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Sulla fotografia di resistenza dei ghetti L’antisemitismo, i carnefici di Hitler e gli anarchici nei forni (parte quarta)

di PHocus Magazine

Gli archivi della barbarie nazista.

Gli archivi sullo sterminio ebraico parlano. Nessuno sfugge alle immagini perché l’amore per le proprie radici è madre del riso e padre del dolore che nei secoli è stato inflitto a un popolo in nome della propria carne… anche con le ginocchia spezzate, lo sguardo rivolto verso Gerusalemme e ferito nel silenzio straziante dei campi di sterminio nazisti, rivendica la rottura e la salvezza della parola imprigionata, vilipesa, uccisa… chi ha amato il giusto e reso giusto tutto, s’incammina nella via dell’intelligenza e della rivolta ascoltando l’ordine di nessun insegnamento e costringe i carnefici ad abbassare lo sguardo o a renderli ancora più carnefici… poiché l’amore dei giusti vince su tutto, perché è senza difesa e senza perdono, ed è rotondo come una mela rossa. Sembra che gli israeliani abbiano dimenticato che i muri perseguitano  gli umiliati e gli offesi, e i palestinesi coperti di sangue gridano conoscenze ancestrali calpestate… ogni volta che un nostro fratello viene ucciso, noi moriamo della sua morte, con lui, diceva… e questo vale per tutte le anime libere che tornano a vivere la libertà e la giustizia nello sguardo innocente e incorruttibile del fanciullo.

Ci vogliamo soffermare sull’archivio di Emanuel Ringelblum, prigioniero dei nazisti nel ghetto di Varsavia dal 1939 fino alla sua distruzione (1940), poiché la sua testimonianza ci chiama ad edificare la memoria che viene nell’insubordinazione a tutto ciò che opprime… Ringelblum costruisce il suo archivio per far conoscere la spietatezza del nazismo… mostrare un altrove mai perso, dimenticato o annichilito della condizione ebraica nel ghetto… lavora per la continuità di una cultura indomita che si riconosceva nella vita, mai nell’oblìo nella quale era costretta dalle armi, che non voleva essere compresa, ma amata. Un archivio-imboscata che che cammina a fianco degli esclusi, dei soppressi, degli ammazzati… una voce di voci che si elevano contro la trucidità nazista.

L’archivio-imboscata di Ringelblum si eleva in una forma di resistenza spirituale, nasconde per preservare la documentazione della vita e della morte della comunità ebraica nel ghetto. Ringelblum era uno storico polacco di origine ebraica. Studioso della lingua Yiddish e della tradizione ebraica, e ne scrisse anche in articoli e saggi… nel 1925 è tra i fondatori della sezione storica dell’YIVO (Institute for Jewish research) a Vilnius (Lituania). Prima dell’insurrezione del ghetto di Varsavia, 19 aprile – 16 maggio 1943, Ringelblum, la moglie e il figlio, riescono a nascondersi nella “parte ariana” della città… nei giorni di pasqua del 1943 sono di nuovo catturati e internati nel campo di Trawniki… riescono a fuggire con l’aiuto della resistenza polacca… nel 1944 vengono scoperti dalla Gestapo e il 7 marzo fucilati nella prigione di Pawiak a Varsavia. Si stima che durante gli anni del Nazismo siano transitati per Pawiak circa 100.000 uomini e 200.000 donne. Almeno 60.000 persone da qui sono state inviate ai campi di sterminio o di concentramento. Non è facile stabilire numeri precisi perché l’archivio della prigione non è mai stato ritrovato. Nelle carte di Ringelblum sopravvive il ricordo del disamore che rende soddisfatti gli assassini.

