Piangiamo la perdita di una persona eccezionale e di una fotografa riconosciuta a livello internazionale. Ci mancherà profondamente.”
il 9 Aprile la Helmut Newton Foundation di Berlino annuncia, con queste parole, la perdita della sua presidentessa June Newton, che si spegne all’età di 97 anni, nella sua casa di Monte Carlo.
June Newton, conosciuta anche con lo pseudonimo di Alice Springs, non era solo la moglie del fotografo Helmut Newton ma bensì una donna con una storia che merita di essere raccontata e ricordata e che va oltre al legame con il celebre marito.
Nasce a Melbourne in Australia nel 1923 come June Browne, inizia presto ad appassionarsi di teatro e a lavorare come attrice, ma essendoci già un’attrice di nome June Brown nella sua città, decide di cambiare il suo cognome in Brunell, per non essere confusa.
Poco più che ventenne risponde ad un annuncio come modella per un servizio fotografico del fotografo tedesco Newton che ha uno studio proprio a Melbourne, si conoscono e dopo solo un anno decidono di sposarsi.
Oltre a posare come modella continua l’attività di attrice ricevendo premi e riconoscimenti importanti come ad esempio l’Erik Kuttner award come miglior attrice teatrale ma nonostante i numerosi lavori sul palcoscenico decide di seguire il marito nei suoi impegni lavorativi, prima a Londra, poi a Parigi e infine in tutto il mondo quando il successo di Newton esplode in tutte le riviste di moda.
Pochi sanno che in una occasione sostituisce addirittura il marito, rimasto a letto con una forte influenza , per un lavoro per le sigarette Gitanes: lui le fa una lezione di fotografia molto veloce e piuttosto che cancellare l’appuntamento manda la moglie che il giorno stesso esegue il lavoro con ottimi risultati. Inizia così la sua carriera come fotografa in un crescendo di ricerche e produzioni sempre più di alto livello, diventando così un’artista stimata e pubblicata sui grandi magazine. Proprio per questa sua improvvisa notorietà decide di cambiare il nome in Alice Springs, pare che Helmut le abbia detto: “un Newton in famiglia è sufficiente”.
Così, la bella e soprattutto brava Alice Springs esegue numerose campagne pubblicitarie per Jean Lous David, ed è l’autrice di numerosi ritratti iconici di attori, attrici, musicisti.
Nei suoi ritratti June si concentra principalmente sui volti, ricerca il carisma, la parte più profonda, non si limita alla superficialità del volto riconoscibile o alla necessità di documentare il personaggio famoso, cerca sempre di oltrepassare lo sguardo istintivo e lo fa, in alcuni casi, realizzando dei doppi ritratti dove i protagonisti interagiscono tra di loro.
La figura di June è sicuramente quella di una donna forte, determinata e ben decisa nelle sue azioni e pensieri. In apparenza poteva sembra succube dell’incredibile fama del suo compagno di vita ma come riportano i racconti degli amici e di chi ha vissuto la loro storia da vicino, era lei l’artefice delle scelte editoriali, la stratega delle committenze da accettare o da rifiutare, aveva il ruolo da regista, forse ereditato calcando i palcoscenici e così facendo teneva l’agenda di lavoro lasciando libera la mente creativa di Helmut Newton. Era la mente e il braccio destro, l’ha accompagnato nel suo lavoro e nel suo successo ed è stata capace di lasciare una propria distinta e solida traccia come artista e come donna: questo è uno di quei casi in cui ha davvero senso dire che dietro ad un grande uomo c’è sempre una grande donna.
Con incredibile energia porta avanti il progetto della fondazione HELMUT NEWTON Foundation che viene inaugurata nell’estate del 2004 e dove tutt’oggi vengono ospitate mostre dei migliori fotografi contemporanei del nostro tempo.
June Browne, una grande donna.
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Fotografo ritrattista. Venti anni di esperienza nella fotografia di “people” spaziando dal ritratto per celebrity, beauty, adv e mantenendo sempre uno sguardo al reportage sociale.
Ha coordinato il dipartimento di fotografia dell’Istituto Europeo di Design ed è docente di Educazione al linguaggio fotografico presso la Raffles School, Università di design di Milano.
Il suo portfolio comprende lavori autoriali e commerciali per FIAT, Iveco, Lavazza, Chicco, Oréal e la pubblicazione di quattro libri fotografici: “Ecce Femina” (2000), “99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 it/Universiadi 2007”.
Ha curato l’immagine per vari personaggi dello spettacolo, Arturo Brachetti, Luciana Littizzetto, Fernanda Lessa, Antonella Elia, Neja, Eiffel65, Marco Berry, Levante …
Negli ultimi anni ha spostato la sua creatività anche alle riprese video, sia come regista che come direttore della fotografia, uno dei suoi lavori più premiati è il videoclip “Alfonso” della cantautrice Levante (oltre otto milioni di visualizzazioni).
Ha diretto il dipartimento di fotografia dello IED di Torino ed è docente di “Educazione al linguaggio fotografico” presso la RM Moda e design di Milano.
Paolo Ranzani è referente artistico 4k in merito al progetto “TORINO MOSAICO” del collettivo “DeadPhotoWorking”, progetto scelto per inaugurare “Luci d’Artista” a Torino.
E’ stato nominato da Giovanni Gastel presidente AFIP Torino.
Nel 2019 il lavoro fotografico sul teatro in carcere è stato ospite di Matera Capitale della Cultura.
Pubblicati e mostre:
“Ecce Femina” (2000),
“99 per Amnesty” (2003),
“La Soglia. Vita, carcere e teatro” (premio reportage Orvieto Prof. Photography Awards 2005),
“Go 4 you/Universiadi 2007” ,
Premio 2005 per il ciack award fotografo di scena
Premio 2007 fotografia creativa TAU VISUAL
Premio 2009 come miglior fotografo creativo editoriale
Ideatore e organizzatore del concorso fotografico internazionale OPEN PICS per il Salone del Libro di Torino – 2004
Dal 2017 scrive “Ap/Punti di vista” una rubrica bimestrale di fotografia sul magazine Torinerò.
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