fbpx Skip to content

Tommaso Le Pera Della fotografia immaginista scritta sull’acqua del teatro e sulla filosofia gnostica degli occhi chiusi (parte III))

di PHocus Magazine

Un’annotazione a margine. Le Pera nasce in Calabria, a Sersale (CZ), nel 1942… i profili (sempre troppo pochi) che lo riguardano, dicono che a vent’anni si trasferisce a Roma (dove vive) e diventa il fotografo per eccellenza del teatro italiano… inizia a fotografare nella cantina del Folkstudio in Trastevere e incornicia la memoria teatrale di un intero Paese in oltre 4.500 rappresentazioni… non sono le macchine fotografiche usa (Pentacon six o Leica, poco importa) a determinare la sua scrittura fotografica, ma la scelta di fissare gli attori in quella tecnica di ripresa che lui stesso definisce “fotografia dinamica”… una sorta di fotografia in movimento che travalica la posa e racconta i gesti, i corpi, i volti dei protagonisti e ciò che interpretano sul boccascena. Si tratta di un fotografare che non è cattedra di mosche morte…ma di stracci-immagini sapienti che accrescono l’impazienza del giusto… illuminati dalla lampada orfica dell’inattuale… cioè una fotoscrittura che è al medesimo tempo, testamento e rivelazione.
Gli inizi di Le Pera sono immagini anche degli “spaghetti-western” e raccontano una stagione, tra le più basse, del cinema italiano… poi il teatro d’avanguardia, impegnato o quello ufficiale, si dipanano in una seminagione fotografica dove il cinema, il grande cinema (Visconti, in modo particolare) è presente in ogni scatto… l’arte di Memè Perlini, Giancarlo Nanni, Giancarlo Sepe, Mario Ricci Ricci, Eduardo e Peppino De Filippo, Romolo Valli, Giorgio De Lullo, Vittorio Gassman, Giorgio Albertazzi, Valeria Moriconi, Gianrico Tedeschi, Gabriele Lavia, Mariangela Melato, Gigi Proietti, Eros Pagni, Antonio Calenda, Tato Russo… è disseminata in pubblicazioni, mostre, festival… e il filo rosso della narrazione è il movimento visivo che scaturisce dall’intensità dell’immagine e va a toccare lo spirito profondo dello spettatore lettore che si trova sulla diligenza di Ombre rosse di John Ford o nell’increato patafisico di Re Ubu… insomma in un fotografato che accompagna il sogno e lo destina a un altro porto.

La figurazione semantica-spaziale di Le Pera s’allarga a diverse angolazioni espressive, non si ferma alle azioni principali della storia, all’attore blasonato, alla decorazione scenografica… travalica le luci, le scenografie, i costumi… decostruisce la fotografia di scena classica, frontale, col teleobiettivo, e l’abituale senso pittorialista dell’immagine di posa teatrale viene intessuto di desiderio, d’immaginario, d’innocenza emozionale versati in una triade figurale che intreccia narrazione, gesto e attorialità con la visione eidetica del fotografo. La genitalità della fotografia sedotta e seduttrice della cosa amata, liberata nel chiasso di un accento o nel silenzio di un vocabolo… si riverbera nel bello che include l’introspezione psicologica… e nemmeno importa sapere che “la bellezza è l’armonia del caso e del bene”, Simone Weil, diceva… è la trasfigurazione della sensibilità agganciata all’illuminazione della fabula… tutto è falso, eccetto l’immagine-parola che prevale sulla simulazione e si arrende alla luce di un’altra verità che invece di cercare Dio, incontra Goya. Il bello fuoriesce sempre in maniera misteriosa,
alchemica, magica… ed è prima di tutto rispondenza tra l’istantaneo e la pienezza dalla realtà immaginata.