Lasciamo alle parole del nostro amico e maestro in dissennate utopie, Ando Gilardi, tracciare le origini dell’archivio Ringelblum, Oneg Shabbat, con la consueta amarezza e ironia profonda per la verità: “Oneg Shabbat era anche il nome in codice di un gruppo clandestino che comprendeva storici, scrittori, rabbini e sionisti, dedito alla raccolta, oltre che delle fotografie, di saggi, diari, disegni, manifesti murali e altri materiali sulla distruzione degli ebrei. Insieme ai documenti Ringelblum conservava registrato in un diario ogni aspetto significativo della vita del ghetto. Il gruppo nascose i materiali con le fotografie e gli Appunti [titolo che diede al diario — N.d.C.] di Ringelblum in una ventina di bidoni del latte, rimasti sepolti sotto le macerie. Furono ritrovati, non tutti, dopo la guerra”. Le immagini e gli Appunti di Ringelblum ci dicono molto dello Judenräte… la polizia arruolata fra gli stessi ebrei del ghetto. Così Ringelblum scrive nel suo diario: “Sono gli ebrei delatori e servi della Gestapo (…) si stanno dando da fare per trovarsi un alibi. Cercano in ogni modo di avere l’aria di persone di buon cuore, o di dimostrare, almeno, che sono veri ebrei, ebrei autentici, ebrei che pensano all’interesse comune (…) gli agenti si sono distinti per la loro corruzione e immoralità. Il vertice della perfidia, tuttavia, lo hanno raggiunto durante il trasferimento alle camere a gas. Non hanno pronunciato una sola parola di protesta contro il disgustoso incarico di condurre i loro fratelli al macello. A questo lavoro lercio gli uomini della polizia erano psicologicamente preparati e l’hanno eseguito a puntino (…) Non c’è ebreo di Varsavia, non c’è donna o bambino che non possono citare atti di crudeltà inumana e di violenza da parte degli uomini della polizia ebraica. Sono atti che i sopravvissuti non dimenticheranno mai, atti che bisogna punire e saranno puniti”. Non abbiamo niente da aggiungere! Non vogliamo assolutamente dissertare nulla sul rispetto per la Verità, se non altro, la tragedia umana che sottende! Ogni aggettivazione segreta della realtà presuppone un giudizio di valore, certo… e parlarne non è propriamente un male… non è nemmeno un esercizio di disprezzo verso chi deve dare “spiegazioni” del suo comportamento… semmai è un ritornare a comprendere e all’impossibilità di dimenticare che non si tira a sorte sul destino dei fratelli… neanche quando l’intelligenza è perseguitata! Non si può conciliare la rabbia con l’ingenuità! Il privilegio è sempre una disgrazia che torna sui suoi passi e ne detta l’inconcepibile!  La Shoah è stata non solo un’immensa sciagura consumata dal nazismo sul popolo ebraico, ma anche una situazione di sopravvivenza dove si sono confusi vigliaccheria e coraggio, tradimenti e passionalità, fedi e ideologie… ci furono criminali e servi, spettatori e vittime che andavano incontro alla cancellazione delle loro origini… e ovunque il nazismo avanzava nasceva l’esercito delle ombre, i partigiani che furono trucidati, torturati, uccisi a migliaia… ma vinsero… poiché nessun potere, forte che sia, può schiacciare per sempre l’amore dell’uomo per l’uomo.

La tirannia visibile dei campi di sterminio, scrive a ragione, Laura Fontana, rischia di trasformare i “soggetti guardanti in spettatori-voyeur” e produrre la perdita etica dello sguardo… ogni immagine, tanto più quelle della Shoah, assumono valore solo quando sono capaci di modificare o rinnovare il linguaggio d’attrazione spettacolare e quindi aprisi a una diversa conoscenza del mondo. L’iconografia storica della Shoah mostra la nevrastenia di un’epoca dove l’ortodossia delle piaghe ha aderito con ardore alle richieste generalizzate della deportazione di una comunità perseguitata… gli dèi in camicia bruna abitavano il Paradiso della distruzione e il popolo tedesco inneggiava ai loro stupri… ogni immagine della Shoah conserva l’indecenza dei suoi esecutori, la cosa agghiacciante è che dopo la caduta del nazismo solo pochi di loro sono stati giudicati per quanto hanno commesso… né vendetta né perdono… ma almeno sarebbe stato giusto vederli pulire le latrine a vita o appenderli ai campanili delle città e farci cagare sopra i piccioni… per non dimenticare!

Siccome siamo inclini a non accettare di buon grado le risoluzioni internazionali sulla pacificazione o riconciliazione con gli sterminatori impuniti… non legittimiamo nessuna pietà istituzionale… inoltre sappiamo che gli affari delle guerre, i brevetti farmaceutici, il mercato delle armi e le ricostruzioni delle macerie passano dalle grandi banche, dai grandi sistemi, dai grandi governi… lì si ritrovano tutti… non ci sono nemici… solo politici, imprenditori, truffatori, mafie e burocrati del privilegio… i poteri forti non guardano in faccia né alle ideologie, né alle fedi, né a niente che non accresca i loro saccheggi… anche le loro lacrime nel giorno della memoria, sprigionano contentezza… la passione morbosa per il potere è al fondo di tutte le carneficine della storia.

Campo di sterminio di Buchenwald

Gli anarchici nella resistenza italiana e la Repubblica Sociale Italiana di Salò.

Il regime fascista mostrò una certa vocazione del sistema concentrazionario e ne dette prova nella Guerra d’Etiopia (1936) ma si distinse per torture e violenze dopo l’aggressione alla Jugoslavia… i campi di concentramento di Arbe e Gonars furono teatro di sopraffazioni e omicidi… e anche dopo la caduta di Mussolini, la Repubblica di Salò, insieme alle autorità tedesche, continuarono infliggere pratiche disumane alle vittime nei campi di Renicci d’Anghiari, Fossoli (Modena), Bolzano, Risiera di San Sabba a Trieste… i corpi imprigionati, tor- turati, deportati dai fascisti sono cosparsi dell’odio dell’ignoranza e la loro sorte interroga l’aldilà della morte come presagio di resurrezione della giustizia… dove il male è l’indicibile e il bene è il ritorno alla parola iniziale mai uccisa.

