OMAGGIO A LETIZIA BATTAGLIA – Sulle ferite dei suoi sogni.
“È capitato che abbia fatto per molti anni la fotografa e che fare la fotografa mi piaccia tanto, ma sicuramente potrei rinunciare a farlo per andarmene davanti al mare e vivere senza più fare niente.”
Letizia Battaglia si è spenta nella sua odiata ma tanto amata Palermo.
Donna che non accettava etichette, determinata a essere coerente con i suoi ideali di libertà e giustizia, è stata la fotografa europea più premiata ma è anche editrice, politica, ambientalista, regista. Il suo nome è legato a quasi vent’anni di reportage a Palermo: le sue immagini hanno fermato la storia, quella delle guerre di mafia e contro la mafia.
Per omaggiarla, ricordarla e raccontarla ho voluto prendere spunto dal bellissimo libro di Giovanna Calvenzi: “Letizia Battaglia – Sulle ferite dei suoi sogni “ (ed. Bruno Mondadori)
Per la sua fotografia, utilizzata sempre come strumento di informazione e di lotta, ha pagato un prezzo molto alto che tuttavia non ha minimamente scalfito la sua determinazione a essere sempre coerente con i suoi ideali di libertà e giustizia. Quando l’ho incontrata e ho avuto modo di chiacchierare con lei, ha ribadito di non voler essere per forza solo – Letizia Battaglia la fotografa -. Ha sempre preferito essere una persona che vive senza etichette, senza che la sua presenza nel mondo sia determinata da una professione. Quel che ha provato mentre stava facendo quel clic lo voleva fermare in tutte le foto. Perché non è solo la storia di un uomo che è stato ammazzato o di un bambino che è morto perché aveva visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere ma è una storia che sentiva e percepiva collettiva e lei non voleva essere solo lo strumento ma voleva esserci in quella foto. In qualche modo siamo tutti dentro le sue foto.
Nelle sue immagini di una vita ha sempre cercato la giustizia, ma anche la bellezza e l’innocenza. E anche nelle foto più dure ha sempre sostenuto che non ci doveva essere sciatteria, non ci doveva essere casualità. In quel momento si doveva onorare quella morte, onorare il dolore, la tragedia.
A chiunque sia capitato di incontrare Letizia è capitato di constatare che il punto di partenza del colloquio può essere la fotografia ma in tempi brevissimi l’interesse si sposta sempre su un piano diverso, filosofico, morale etico.
Verso la fine degli anni 60 è già fotografa per il giornale palermitano “L’Ora” e anche se le sue foto documentano un ampio spettro di vita siciliana, il corpus delle sue opere è meglio conosciuto per il suo lavoro sulla mafia perché Letizia, volente o nolente, si ritrova ad essere testimone degli anni di piombo che devastano la sua città e fa una scelta: non si limita a raccontare ciò che accade, le sue immagini sono un dito puntato, lei comunica, le fotografie sono fonte di informazione, aprono discussioni, fanno male dentro e sprigionano vento oltre il golfo siciliano. Racconta di essersi trovata sulla scena di quattro o cinque diversi omicidi in uno stesso giorno. Ha fotografato i morti così spesso che lei stessa si è descritta come un obitorio in movimento. Il nome di Letizia Battaglia fa il giro del mondo, riesce a fissare la miseria e lo splendore di una regione che lotta, resta ferita, muore e rinasce nelle sue contraddizioni sotto i colpi micidiali di quei mostri che ancora oggi devastano la nostra memoria, non ancora sconfitti, fuoriusciti dal tessuto urbano ma mutati in qualcosa forse di più grande, di più invisibile. Questo è il tormento che ha tenuto con sé la nostra Letizia.
È vero che è conosciuta soprattutto come fotografa della mafia ma in realtà lei precisava che aveva ritratto la vita. E questo spirito ce lo ha regalato con i suoi molteplici lavori sulle bambine.
“Le bambine mi emozionano, ogni volta che incontro una bambina di dieci anni mi sembra di rivedere me da piccola, rappresenta la ricerca della bellezza, dell’indipendenza e del sogno. Mi sono accorta che le mie foto migliori sono sempre di donne o di bambine… Ho capito che in queste bambine cerco qualcosa che si è spezzato in me a quell’età e quindi fotografare per me non è un’operazione intellettuale ma spesso è un modo per indagare dentro me stessa.” (L. Battaglia)
Battaglia di nome e di fatto ha fatto una carriera incredibile, premi e onorificenze, tra cui il riconoscimento internazionale “Eugene Smith”, varie mostre in tutto il mondo, libri e interviste.
Il suo impegno sociale e la passione per gli ideali sbocciano infine nell’apertura, tanto agognata e sofferta e poi conquistata, di un centro dedicato allo studio e alla promozione della fotografia proprio a Palermo.
E così la ricordiamo, impegnata ed entusiasta, nonostante i suoi 87 anni e una brutta malattia, era vivace come sempre, dagli occhi svelti e dai capelli colorati.
Una delle cose che mi ha colpito di più è che parlando delle sue fotografie disse: “Non mi piacciono. Le subisco. Come se non le avessi fatte io. Una specie di prigione che dovrò trascinarmi per sempre, sono imprigionata nel ruolo di fotografa che ha fotografato la guerra civile nella sua terra”.
La ricordiamo con molto amore, nostalgia, tenerezza, ma anche con tanta ironia e bellezza.
Ciao Letizia, grazie di esserci stata così come sei.
“Io continuo a sognare la bellezza. Per me la bellezza è la giustizia. Non c’è bellezza senza giustizia. Sogno che le battaglie intraprese non siano del tutto perdute. È importantissimo che i ragazzi recepiscano l’importanza di vedere fiorire la bellezza. Io vorrei parlare sempre con i ragazzi per dire loro che si può, si può, si può! Io me la sento questa bellezza, a 80 anni non mi sono chiusa nel mio egoismo, non so da dove mi arrivi questa forza, ma nonostante i miei problemi fisici sento forte di rimanere a testa alta, senza piegarmi e senza accettare compromessi”. (L. Battaglia)
Quando ero deputata della regione tutti mi chiamavano onorevole e io alzavo il dito medio della mano e rispondevo “tiè”. Mi dovevano chiamare solo Letizia (L. Battaglia)
Link a video su Letizia Battaglia:
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Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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