Lo splendore degli sguardi, la bellezza luminosa dei gesti, il fascino desiderabile dei corpi…vanno a costituire una scrittura fotografica androgina, dove niente è osceno poiché la stupidità di vedere l’osceno è là dove si disprezza la singolarità di un artista o la si esalta specie
quando non la si capisce! E questi sono i palafrenieri dell’euforia, dell’esaltazione e della morale oscurantista che pretendono di possedere la verità, poiché sanno bene che la cavezza è la collana che meglio si adatta al popolo. I grandi artisti sono quelli che non sfoggiano sapienze
impeccabili e chiamano ciò che fanno lavoro, non arte. La maestria in tutte le arti è una forma d’incantesimo dove studio e talento se ne infischiano della forma fine a se stessa e si sciolgono nel contenuto di una vera e propria commedia umana, Balzac, Wilde, Genet o Pasolini ne erano coscienti… accompagnata dal quel profondo senso d’inquietudine, d’amorevolezza e di compassione porgono attenzione al bene vegliato come un bambino di campagna, cioè nell’amore incondizionato che è l’unica misura di creazione di valore.

L’epifania della gioia che sborda dalla fotografia di Le Pera proviene, credo, da quella terra calabra violata perfino nella lingua, quasi a farsi vergognare del proprio magnifico dialetto, dispersa nelle tenebre della frusta certo, ma anche nelle rivolte dei briganti e brigantesse… il
crogiolo delle sue immagini è un poderoso scrigno di commozione, calore, dolcezza avvolti in un risoluto linguaggio, anche tecnico, che porta fuori dal proscenio la maestria del molteplice e la riversa in arte… il suo rizomario figurativo, appunto, è un unico film-fotografia raccolto sulla scena del teatro e rovesciato sul teatro della vita quotidiana. Una tecnica nuda, spoglia, asciutta che penetra i segreti del visibile e reinventa ritmi, tempi, azioni sceniche dove il superfluo è tagliato via e resta soltanto il discorso fotografico ebbro di nuove significazioni dell’immagine innamorata del proprio canto.

La via della fotografia di teatro di Le Pera non rispetta troppe norme, le guada, le decrocifigge e le ricompone nell’interazione che congiunge la coscienza di sé con la coscienza del fuori e diventa coscienza del mondo… il significante entra nel significato (e viceversa) senza teatralizzare
il giudizio né l’intelligenza dello spettatore… una prospettica che sembra possedere qualcosa di epico che trascende tempo e spazio… raggiunge l’essenziale al di là delle abilità sceniche dei corpi, dei gesti, delle posture… segue le intuizioni che attanagliano il fotografo nella propria erranza, non sequestrano l’oggetto amato nella forma, ma abbeverano l’immagine amata nell’immaginale di un sentimento amoroso per l’arte e per la vita.

La fotografia del desiderio di Le Pera non è solo la ri-creazione del fenomeno teatrale, ma il suo prolungamento… il fotografo conosce il testo, autore, regista, gli attori… entra in relazione con la soggettività teatrante e associa il piacere a una costruzione estetica che è insieme, tentatrice e peccatrice… cioè la fotografia teatrale di Le Pera contiene le tre categorie classificate da Charles S. Peirce — le icone, gli indici e i simboli —… e mostra sia la capacità tecnica-stilistica dell’autore sia il senso di partecipazione, coinvolgimento e comunità con la trattazione fotografica. Il fotografico, infatti, è la connessione intellettuale, il nesso che si crea fra il soggetto fotografato (ciò che cade davanti alla fotocamera), la fotografia scattata e il contesto in cui la fotografia raggiunge uno scopo o lo fallisce… poco importa la quantità di realtà presente in una fotografia… ciò che vale è l’impronta di verità, bellezza e giustizia che corrisponda a come il fotografo vede il mondo.

