Breve storia e istruzioni per l’uso attraverso il viaggio del Ritratto Fotografico con Paolo Ranzani.
Una volta chiesero al fotografo Henri Cartier-Bresson quanto tempo fosse necessario per realizzare un ritratto.
“Un po’ più che dal dentista e un po’ meno che dallo psicanalista” fu la risposta.
Iniziamo con il dire che la fotografia di ritratto, insieme alla fotografia di paesaggio, è il genere più diffuso al mondo. D’altra parte, ai giorni nostri, chi può dire di non essere mai stato “vittima” di un click.
La fotografie è testimonianza, si sa, e applicato al ritratto ci racconta una vera e proprio storia dell’umanità, pensate che meraviglia sarebbe poter vedere le foto di persone che hanno abitato il pianeta terra prima del’800.
E’ solo dalla scoperta della fotografia e conseguente diffusione che inizia la memoria visiva del mondo, prima non abbiamo vere testimonianze né di luoghi né di facce. La scienza ci porta ad immaginare e la geologia ci aiuta a capire come poteva essere il mondo, però non è abbastanza. Certo abbiamo testi descrittivi e dipinti, che seppur meravigliosi, non ci è possibile sapere quanto l’estro artistico abbia modificato la realtà. Non che la fotografia sia poi così veritiera, soprattutto ai giorni nostri, ma almeno qualche verità risulta confermata dal tempo.
Una frase che mi ha colpito profondamente è citata sul mitico saggio di Roland Barthes “La camera chiara”, dice: – Un giorno mi capitò sottomano una antica fotografia dell’ultimo fratello di Napoleone, Girolamo (1852) mi sono soffermato sul suo sguardo, e ho pensato – “Sto vedendo gli occhi che hanno visto l’Imperatore! Nessuno di noi ha mai visto -di persona -Napoleone”. C’è da rifletterci sopra qualche minuto.
Parlando del ritratto fotografico credo sia opportuno e soprattutto curioso per i non addetti ai lavori, esporre alcuni cenni storici in merito.
Il 5 maggio del 1826 Nicéphore Niepce, dopo otto ore di posa, ottenne la prima fotografia (chiamata però Eliografia – scritta con la luce del sole)
e dopo pochi anni Daguerre perfezionò l’invenzione realizzando una lastra di rame argentata emulsionata chimicamente e resa sensibile alla luce con ioduro d’argento e fu lo stesso Daguerre, nel 1839 che, in una delle sue prove, affacciato alla finestra di una casa parigina, consegnò alla storia la celebre immagine “Le boulevard de Paris”.
Una semplice inquadratura di una strada deserta della capitale francese, in cui però, in lontananza si intravede un signorotto di quel tempo, forse il primo uomo fotografato nella storia del mondo, e lui ignaro, inconsapevole, sarà tornato a casa, avrà ripreso il suo lavoro, sarà morto giovane o vecchio, chi lo sa? E nessuno gli mai detto niente! Oppure era tutto combinato? E a distanza di anni noi siamo qui a guardarlo.
Da lì in avanti fu un susseguirsi di perfezionamenti e aggiustamenti.
Nel 1840 a New York, Samuel Morse, l’inventore del telegrafo e forse non tutti lo sanno, ritrattista, aprì il primo studio fotografico del mondo. Un anno dopo Talbot creò il primo negativo e poi Poitevin sperimentò una serie di gelatine da cui deriveranno tutti i procedimenti fotomeccanici e l’inglese Maddox diede origine alla produzione su vasta scala di lastre asciutte, fino ad arrivare all’americano Eastman che creò la pellicola di celluloide che tutti conosciamo e che ora ci sta salutando per lasciare posto ai meno romantici ma sicuramente più pratici “file”.
L’invenzione della fotografia, come previsto, si allargò a macchia d’olio in tutto il mondo e ripercorrendone i passi mi piace ricordare che in Italia fu proprio da Torino, all’epoca capitale, che si propagò la notizia e lo stupore delle fotografie, grazie anche alla facile comprensione con la lingua francese, e così nacquero i primi ritrattisti italiani.
Enrico Federico Jest, meccanico della Regia Università Torinese, fu autore del primo esperimento di dagherrotipia realizzato in Italia. (Gazzetta Piemontese – 9 ottobre 1939)
La scoperta trascinò per le strade una notevole quantità di “dilettanti” interessati solo a riprodurre monumenti e piazze anche perché i limiti delle prime lastre sensibili avevano tempi di posa dai 10 ai 30 minuti (in una giornata luminosa) e per fotografare persone era necessario l’uso di sostegni per collo e braccia e tanta pazienza,
non per niente questo modo di ritrarre ha lasciato la testimonianza di una generazione seriosa, impettita e con lo sguardo arcigno.
Con l’avvento di procedure più moderne e più costose i “fotoamatori” scomparvero per lasciare il posto agli studi dei professionisti della fotografia che potevano vantare lastre al collodio più sensibili (circa un minuto di esposizione) e lampade ad incandescenza che relegarono le sedie con poggiatesta e ganci ai ricordi del passato.
La richiesta di ritratti incominciò a crescere e i fotografi dovettero ingegnarsi non solo ad ottenere le migliori tecniche all’avanguardia ma anche creativamente e quindi utilizzando fondali ed accessori scenografici, alcuni tenevano in studio anche abiti all’ultima moda cosicché anche lo stalliere poteva farsi immortalare vestito di tutto punto e l’analfabeta posare con fare assorto tenendo in mano un libro.
Comparvero le prime pubblicità sui giornali del settore, come ad esempio “ Il dilettante di Fotografia” e alcune locandine sparse per la città come quella del dagherrotipista torinese Ernest Capitolo – “ Ritratti al dagherrotipo a soldi 36 cadauno eseguiti all’ombra sia bello o cattivo tempo sopra un terrazzo senza soggezione. Via Po n.33, casa Spanna, corte del Caffè Nazionale, scala dell’orologio, piano terzo, Torino.
Anche il trucco per apparire più belli e in salute era frutto di ingegnosità a dir poco imbarazzanti, era buona norma utilizzare del mastice dipinto per coprire le occhiaie o del cotone per gonfiare guance smagrite. Si diffusero i primi manuali di estetica del ritratto dove si consigliava l’inquadratura a seconda dei tratti somatici del cliente, cito da un testo dell’epoca:
“…se facciamo un ritratto ad una persona di bassa statura, la faremo comparire più alta se lasciamo poco margine al di sopra della testa…..una persona troppo grassa, specialmente di piccola statura, non deve mai essere ritratta seduta… i colli troppo corti si possono far apparire un po’ più lunghi facendo volgere il capo un poco in su… si facciano poi disporre le mani con grazia ma solo se queste sono belle…. Prima di operare, il paziente (!?!) dovrà essere disposto tranquillo e rilassato in poltroncina, onde ridurre il battimento delle arterie, l’aguzzamento degli occhi e l’increspamento della faccia… è importante che la persona pensi piuttosto che guardare e che in quell’istante sia lieto, senza però passare al sorriso…”
Probabilmente tutto ciò farà un po’ sorridere, ma vi assicuro che le astuzie da usare quando si fa posare qualcuno non sono così obsolete ai giorni nostri.
Questo è l’inizio del viaggio del ritratto, la mutazione è ancora sotto i nostri occhi, l’intelligenza artificiale scompiglierà ancora di più le carte e capiremo cosa stia succedendo adesso solo tra qualche decina di anni. Restiamo curiosi.
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Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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