventando fotografo personale per House and Garden sotto la direzione dell’editore artistico Alexander Liberman. Sebbene Kertész fosse ben pagato, il lavoro fisso lo lasciava frustrato perché gli lasciava poco tempo per perseguire i suoi progetti personali.
Lasciò Condé Nast nel 1962 e presto ottenne l’attenzione del pubblico e la favorevole accoglienza della critica che gli era sfuggita da quando si era trasferito negli Stati Uniti. Una mostra personale al Museum of Modern Art di New York (1964-1965), una borsa di studio Guggenheim (1974), e una retrospettiva al Centre Pompidou di Parigi (1977-78) furono tra i riconoscimenti che ne seguirono. Durante gli anni ’70 le sue immagini, offerte dalla Light Gallery di New York in portfolio in edizione limitata, contribuirono a lanciare il mercato della fotografia per i collezionisti privati.
Morì all’età di 91 anni dopo una delle carriere più lunghe e prolifiche nel campo della fotografia. Ha realizzato fotografie forse più iconiche di qualsiasi altro fotografo moderno. Le sue immagini immediatamente riconoscibili includono Underwater Swimmer (1917), Wandering Violinist (1921), Chez Mondrian (1926), Satiric Dancer (1926), Fork (1928), Meudon (1928), Clock of the Académie Française (1929), Washington Square (1954) Martinica (1972) Tulipano Melanconico (1939).
Kertész ha tenuto importanti mostre all’Israel Museum, Gerusalemme (1980), allo Stedelijk Museum, Amsterdam (1983), all’Art Institute of Chicago e al Museo Nacional de Bellas Artes, Buenos Aires (entrambi nel 1985). Le mostre postume del suo lavoro includono retrospettive itineranti organizzate dalla National Gallery of Art, Washington, DC (2005) e dal Jeu de Paume, Parigi (2010). I suoi libri includono On Reading (1971), André Kertész: Sixty Years of Photography, 1912–1972 (1972), J’aime Paris: Photographs Since the Twenties (1974) e Kertész on Kertész: A Self-Portrait (1985).
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Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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