Il planisfero fotografico di Le Pera, come abbiamo detto, abbraccia l’intero teatro italiano dagli anni ’60 al nostro tempo… seguendo una sommatoria figurativa del suo monumentale lavoro — senza entrare nel merito di quello spettacolo, quell’artista o delle narrazioni —, vediamo
che ci troviamo di fronte a citazioni del cinema alto (Stanley Kubrick, per dire), con riferimenti al futurismo, al surrealismo, al costruttivismo sovietico, al Bauhaus, ai linguaggi delle avanguardie artistiche che Le Pera sembra conoscere bene… e fuori da ogni compiacimento visivo, il fotografo conferisce all’immagine una sorta di detonazione estetica che lega l’avvenimento a un’elegia che travalica il documento e s’inoltra nel bello e nel vero di ciò che attenziona nella decreazione di un reale spogliato da ogni imitazione.

Le immagini di Atene anno zero (1970-71) di Francesco Della Corte (due tempi tratti da testi attici del IV secolo a.C.), regia di Gualtiero Rizzi… ci trasportano in certi anfratti del cinema cubista… mai pittoriche, sempre pregnanti o dialoganti tra l’attorialità e l’ineffabilità del fotografo… gli attori, le scene, il nero di sfondo corrispondono a una grammatica fotografica attenta a non tradire il soggetto dal quale parte, tuttavia declinata nell’impressione sensoriale mediata nella riflessione, come in un gioco di specchi… la conoscenza che va oltre il semplice guardare, dell’illustrazione, ma si rispecchia in altri enunciati indipendenti fra loro, un coro di segni metalinguistici che attraverso la composizione, l’inquadratura, il taglio teatrale e riscattano la realtà nell’infingimento… una fotografia è sempre un autoritratto e mostra qualcosa dell’autore che il lettore può anche vedere, se non si abbevera ai ceppi dei grandi propositi che ruminano vento e chiacchiericcio… le collezioni di sentenze morali appartengono agli annunciatori che disabbelliscono la vita.

Nel lavoro Itala Film – Torino (1985-86) di Giancarlo Sepe, regia dell’autore… specie nelle immagini a colori… Le Pera sembra riconoscere le avanguardie artistiche, politiche, radicali che sulla scorta di studi del Dada, Lettrismo, Situazionismo… porgevano il superamento dell’arte come lotta contro l’ideologia e ingroppa all’utopia andavano a realizzare un’estetica di resistenza che sconvolgeva tutte le forme di comunicazione, sollecitava l’incrinatura della consustanziazione tra merce e uomo, e dava luogo alla partecipazione aperta della dissidenza
e principio della decolonizzazione culturale di Dio, Patria, Famiglia, Lavoro.

Le immagini mosse, quelle moderniste, quelle brechtiane… disvelano un’appassionata ricerca della verità personale e riscoprono verità e bellezza fuori e dentro i predicati teatrali che ne intimano le partiture. Il prestigio degli eletti contiene sempre quel non so che di alterigia che ne mina la grandezza! Il gesto accende l’occhio, il tagliaboschi dà al bosco la longevità o lo condanna. Nelle fotografie a colori di La Pamela (1986-87)… Le Pera raccorda l’immaginario cinematografico di Luchino Visconti con la scrittura di seduzione di Carlo Goldoni… i verdi, i marroni, i gialli restituiscono la realtà della fotografia, del cinema, del teatro come conoscibilità delle cose e non come succedanei della realtà… c’è una riorganizzazione dello spazio e del tempo scenici e la proposta intellettuale di nuove relazioni che legano la maschera alla vita e la vita come dilatazione della maschera. Una micro umanità che si profila in altri canovacci e genera una nuova quotidianità intessuta tra il teatro e la platea… l’analisi dello sguardo che emerge da un’altra dimensione del vedere e diventa veicolo di altri linguaggi che partoriscono
altri aspetti della realtà fotografica.

