L’arte non può esistere senza la vita, lo ammetto, ma nel mio caso la vita è sempre in lotta per il predominio e l’arte ne soffre. Ogni volta che si usano le parole “arte” o “artista” in relazione ai miei lavori fotografici, avverto una sensazione sgradevole dovuta senza dubbio al cattivo impiego che si fa di tali termini. Mi considero una fotografa, e niente altro.
Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti, conosciuta come Tina Modotti (Udine, 17 agosto 1896 – Città del Messico, 5 gennaio 1942)
Una riflessione che viene spontanea, quando si guardano le fotografie di Tina Modotti, in particolar modo quelle realizzate intorno al 1929 ( l’apice della sua breve carriera di fotografa) è quella di cercare di capire come ha potuto una donna che ha vissuto l’entusiasmo della rivoluzione messicana, che ha fotografato i luoghi, le persone e che ha documentato sapientemente i protagonisti di quella stagione, chiudere tutto nel cassetto di una scrivania nella Mosca di Stalin?
Sarebbe stato così semplice continuare, mutare in una fantastica reporter o ritrattista. Forse per provare a capirlo si deve partire raccontando la sua vita, dall’inizio.
L’artista italiana immigrò negli Stati Uniti all’età di 16 anni. Nei suoi giri di vita, vista la sua avvenenza – spesso descritta come una affascinante donna dai capelli corvini e dagli occhi di carbone – le capitò anche di recitare in opere teatrali e film muti e fece anche la modella.
Nel 1920 incontrò il fotografo Edward Weston, un grande personaggio che diede una grossa influenza alla visione fotografica e ne diventò anche l’amante. Insieme si trasferirono a Città del Messico frequentando i primi circoli bohémien con intellettuali e artisti messicani come Frida Kahlo e Diego Rivera. In questa particolare atmosfera, Modotti e Weston, misero in piedi uno studio di ritratti in città.
Con la sua macchina fotografica, Modotti realizzò immagini di luoghi e di persone, cogliendone l’arte popolare, le atmosfere, da semplici paesaggi ad immagini più astratte, volti e gesti di un mondo fatto d’amore e di rivoluzione.
Quella fotografia della macchina da scrivere, il suo strumento per registrare le sue convinzioni, è un ritratto simbolico della vita e del lavoro di Mella e un emblema delle sue simpatie comuniste, che alla fine la portarono al suo esilio dal Messico nel 1930.
La macchina da scrivere di Antonio Mella rivela le sue tendenze di sinistra e porta un sottile peso sociale. Tina Modotti incontrò Julio Antonio Mella, un rivoluzionario cubano che fu un eroe tra gli altri radicali latinoamericani, a una manifestazione a Città del Messico contro l’esecuzione degli anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. Fu il grande amore che desiderava. L’anno successivo, Mella fu assassinato mentre tornava a casa, morì tra le braccia di lei. Non smise mai di amarlo.
Già, proprio così, Tina perde il grande amore della sua vita e viene incolpata di connivenza, la sua vita privata, i suoi nudi scattati da Edward Weston, tutto sarà oggetto di una assurda campagna diffamatoria. Subisce gli arresti domiciliari, interrogatori, perquisizioni, poi scagionata, anche grazie al sostegno di Diego Rivera che interverrà negli appelli a sua difesa. Poche settimane dopo sarà accusata di un nuovo attentato al presidente messicano, imprigionata ingiustamente e infine espulsa dal Messico come “straniera pericolosa”. Il 24 febbraio 1930 Tina Modotti si imbarca sulla nave da carico Edam. Destinazione: Europa. È l’inizio di una nuova vita, l’ennesima. Da migrante e rivoluzionaria.
Dopo una breve pausa a Berlino, Tina si stabilì a Mosca, dove si unì al Partito Comunista Sovietico. E qui la storia si complica e diventa nebbiosa.
A Berlino riuscì a vendere la sua fotocamera, una Granflex e a sostituirla con una modernissima (e introvabile in Urss) Leica mod. 1932 con esposimetro incorporato, ma non la usò quasi mai. Arrivata a Mosca, rifiutò di essere la fotografa ufficiale del regime. Come disse il regista Sergej Eisenstein, Tina aveva sacrificato l’arte per la politica. Smise di fotografare per non smettere di essere sé stessa.
È l’impegno politico – che aveva condotto in parallelo alla carriera di fotografa nel periodo messicano – a prendere il sopravvento su ogni altro interesse.
L’ultima parte della sua vita è la più misteriosa. Dall’Italia a Hollywood, al Messico e poi Berlino e poi Mosca.
