Il bacio di Giuda è un libro che ogni studente di fotografia dovrebbe leggere. E non solo. Chiunque abbia interesse verso la fotografia avrebbe bisogno di assorbire le pagine di questo libro.
In estrema sintesi è un’analisi di quanta verità ci dice la fotografia o di quanto una fotografia potrebbe mentirci.
Joan Fontcuberta raccoglie in questo libro otto saggi dello stesso autore, testi in cui si interroga sulla verità apparente e sulla funzione probatoria della fotografia e propone uno sguardo critico e analitico sul modo in cui esse giacciono e sono costruite.
Nel titolo sottolinea che la fotografia è come il bacio di Giuda: il falso affetto venduto per trenta monete. Un atto ipocrita e ingiusto che nasconde un terribile tradimento: la denuncia di chi pretende appunto di personificare la verità e la vita.
Due parole per ricordare chi è Joan Fontcuberta. (Barcellona, 1955)
Fontcuberta è uno dei più grandi innovatori di fotografia e sulla fotografia, ha sviluppato un’attività artistica nel campo della fotografia da più di quattro decenni che si è concentrato sui conflitti tra natura, tecnologia, fotografia e verità.
Artista, insegnante, saggista, critico e promotore dell’arte spagnola specializzato in fotografia, Fontcuberta è stato nel 1980 co-fondatore della rivista PhotoVision, pubblicata in bilingue spagnolo e inglese, ricoprendo la carica di caporedattore. Il suo vasto lavoro fotografico è caratterizzato dall’uso di strumenti informatici per il trattamento delle immagini e nella presentazione interattiva con lo spettatore.
Come insegnante, è stato visiting professor presso diverse istituzioni internazionali come l’Università di Harvard e Le Fresnoy, Centre National des Arts Contemporains, in Francia. Ha pubblicato diversi libri su argomenti legati alla storia, all’estetica e alla pedagogia della fotografia. Tutto il suo lavoro rappresenta una visione critica della realtà, verità fotografiche, storiche o di fantasia attraverso la fotografia e il suo contesto e si inserisce in una linea critica della concezione della fotografia come testimonianza della realtà. Molte delle sue opere trattano il gesto del ‘mettere in discussione’ la verità che viene data alle immagini fotografiche.
Infiniti i premi e i riconoscimenti da tutto il mondo, musei e fondazioni.
Perché ho deciso di parlarvi del libro “IL BACIO DI GIUDA: FOTOGRAFIA E VERITÀ” ?
Per tanti motivi, la maggior parte dei quali li scoprirete leggendo il libro.
Nel mondo contemporaneo le apparenze hanno sostituito la realtà. La fotografia è sempre stata considerata, storicamente parlando, una tecnologia al servizio della verità, viene vissuta in funzione di meccanismo a favore della coscienza sincera: la macchina fotografica non mente, ogni fotografia è evidenza. Questa è la semplice convinzione con cui siamo cresciuti ed è sulla base di esperienze personali che Joan Fontcuberta critica questa abitudine al crederci e riflette su aspetti fondamentali della creazione e della cultura attuale.
L’analisi è distribuita in otto saggi ed è considerata un classico della teoria della fotografia, include una prefazione dell’autore stesso in cui spiega l’origine, la gestazione e il viaggio de Il bacio di Giuda e anche una presentazioni di Michele Smargiassi.
«In un certo senso, un artista non è molto diverso da un insegnante, perché con i suoi scatti, un fotografo cerca di trasmettere una conoscenza del mondo e, con lo spirito di un insegnante, si adopera per far capire al pubblico le sue immagini. Sono dimensioni simili che trattano materie diverse. Per quanto mi riguarda, l’obiettivo che mi sono posto con il mio progetto come artista, è insegnare al pubblico o comunque indurlo a reagire in modo critico alla verità proposta da una fotografia. Per questo motivo, probabilmente, il mio lavoro non ha solo una dimensione pedagogica, ma anche una valenza di profilassi, nel senso che vuole liberarsi dal peso della falsificazione, della manipolazione, della narrazione fittizia che in una certa misura grava sulle immagini fotografiche.»
La parte che mi ha intrigato di più è quando Joan si interroga sull’esistenza di una intrinseca e sincera ricerca della verità o se si tratti, piuttosto, di un atto ipocrita e scorretto strettamente legato ai media.
Per Fontcuberta la fotografia è erroneamente concepita come veicolo di Verità. La sua messa in scena è una farsa paragonabile a uno dei più classici episodi di infamia e ipocrisia: il momento in cui Giuda Iscariota, nell’orto del Getsemani, bacia Gesù di Nazareth e lo tradisce. Il suo lavoro mostra la produzione fotografica come un tradimento che si nasconde dietro un atto precedentemente interpretato come innocente, come la natura di un bacio.
L’autore traccia un viaggio attraverso gli usi della fotografia, nel contesto domestico, nell’arte, nella pubblicità, come strumento di polizia e nell’uso quotidiano. Spesso collegandola alle proprie esperienze, l’autore mette in discussione la convinzione che la fotografia presenti la realtà così com’è e stabilisce che dietro questa certezza si celano i meccanismi culturali e ideologici che influenzano i nostri postulati sulla realtà.
