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VERITÀ

di PHocus Magazine

Che confusione! Questa immagine è da guardare molto attentamente per intuire di cosa si tratta. Cosa attrae il nostro sguardo? Forse le donne dietro al rotolo di filo spinato che sembra un canocchiale orientato verso di loro. Le donne sono scure e molto colorate sembrano fare gesti indecifrabili. Possiamo sentire la loro voce? Forse sì. Oppure è il rotolo così luminoso, chiaro che attrae al punto da far sembrare un disegno l’immagine in secondo piano. Eppure c’è un uomo molto nero con un gilet color crème con capelli tagliati quasi alla moda in piedi che guarda chissà cosa. Allora forse le figure non sono slegate tra loro ma fanno parte di uno stesso gruppo. E la scritta sul fondo cos’ è?

Questa immagine di Livio Senigalliesi, fotoreporter milanese, fa parte di una delle sue innumerevoli sconcertanti testimonianze in zone di guerra, di conflitti. Per dare un senso, un significato a questa fotografia è necessario ricordare che Senigalliesi ha dedicato una vita per una testimonianza seria, credibile degli avvenimenti che hanno disegnato e disegnano la Storia degli ultimi trent’anni. Questa fotografia è stata scattata in Congo nel 2009 nella regione Ituri a nord est di uno dei luoghi più sperduti della Terra. È uno di quei luoghi che non fanno così notizia da essere in prima pagina sui quotidiani seppure gruppi di etnia differente combattono da anni, bambini-soldato assaltano villaggi e violenze, saccheggi, massacri, incendi sono all’ordine del giorno.

Il mondo sa poco, i caschi blu e non so quale organizzazione mondiale sta a guardare lo sfacelo in questa Terra ricca di oro, coltan e altri metalli preziosi: tutto ciò che rende l’uomo avido di potere e di denaro. Nella parte orientale del Congo ancora oggi si rischia la più grande catastrofe umanitaria dei tempi moderni.

Il reporter Senigalliesi nel suo libro “Diario dal Fronte” cita il Congo come il “cuore di tenebra” di Conrad: un luogo primitivo dove regna una violenza brutale, sanguinaria, ancestrale. Un luogo dannato da cui non puoi fuggire e qui è in corso da più di venti anni una guerra oscura di cui poco si conosce, che sembra non fare notizia. Milioni di morti che non contano. Vite estenuanti di uomini che cercano di sopravvivere.

Allora cosa significa questa immagine, che cosa è? Diverse possono essere le interpretazioni oltre ad un valore estetico tecnico della stessa fotografia. Per capire questa immagine è necessario conoscere la Storia e per conoscere la storia bisogna capire il lavoro che ha fatto Livio Senigalliesi, poi bisogna conoscere il reporter e infine bisogna capire che nel suo caso non si tratta di cogliere qualche fatto ma di conoscere “la verità”.

Secondo il rapporto dell’ONU, ogni anno 36 tonnellate d’oro vengono contrabbandate dal Congo verso Ruanda, Uganda e Burundi, per un valore stimato di oltre un miliardo di dollari. Il rapporto sottolinea anche il fallimento della MONUC, la missione internazionale dell’ONU che lavora in Congo da anni. È la più grande missione che l’ONU abbia mai dispiegato, con più di 20.000 uomini con un mandato limitato alla protezione dei civili. Un mandato che non è stato onorato poiché il numero di rifugiati, sfollati e donne violentate è costantemente aumentato”. Guarda caso nella fotografia la scritta sul fondo è quella su un blindato bianco della missione MONUC con la scritta UN.

In situazioni così tragiche riuscire a fotografare sfollati intorno alla base della missione ONU che chiedono cibo e protezione riprendendo un particolare così simbolico mi è sembrato notevole. Nella stessa immagine ritroviamo più piani della stessa situazione. Immagine che però necessita di una didascalia e di un racconto altrimenti il giudizio rischierebbe di essere superficiale, del tipo “mi piace” o “non mi piace”.

È una fotografia che ha un sapore simbolico nei confronti dello stesso fotoreporter Livio Senigalliesi che dopo 35 anni di vita in prima linea con famiglie, militari, civili privandosi come loro di acqua, cibo e vivendo con loro ansie, angosce per la continua minaccia di morire sotto un bombardamento, ucciso da un cecchino o da una mina anti-uomo ha iniziato a sentirne tutto il peso sulle sue spalle fino ad ammalarsi di quella dannata sindrome che colpisce i militari in guerra e alla quale gli Stati Uniti d’America dopo il massacro in Vietnam ha dato il nome di “stress post traumatico”.

Il filo spinato che separa, come un gomitolo metallico, la vita normale da quella dei disperati che chiedono aiuto. Il filo non mente però. Il filo è una barriera mentale, fisica per raggiungere il miraggio della pace. La pace interiore che non fa sentire rumori di guerra, di bombe, di ossa stritolate sotto i cingoli dei carri armato, di odori che sanno di morte, di esplosioni di fuochi nei cieli, di bambini senza arti, di violenza negli occhi dei soldati, di odori di decomposizione, fango, sangue. Senigalliesi come alcuni congolesi, bosniaci, sarajevesi, guatemaltechi che lui ha conosciuto è rimasto intrappolato dal filo della violenza e grida aiuto come i congolesi che cercano riparo dalle atrocità che li attorcigliano. Noi guardiamo le foto ma non riusciamo a capire per la mancanza di volontà di affrontare il significato dell’ennesima guerra e dell’ennesimo stato di dolore di una parte della nostra umanità.