Questo è quello che racconta Giancarlo Bocchi dalle pagine de Il Manifesto:
– Fino a qualche mese prima Tina aveva pensato che le immagini potessero produrre un cambiamento del mondo. Da quando era partita dal Messico con Vidali questo convincimento era stato rimpiazzato dall’idea dell’azione diretta, dell’agire come una vera rivoluzionaria. Il 13 giugno 1932 nella stanza che occupava nello squallido e polveroso Hotel Soyuznaya, dopo aver sistemato obiettivo ed esposizione della sua Leica, la porse ad Angelo Masutti un ragazzo sedicenne che aiutava Vidali a Soccorso Rosso dicendogli: «Prendila… e fammi una foto». Il giovane scattò con la Leica una prima foto in controluce e un’altra con Tina semigirata verso la finestra. E poi una terza di Tina con Vidali dall’aria stranamente protettiva. Angelo Masutti fece per restituirle la macchina fotografica, ma Tina lo fermò dicendogli: «Tienila». Era ormai convinta che «Il partito avesse sempre ragione». E come disse il regista Sergej Eisenstein, «aveva sacrificato l’arte per la politica».
Tina iniziò a svolgere missioni segrete in Spagna, Francia, Germania, portando soldi, documenti, ordini, direttive. L’affascinante ed elegante signora «bela y hermosa» arrivata dal Messico qualche anno prima piena di forza, era diventata una donna silenziosa, triste, spesso depressa. Allo scoppio della Guerra civile spagnola i fotografi Robert Capa, David Seymour e Gerda Taro la incitarono a tornare a fotografare. Tina tornò clandestinamente in Messico ma stanca di queste morti, osserva ma non fotografa, preferì il lavoro con le autoambulanze e negli ospedali con il nome di battaglia di «Vera Martini» e successivamente con lo pseudonimo di «Maria» tornò al lavoro segreto sempre più triste e spenta.
Tutt’ora non si sa se partecipò davvero ai complotti, alle trappole che portarono alle uccisioni degli oppositori di Stalin, degli anarchici e dei comunisti antistalinisti di Andreu Nin del Poum, delle quali fu accusato più volte «il marito» Vittorio Vidali. Al momento della sconfitta delle forze repubblicane di Spagna era una donna esausta, sofferente, sconfitta. Era invecchiata precocemente.
Morì all’alba del 6 gennaio. Sola, su un taxi nelle vie di Mexico city, dopo una lite con Vidali, ci furono accuse di assassinio, ci furono dubbi e sospetti, ma la versione più accreditata fu un improvviso attacco cardiaco.
Nella sua borsetta fu trovata una foto dell’uomo che più amò in vita, Julio Antonio Mella.
Se volete ammirare alcune sue opere siete ancora in tempo.
Fino al 20 febbraio 2022, Palazzo Rasponi a Ravenna , ospita una mostra dedicata alla fotografa Tina Modotti. Curata da Silvia Camporesi e dal comitato Tina Modotti, la mostra, intitolata Tina Modotti – L’umano fervore, nasce come lavoro di approfondimento e ricerca sulla fotografia contemporanea che l’assessorato alle Politiche giovanili del Comune di Ravenna (che ha scelto Tina Modotti come simbolo di pensiero e pratica di un linguaggio che ha intercettato gran parte dei momenti storici più intensi e dolorosi del secolo scorso) ha iniziato nel 2016, in collaborazione con la Scuola dei Beni culturali dell’Università di Bologna – campus di Ravenna.
L’esposizione presenta un nucleo di circa cinquanta opere che documentano il percorso di Modotti, breve e allo stesso tempo ricco di opere straordinarie. Si parte dalle celebri Calle del 1924 e dalla produzione nata dal sodalizio con Edward Weston sino ad arrivare all’ epos degli umili, attraversando le immagini raccolte nel Messico dolente e meraviglioso dei bambini, degli uomini e delle donne di Tehuantepec, in mezzo a un’umanità bellissima e straziante. L’allestimento include anche ritratti realizzati da Edward Weston, documenti biografici, testimonianze, scritti autografi e riflessioni che restituiscono il profilo di un’artista totale, trasparente e folgorante nelle intuizioni, nel talento inconfondibile e nella profonda puntualità di sguardo, innestato nel cuore della bellezza e della crudeltà del mondo.
Ancora una curiosità: Un documentario dei primi anni 80 racconta la vita e le opere della celebre e amata pittrice Frida Khalo e della fotografa Tina Modotti. Autori del documentario sono Laura Mulvey e Peter Wollen, filmmaker che nel 1982 curarono alla Whitechapel Gallery di Londra una mostra dedicata ad entrambe le artiste, icone di quello che è stato soprannominato il “Rinascimento Messicano”.
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André Kertész, prima di Bresson di Capa e di Brassai.
Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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