“Il segno innocente nasconde un artificio carico di fini e di storia.“
Mette in discussione la comprensione della fotografia come natura che rappresenta se stessa, come semplice scrittura con la luce, che presuppone un’assenza di intervento e interpretazione.
Il libro prosegue con un’analisi delle forme artistiche dell’immagine, costruendo metafore con la figura di Narciso e del vampiro (quello che si guarda allo specchio e quello senza riflesso) per approfondire la forma fotografica come documento e arte (fotografia di strada) e come documentazione dell’esperienza artistica, dal valore meno significativo ma utilizzata per illustrare uno specifico discorso artistico.
Questa riflessione lo porta a considerare il modo in cui nella fotografia contemporanea fa sfumare il legame tra immagine e oggetto.
“Le immagini diventano apparenza o traccia, finzione o indicazione, ma proprio grazie a queste qualità ci si adatteranno a trasmettere i valori più intangibili dell’essere umano”.
In “Videncia y Evidencia”, Fontcuberta analizza il rapporto tra fotografia e memoria, soprattutto in contesti familiari e quotidiani. Spiega come adempia la funzione di una protesi per la memoria, che soddisfa la ricerca infinita di immagazzinare tutto, ma che selezionare certi momenti da fotografare significa non selezionarne altri, dimenticare è ciò che permette la memoria. Stabilisce la relazione di questa funzione con l’uso sociale delle immagini, fotografiamo ciò che vogliamo rafforzare di noi stessi e della nostra vita, seguendo determinati parametri che possono essere catturati. La fotografia e la memoria sono correlate perché crediamo che la fotografia evidenzi ciò che è accaduto. La tendenza a fotografare tutto ci porta in un mondo in cui le immagini precedono la realtà e il gesto di investire, ciò che viviamo ci ricorda le foto che abbiamo visto.
“Credere che la fotografia testimoni qualcosa implica anzitutto proprio questo, credere, avere fede. Il fotorealismo e i suoi valori sottostanti sono una questione di fede. Perché non c’è una motivazione convincente per garantire che la fotografia, per sua stessa natura, abbia più valore come promemoria di un passante per le dita o di una reliquia.
In tutti i saggi, l’artista utilizza immagini di artisti e fotografi per arricchire le sue spiegazioni. Include opere di Nan Goldin, Mike Mandel e Larry Sultan, Cindy Sherman, Andreas Müller-Pohle, Friedl Kubelka-Bondi, Nancy Burson e altri.
“Tutta la fotografia è una finzione che viene presentata come vera. Contrariamente a quanto ci è stato inculcato, contrariamente a quanto tendiamo a pensare, la fotografia mente sempre, mente per istinto, mente perché la sua natura non le permette di fare altro. Ma l’importante non è quell’inevitabile menzogna. L’importante è come il fotografo ne fa uso, il controllo da lui esercitato per imporre un indirizzo etico alla sua menzogna. Il buon fotografo è colui che mente bene la verità.”
Altri libri da non perdere di Fontcuberta:
- La furia delle immagini. Note sulla postfotografia.
- Contro Barthes. Saggio visivo sull’indice.
- Paralipomena
- Scherzi della natura.
- La (foto)camera di Pandora. La fotografia dopo la fotografia.
- Camouflages
“El mundo nace en cada beso” (in italiano, il mondo nasce in ogni bacio) è un foto-mosaico di 8×3,8 metri, progettato da Joan Fontcuberta, nel 2014, per commemorare la caduta di Barcellona durante la guerra di successione spagnola. Questo murales nasce in occasione del tricentenario della caduta catalana avvenuta l’11 settembre 1714, con l’obiettivo di rappresentare la libertà dell’amore sotto ogni forma. Il fotografo Joan Fontcuberta e il ceramista Antoni Cumella, in collaborazione con El Periódico de Catalunya, hanno realizzato questa opera con 4.000 tasselli di ceramica che tutti insieme formano due labbra sul punto di baciarsi. Il murales è stato realizzato grazie al contributo di migliaia di cittadini che hanno inviato le loro fotografie mostrando persone in scene di quotidianità ed interpretando il tema “momenti di libertà”; questi tasselli variano dalla sfumatura di rosa sino al rosso. Il foto-mosaico si trova accanto alla Cattedrale di Barcellona, in Plaça d’Isidre Nonell, nel quartiere gotico.
Altri articoli di questo autore
La RAGAZZA AFGHANA è in ITALIA – Una storia che forse non tutti conoscono
MUGSHOT – Collezionare Vip nelle foto segnaletiche
FABRIZIO FORTUNA – Ritratti di paesaggi
My Private Capa and Chim: documenti sconosciuti da un archivio di famiglia
Filippo de Pisis e Robert Mapplethorpe: A Distant Conversation
GIANNI BERENGO GARDIN. L’OCCHIO COME MESTIERE
Ian Howorth e l’esplorazione visiva dell’identità e dell’appartenenza.
Cornici private
PATRIZIA SAVARESE – Dal Rock alle Metamorfosi Vegetali
la triste storia della fotografia n.51 – ROSALIND FRANKLIN
Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
No comment yet, add your voice below!