Alla legge, la fede offre la garrotta, poiché ogni intuizione ha sempre il sapore amaro delle mandorle in fiore. Anche gli alberi, i rami, i fiori hanno il loro modo di sanguinare ma nessuno li reclama come vittime, perché è nel saccheggio del reale che si scova l’irrealtà che infrange tutte le certezze affidate al consenso. Quando l’imperfezione si manifesta nella bellezza, la vanità non ha più scampo. Nelle immagini in bianco e nero e colore di Il matrimonio di Figaro di Pierre Augustin Caron de Beaumarchais (1986-87)… Le Pera respira e ci fa respirare i vizi e i lazzi della commedia dell’arte e intravvedere anche elementi estetici del cinema-maestro di Carl Th. Dreyer e Ingmar Bergman… una ritrattistica che non ha nulla di meccanico, di diretto, di immediatamente significante… tutt’altro… si armeggia tra tante visioni possibili del pezzo teatrale e costruisce altri percorsi strutturali… non ribadisce il già visto né lo enfatizza… e si discosta da quanto diceva Franco Vaccari a suo tempo, cioè che ogni mezzo tecnologico possiede o è posseduto da un proprio inconscio… questo vale anche per la collezione delle figurine dei calciatori o
dei ciarlatani da tribuna. Le Pera (come Man Ray o Moholy Nagy, Walker Evans, August Sander o Diane Arbus) rompe i limiti dell’illusione e si muove all’interno di ciò che fotografa…attiva una discrepanza nella funzione fotografica racchiusa in una cornice e ne spazza via i parabordi… spegne la rappresentazione chiusa in se stessa e accende la poetica di un’altro esodo del vivere insieme. Tutto ciò che interroga la liberazione dell’individuo è reso alla strada. (continua)

Altri articoli di questo autore

Condividi

No comment yet, add your voice below!


Add a Comment

Vuoi accedere agli eventi riservati?

Abbonati a soli 15€ per 365 giorni e ottieni più di ciò che immagini!

Se invece sei già iscritto ed hai la password, accedi da qui

Dimmi chi sei e ti dirò che workshop fa per te

Non è facile trovare un buon educatore!
Appartengo ad una generazione che ha dovuto adattarsi alla scarsa offerta dei tempi. Ho avuto un solo tutor, a cui ancora oggi devo molto. Brevi, fugaci ma intensi incontri in cui il sottoscritto, da solo con lui, cercava di prendere nota anche dei respiri e trarre insegnamento da ogni singola parola.
A causa di questa carenza io e i miei coetanei ci siamo dovuti spesso costruire una visione complementare come autori, designers, critici ed insegnanti e questo ci ha aiutato a costruire qualcosa di fondamentale e duraturo.
Per questo motivo con Cine Sud che vanta un’esperienza di oltre 40 anni nel settore della formazione, abbiamo pensato alla possibilità di offrire dei corsi “one to one”, costruiti sulla base delle esigenze individuali e in campi disparati, che vanno dalla tecnica alla ricerca di nuovi linguaggi in fotografia.
Dei corsi molto vicini a quelli che avremmo voluto avere nel passato, se ce ne fosse stata offerta l’opportunità e la parola opportunità non va sottovalutata, perché ha un peso e una sua valenza e non è spesso scontata.
Ognuno sarà libero di scegliere, sulla base dei nostri consigli, un autore o un tecnico, tra quelli offerti come docenti, e intraprendere un corso che gli offra quello di cui realmente ha bisogno e, eventualmente, ripetere questa esperienza in futuro.
Come quando si va da un eccellente sarto a scegliere con cura un vestito, adattandolo perfettamente al corpo, vogliamo fornirvi il corso che meglio si adatta alle vostre, singole e personali esigenze.
Niente nasce dal caso e per poter essere all’altezza di questo compito e potervi fornire un’offerta diversificata e soddisfacente, abbiamo pensato di sottoporvi un questionario tra il serio e lo scherzoso a cui vi preghiamo di rispondere.
Aiutateci a capire le vostre reali esigenze e chi abbiamo difronte, non ve ne pentirete.
Massimo Mastrorillo

Dimmi chi sei e ti dirò che workshop fa per te

Approfondiamo ! per i più intrepidi
X