Ho amato Tiziano Terzani fin dal suo primo libro che lessi molti anni fa, “Lettere contro la guerra”, da lì me ne innamorai. Da poco è uscito nelle sale un piccolo meraviglioso film documentario sulla sua vita, se vi capita vi consiglio di andare a vederlo, si intitola: “Tiziano Terzani: il viaggio della vita”, film diretto da Mario Zanot, è un documentario che racconta gli aneddoti più divertenti e i momenti più drammatici vissuti da questo scrittore di culto.
L’inconfondibile voce di Tiziano Terzani accompagna le immagini, a volte molto drammatiche a volte di una dolcezza coinvolgente. Un viaggio nella sfera privata e intima che si addentra nel suo genio narrativo, raccontando anche gli avvenimenti storici di cui è stato testimone. A Monica Guerritore, voce narrante, il compito di congiungere tra loro i capitoli di questo incredibile percorso.
Intrecciando la sfera privata e gli avvenimenti storici di cui Terzani è stato testimone dal Vietnam, alla Cina, al Giappone, alla casa della tartaruga in Thailandia, ai ritiri sull’Himalaya, vengono ripercorse le tappe più significative della sua vita per dare luce ad un toccante documentario che ci mostra lo scrittore, giornalista, fotografo, che con spirito critico si guarda indietro senza nascondere i propri errori, le proprie disillusioni, come quella legata al fallimento delle tante rivoluzioni in cui aveva fortemente creduto, per poi diventare profondamente UOMO DI PACE.
Penso che questo film dovrebbe essere proiettato in tutte le scuole.
E’ vero che Tiziano Terzani è conosciuto come regista e scrittore ma è stato anche un ottimo fotografo.
Passa l’infanzia nelle atmosfere popolari del quartiere Monticelli, vicino a Firenze, abitato prevalentemente dalla classe operaia. Il padre meccanico ‘comunista, ex partigiano’ e la madre di origini contadine ‘cattolicissima’, malgrado le ristrettezze economiche, trasmettono a Tiziano la loro salda moralità e la dignità dell’umile, contribuendo a farlo crescere in un ambiente tollerante.
Frequentò l’Università di Pisa come studente di giurisprudenza e studiò presso il prestigioso Collegio Medico-Giuridico della Scuola Normale Superiore, che oggi è la Scuola Superiore Sant’Anna. Dopo la laurea, lavorò anche per la Olivetti, poi decise di scommettere sulla sua voglia di viaggiare e di raccontare la storia guardandola dal miglior punto di vista possibile, voleva essere proprio dove nascevano le rivoluzioni.
Quando Tiziano morì toccò al figlio Folco aprire la stanza dove c’erano casse e armadi pieni di scatole e buste contenenti migliaia di fotografie, dossier con le scritte dei paesi come VIETNAM, MUSTANG, BIRMANIA, LAOS. Altre centinaia di cartelle con un vano tentativo di tenere in ordine le foto preferite, gli scarti, quelle cerchiate sui provini ma chissà dove sono i negativi corrispondenti, e chissà quante altre sparse negli archivi dei giornali come quello di DER SPIEGEL, in Germania, con il quale il giornalista fiorentino collaborò per qualche anno. Folco racconta che piano piano si è messo lì, armato di santa pazienza, a guardarsele tutte, cercando di raccapezzarsi in questo enorme labirinto di storia fotografata, pescando a mucchio nelle casse e a volte lasciandole scivolare come acqua per poi soffermarsi d’istinto su alcuni frame che per qualche motivo attiravano di più l’attenzione.
Queste fotografie sono il ritratto di un mondo che non c’è più, ma anche di lui stesso, come quella faccia pensosa, malinconica e serena, con la barba bianca nel tempio indiano. È questo il bello delle fotografie, che non sono idee astratte, invenzioni. Hanno qualcosa di concreto. Il mondo è stato proprio così, almeno per un attimo.
