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Storia di Ruby, una bambina che voleva andare a scuola

di Paolo Ranzani

Una bimba afroamericana di 6 anni, Ruby Bridges, esce di casa per affrontare il suo primo giorno di scuola, ma non è accompagnata dalla mamma o dal papà, ma da quattro poliziotti federali con al braccio la fascia gialla della United States Marshals Service, un dettaglio importante, sono tutti e quattro ben armati.

Eppure non è figlia di qualche politico o personaggio famoso. Neanche di famiglia ricca.
Sulla strada per arrivare alla scuola, Ruby e la sua bizzarra scorta, devono passare attraverso due enormi ali di folla, sono costretti a camminare in mezzo a persone che le urlano addosso e tentano di colpirla, molti lanciano uova e pomodori. Una donna in particolare urla che prima o poi avrebbe trovato il modo di avvelenarla. Ma Ruby non si scompone più di tanto, fa un’espressione di stupore e continua ad avanzare.

L’ex vice Marshall degli Stati Uniti, Charles Burks, ha poi ricordato: “Ruby Bridges dimostrò un incredibile coraggio. Non pianse né piagnucolò ma continuò a marciare al nostro fianco come un piccolo soldato, fummo molto orgogliosi di lei”.

Entrando in aula la sorpresa è di apprendere che è l’unica studente presente, proprio così, gli altri alunni sono stati trattenuti a casa dai genitori e gli insegnanti delle altre classi si sono rifiutati di fare lezione. Tutti tranne una, Barbara Henry, una maestra che è rimasta in classe e ha poi continuato ad insegnare solo a Ruby senza porsi nessun problema.

Siamo New Orleans, 14 novembre 1960. Ruby Bridges è la prima bimba nera ad entrare in una scuola fino ad allora riservata ai bianchi.

Nonostante da anni una sentenza abbia stabilito che la segregazione razziale nelle scuole degli Stati Uniti è illegale, la città di New Orleans solo da quell’anno ha  sancito che la discriminazione nelle scuole dovesse cessare e ha bandito un primo test per decidere se, nelle scuole nere, ci fossero bambini abbastanza preparati per frequentare una scuola come la William Frantz, riservata agli alunni bianchi.
Il test lo hanno passato sei bimbi, ma due per timore di ritorsioni sono rimasti nella scuola riservata ai neri, tre sono stati indirizzati in un’altra scuola, mentre Ruby Bridges si trova da sola ad andare alla William Frantz.

Suo padre Abon ha esitato, spaventato dalle pressioni e dalle minacce, ma la mamma, Lucille, non ha voluto mollare:
«Dobbiamo darle un’educazione migliore. E Ruby potrebbe aprire la strada per tanti altri bambini neri.»

Per un anno, la piccola, si è dovuta portare il cibo da casa per evitare tentativi di avvelenamento. La sua famiglia ha subìto ritorsioni: il padre è stato licenziato, alla madre è stato proibito fare la spesa nel negozio di alimentari vicino casa e i nonni sono stati espropriati dalla terra che coltivavano come mezzadri.

Per oltre un anno la maestra insegnò ad una classe composta dalla sola Ruby Bridges come se stesse insegnando a un’intera classe e per aiutarla in questa situazione surreale, Robert Coles, uno psicanalista infantile, offrì per un anno la sua consulenza gratuita alla famiglia Bridges, i due si incontrarono settimanalmente nella casa della piccola e alla fine lo psicologo scrisse un libro per bambini, “The Story of Ruby Bridges”, un testo per far riflettere e per far conoscere a tutti la storia di Ruby.

Le cose cambiarono solo al secondo anno quando un pastore metodista portò la figlia a scuola, si fece largo dicendo “Voglio semplicemente usufruire del privilegio di portare mia figlia Pam a scuola”, la bimba del pastore arrivò in cima ai gradini, prese Ruby per mano ed entrò, rompendo così, di fatto, il boicottaggio razzista.

Pochi giorni dopo altri genitori bianchi iniziarono a portare i loro figli e le proteste piano piano si calmarono.

Bridges ha finito le elementari e il liceo, è andata al college e ha lavorato per l’American Express come agente di viaggio, negli anni ha ricevuto lauree ad honoris causa e medaglie presidenziali.

Nel 1984 si è sposata e, con la nascita di quattro figli, ha deciso di dedicarsi alla famiglia. Nel 1999 ha dato vita alla Fondazione Ruby Bridges, della quale è presidente, per promuovere “i valori della tolleranza, del rispetto e dell’apprezzamento di tutte le differenze”.
Nel 2014 è stata inaugurata, nel cortile della scuola William Frantz, una statua che la raffigura, proprio lì dove la sua battaglia ebbe inizio.

Alla Casa Bianca e in molti musei del mondo è stato esposto un bellissimo quadro di Norman Rockwell che, con grande arte e maestria, ha saputo immortalare quella storica “marcia” mattutina della coraggiosa Ruby da scuola a casa.
Il dipinto si titola “The Problem We All Live With” (I problemi con cui viviamo tutti). Una marcia durissima ma necessaria. Ogni passo un dolore, ogni passo la speranza, la giustizia.

Fu in quella importante occasione che il presidente Barack Obama, guardando il quadro, la ringraziò così: “Penso sia giusto dire che se non fosse stato per te, io non sarei qui oggi”.

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