Sempre più mi convinco che per capire le fotografie di reportage bisogna necessariamente che queste vengano accompagnate dai testi e che i testi vengano realizzati o verificati da chi conosce la verità. D’altronde Robert Capa, Krzysztof Miller, Livio Senigalliesi, Ivo Saglietti e molti altri hanno sentito la necessità di scrivere sulla loro testimonianza narrando come e perché si sono ritrovati in certe situazioni piuttosto che in altre. La testimonianza di Senigalliesi ha il sapore di una ricerca estenuante senza tregua. La sua come quella di altri è una vocazione? Una follia? Voler guardare la morte così da vicino e volerla sfidare a tutti i costi per affermare la propria capacità di testimoniare?

Senigalliesi mi dice “io amo la Storia e ogni volta ho letto tanto del luogo dove sono andato, mi sono documentato e questo amore per viverla e scoprirla mi ha trascinato in veri e propri luoghi di tenebra e ho scoperto storie che nessuno conosceva”.

Nel capitolo sul Congo Senigalliesi dichiara “fotografare in questo contesto è stato il compito più arduo che ho dovuto affrontare negli ultimi anni. Qui non basta la tecnica, ma ancora una volta giocano un determinante ruolo la logistica, l’esperienza, la fortuna, i compagni di viaggio e gli interpreti che conoscono i terreni e parlano i dialetti locali. Se non ci fossero stati loro, penso che io e il mio buon amico Raffaele saremmo finiti arrosto”. Il suo lavoro è un continuo brivido per la Storia. C’è una verità? Quella che almeno leggendo la didascalia della foto si può tentare di percepire? Sì, c’è! La verità è il non senso e la raccapricciante presa di coscienza di una violenza senza tempo.

Allora cosa significa testimoniare? Per Livio è la sua vita anche se per inseguire la verità è rimasto intrappolato da ciò che non si può vedere, sentire, immaginare. Intossicato dal male che pulsa dentro di lui. Fotografie di male indelebile che si sono depositate in silenzio una sopra l’altra a costruire un muro di panico come quello delle donne che chiedono disperatamente aiuto anche se belle, colorate e apparentemente sorridenti.

Ribaltiamo la visione e immaginiamo cosa c’è dall’altra parte del reticolato. Ci siamo noi, il nostro mondo, c’è Livio. Lentamente mettiamo a fuoco chi ha bisogno, la Storia scomoda della nostra umanità e ci arrendiamo alla verità per fare gesti semplici: respirare, interiorizzare il male che insieme al nostro bene ci dia modo di allungare il braccio, di leggere, di sapere, di prendere posizioni politiche, di irrobustire la nostra coscienza. Il lavoro di Senigalliesi continua con la sua narrazione nelle scuole, attraverso le mostre, con le parole a chi vuole ascoltarlo e con la lettura del suo libro. La sua messa a fuoco seppur lenta, visto che lui è così abile, è quella di guardare da questa parte dell’obiettivo camminando nell’aria pulita delle montagne, negli sguardi innocenti dei bambini, nella voce melodiosa di chi gli vuole bene. I due mondi del male e del bene: oltre il reticolato e dalla parte senza il reticolato, del testimone e dell’uomo appassionato, coscienzioso, sorridente, senza vita e con la vita.

DIDASCALIA @Livio Senigalliesi Bunia/Ituri/ Congo giugno 2003 – Profughi si affollano intorno al comando della MONUC in cerca di cibo e protezione.

Livio Senigalliesi – Biografia

Livio Senigalliesi (Milano 1956) inizia la carriera di fotogiornalista alla fine degli anni ’70 dedicandosi ai grandi temi della realtà italiana usando la fotocamera come strumento di analisi sociale. Dopo anni di militanza nel collettivo del quotidiano il Manifesto, negli anni ’80 amplia il raggio delle collaborazioni e rivolge sempre di più la sua attenzione all’attualità internazionale pubblicando ampi reportage sulle maggiori testate nazionali ed estere. La passione per la fotografia intesa come testimonianza l’ha portato su fronti caldi come il Medio-Oriente, il Kurdistan e la guerra del Golfo del 1991 e del 2003 ma anche in zone dimenticate come Congo, Sudan e Kashmir. Ha vissuto a Berlino e nella DDR durante il periodo della divisione e della riunificazione. Era a Mosca durante i giorni del golpe che sancirono la fine dell’Unione Sovietica. A Sarajevo ha vissuto tra la gente l’assedio più lungo della Storia. Ha seguito tutte le fasi del conflitto nell’ex-Jugoslavia e documentato le atroci conseguenze di guerre e genocidi in Africa e sud-est asiatico. Più volte inviato in Palestina, Libano e Afghanistan, parla diverse lingue locali ed ha sviluppato un metodo di lavoro che unisce il reportage al racconto antropologico. L’amore per la Storia l’ha portato a rivisitare luoghi dolorosi come il Vietnam, la Cambogia e Hiroshima per raccogliere le memorie dei sopravvissuti. Negli ultimi anni ha focalizzato le sue energie su due progetti: quello dedicato alle vittime civili dei conflitti e quello sulla condizione umana degli immigrati seguendo le rotte migratorie nel Mediterraneo e i progetti di accoglienza per i richiedenti asilo in Italia. Autore pluripremiato, oltre alle mostre e ai libri, Senigalliesi realizza progetti didattici per gli studenti delle scuole affinché la sua testimonianza diretta avvicini i giovani ai temi della pace e della guerra ed alla comprensione delle migrazioni forzate.

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