“Un mondo che non esiste più” – edito da Longanesi
Qui di seguito alcuni suoi pensieri:
«Ci sono trent’anni di fotografie in bianco e nero di un mondo che non esiste più. Ti immagini la Cina che ho visto io nei primi anni? Il Vietnam, il Mustang, tutto quello che vuoi. E mi piaceva l’idea di mettermici a lavorare. Però è un lavoro cane. Ci perdi la testa a selezionare fra centinaia e centinaia di foto, per cui io non l’ho ancora fatto. Forse, se ne hai voglia, un giorno lo puoi fare tu»
«L’invidia per i fotografi m’era cominciata in Vietnam quando si tornava dal fronte e quelli, avendo già fatto il loro lavoro, andavano dritti al bar, mentre a me toccava ancora mettermi con angoscia davanti al foglio bianco, allora infilato in una Olivetti Lettera 22, a cercare di descrivere con mille parole il bombardamento, la battaglia o il massacro del giorno che loro – i fotografi bravi almeno – avevano già raccontato in una sola immagine. Quella di cogliere il nocciolo di una storia con un clic è un’arte che mi ha sempre attirato. Per questo forse, da allora, sono sempre andato in giro con una vecchia Leica al collo quasi a rassicurarmi che, se mi fossero mancate le parole, una traccia di ricordo mi sarebbe rimasta nella pellicola».
«Per un vero fotografo una storia non è un indirizzo a cui recarsi con delle macchine sofisticate e i filtri giusti. Una storia vuol dire leggere, studiare, prepararsi. Fotografare vuol dire cercare nelle cose quel che uno ha capito con la testa. La grande foto è l’immagine di un’idea. Bisogna capire cosa c’è dietro i fatti per poterli rappresentare. La fotografia – clic! – quella la sanno fare tutti»
Le esperienze di Terzani in Asia sono descritte in articoli e saggi e nei numerosi libri da lui scritti. Nel suo primo libro, “Pelle di leopardo” (1973), descrive le ultime fasi della guerra del Vietnam. Il seguente ricordo, “Giai Phong! La caduta e la liberazione di Saigon”, racconta la presa della capitale del Vietnam da parte dei vietcong e la fuga degli ultimi occidentali con gli elicotteri americani.
La sua permanenza a Pechino negli anni ’80 terminò quando fu arrestato ed espulso nel 1984 dal Paese per “attività controrivoluzionarie”. Ha smesso di usare il suo nome cinese dopo questo incidente. Basandosi sulle sue esperienze in Cina, scrive “La Porta Proibita” (Dietro la porta proibita).
In quello che è forse il suo libro più noto, “Un indovino mi disse”, Terzani descrive i suoi viaggi attraverso l’Asia per terra e per mare seguendo il consiglio e l’avvertimento di un’indovino di Hong Kong che avrebbe dovuto evitare gli aerei per tutto l’anno 1993.
Nel suo ultimo libro “Un altro giro di giostra”, del 2001, Terzani affronta la sua malattia, un cancro all’intestino che lo portò alla morte, ma non prima di aver viaggiato e cercato, attraverso paesi e civiltà, alla ricerca di una cura e di una nuova visione della vita.
Trascorse gli ultimi mesi della sua vita con l’amatissima moglie e il figlio Folco a Orsigna, un paesino dell’Appennino pistoiese che considerava “il suo vero, ultimo amore”.
Tiziano Terzani, sapendo di essere arrivato alla fine del suo percorso, racconta al figlio Folco di cos’è stata la sua vita e di cos’è la vita: “La fine è il mio inizio”. (Longanesi)
“Se mi chiedi alla fine cosa lascio, lascio un libro che forse potrà aiutare qualcuno a vedere il mondo in modo migliore, a godere di più della propria vita, a vederla in un contesto più grande, come quello che io sento così forte.”
Terzani morì il 28 luglio 2004, all’età di 65 anni.
Tutte le fotografie: © Tiziano Terzani – Longanesi & c. (c) 2010 – Milano
Il film è acquistabile su www.tizianoterzani.com
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Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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