Un reportage post terremoto per Il paese intubato, un luogo che vive sospeso come in un gigantesco meccano
Fotografie di Mario Laporta
Come in un gigantesco plastico a metà strada tra il gioco dello Shanghai e un enorme modellino di meccano, ci si incammina tra il silenzio e le fratture vive di Casamicciola alta, il borgo del comune dell’isola d’Ischia colpito dal terremoto la sera del 21 Agosto 2017. Magnitudo 4.0 che ha provocato due vittime in un’area ristretta del vasto comune ischitano. Dicono ristretta perché il sisma era di superficie e proprio per questo i geologi lo hanno equiparato agli effetti di una magnitudo 6.0, quindi devastante, e così è stato.
Danni ingentissimi che ancora a distanza di quattro anni questa frazione di territorio isolano si porta dietro. Fino ad ora non si intravede alcun tipo di soluzione in merito alla ricostruzione e al rientro nelle proprie case degli abitanti, che tuttora vagano da un parente all’altro oppure, sradicando le loro fondamenta, si traferiscono in altri comuni dell’isola o addirittura in terraferma.
Mario Laporta, fotoreporter, torna ad indagare con la sua fotocamera e la sua esperienza in uno dei tanti luoghi dimenticati dallo Stato. Quattro anni di promesse, quattro anni di nulla di fatto.
Entrare in quella che una volta era l’area rossa, racconta Mario, è come attraversare un confine irreale: strutture in forma di gallerie intrecciate e muri costruiti con tubi innocenti, a volte lucidissimi, altre con i segni della ruggine. Una strana Apocalisse architettonica, un film distopico tra il passato e un futuro immobilizzato durante la ricostruzione.
In questo suggestivo borgo l’assenza di vita quotidiana la si tocca e la si sente nei silenzi che accompagnano i passi sull’asfalto. Qualche turista, qualche curioso, alcune auto di passaggio oppure di ex abitanti che ancora vanno a curare gli orti o a tentare di riparare qualcosa di irrecuperabile che continui a tenerli legati ai posti dove sono cresciuti.
Come in tutti i dopo terremoto, Casamicciola attende un intervento dello Stato che come sempre tarda ad arrivare.
E tutto resta “work in progress”.
Al centro della piazza ora c’è una tenda, ormai quasi una capanna, proprio lì dove il terremoto del 1883 distrusse completamente la chiesa e la potenza di quello del 2017 riuscì a spostare di oltre mezzo metro la statua dedicata a Padre Pio. In quel punto trovi gli unici abitanti che ancora presidiano la zona e se gli fai qualche domanda ti dicono una cosa che ti pone dei dubbi imbarazzanti: ti indicano quei tubi e allargando le braccia con pazienza infinita pensano che con i fondi spesi per i vari ponteggi, per i muretti di messa in sicurezza, per tutto il cemento armato sparso un po’ dovunque, si sarebbero potute già rimettere a posto molte abitazioni e magari far ritornare un buon numero di famiglie, riportare uno sprazzo di vita in questo borgo che la forza della natura e l’assenza di memoria dell’uomo stanno distruggendo per la seconda volta.
Mario Laporta si è fatto raccontare tutte queste storie, ha raccolto le critiche nervose e quindi sceglie di non rendere la visione puntando sull’estetica: sarebbe molto facile in un posto così farlo apparire con un classico effetto “wow”, mutare verso il fascino tradendo la denuncia. Pur sopraffatto dal bagliore dell’intreccio geometrico, il fotografo decide di restare sincero, racconta con gli occhi di chi ci abitava, come se quel passaggio fosse quotidiano. Non ha nulla di straordinario, non deve averlo e non vuole averlo, se non la tristezza che insinua e la bellezza che nasconde dietro le assurde geometrie. Un po’ come nelle opere dei celebri artisti della Land Art, Christo e Jeanne Claude, autori di quelle velate bellezze, occultate e poi rivelate, gesto che dona una nuova alba al ricordo che ne avevamo. La bellezza, non dimentichiamolo, è nella storia crepata, ma non deceduta, che le strutture moderne ci velano. Il merito di questo lavoro è proprio nel togliere aspettative per raccontare la realtà. D’altra parte, Mario Laporta è fotografo fine che sa scegliere quando è il caso di meravigliare e quando invece è più importante raccontare.
Casamicciola intanto, aspetta, intubata.
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Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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