Sono migliaia i civili, oppositori, disertori, antifascisti, partigiani… rastrellati dalle Brigate Nere, X Mas, polizia ed esercito… incarcerati, eliminati o deportati in Germania… è stato calcolato che tra il 1943 e il 1945 furono oltre 40.00 gli italiani reclusi e inviati nei campi di sterminio. Due ex deportati a Mauthausen, Bruno Vasari e Italo Tibaldi, nel loro possente lavoro di ricerca, Il libro dei deportati (tre tomi), censiscono 23.826 italiani considerati politici, di cui 10.129 destinati a non fare ritorno a casa e a morire nei lager: “Dachau, con

9.311 persone, detiene il primato per il maggiore numero di deportati politici italiani; a seguire, oltre il già tristemente noto Mauthausen (6.615), Buchenwald (2.123), Flossenbürg (1.798), Auschwitz e Ravensbrück con lo stesso numero (847), Dora Mittelbau (794)”… e denunciano un atteggiamento dei ricercatori (specie della sinistra), spesso teso a minimizzare o nemmeno ricordare le vicende degli anarchici passati dai campi di concentramento italiani e bruciati nei forni.

Tra i detenuti politici deportati, Franco Bertolucci (della Biblioteca Franco Serantini di Pisa), ha prodotto una documentazione su 102 militanti anarchici, uccisi e sopravvissuti alla deportazione e in appendice pubblica un estratto del Diario del deportato Antonio Dettori, triangolo rosso, n.94450Qui Bertolucci scrive: “All’inizio della Seconda guerra mondiale gli anarchici di lingua italiana erano un movimento che aveva subìto, dopo la sconfitta del fronte repubblicano in Spagna, una diaspora fortissima. Chi era riuscito a trovare un imbarco si era rifugiato nelle Americhe, mentre molti dei reduci della Guerra civile spagnola in Francia furono internati nei vari campi come ad esempio quelli di Gurs e Argelès-sur-Mer. Altri si dettero alla macchia spesso entrando nelle file della Resistenza francese. Non esisteva un’organizzazione politica unitaria degli anarchici in questo periodo, possiamo al massimo parlare di qualche rete, soprattutto di soccorso e mutuo appoggio che ruotava intorno ad alcuni piccoli gruppi e singoli militanti che ancora erano attivi in città come Parigi, Bruxelles, Lione e Marsiglia. Uno dei principali animatori di queste reti che operavano nella Francia meridionale, Leonida Mastrodicasa, cadrà tra i primi nelle mani degli occupanti tedeschi. Nei primi anni Quaranta, in Italia la frammentazione è ancor più accentuata: i militanti sparsi che coerente mente rimangono fedeli ai propri ideali erano ridotti a qualche centinaio, e solo in poche località esistevano ancora nuclei di piccole dimensioni.

La situazione cambierà di fatto solo dopo gli scioperi operai del Triangolo industriale della primavera del 1943, e con la successiva caduta del fascismo alla fine del luglio dello stesso anno. Da quel momento, le file del disperso movimento libertario verranno ritessute e attraverso l’esperienza resistenziale, pur anche questa frammentaria e minoritaria, si arriverà alla ricostruzione di un’organizzazione nazionale: la FAI (Carrara, settembre 1945) e alla pubblicazione di vari periodici («Umanità nova», «Volontà», «L’Amico del popolo», «Era nuova», «Il Comunista libertario» poi «Il Libertario» etc.)”. Il vento della storia soffia dove vuole ma non può celare di vedere ciò che teme… e quando l’assassinio dei maledetti scintillava sui corpi dei reclusi, gli anarchici portavamo la stella dell’anarchia sul petto.

La storiografia sulla partecipazione anarchica alla Resistenza è stata confinata a sommatorie, catalogazioni, nomenclature più o meno persistenti sull’azione anarchica partigiana, tuttavia non sono pochi i testi nei quali possiamo riconoscere l’apporto concreto degli anarchici per la lotta di liberazione. Pietro Bianconi, Paola Feri, Mauro De Agostini, Franco Schirone, Gaetano Manfredonia, Adriana Dadà, Italino Rossi, Marco Rossi, Giorgio Sacchetti, tra gli altri… ne hanno sottolineato le gesta. Il richiamo alla lotta antifascista degli anarchici non sarà però coagulato all’interno dei rapporti col PCI, obbediente ai dettati di Mosca, piuttosto si avranno avvicinamenti degli anarchici con le Brigate di Giustizia e Libertà… un legame che era già avvenuto nella Rivoluzione sociale di Spagna del ’36 tra Camillo Berneri e Carlo Rosselli. Difficili furono i rapporti con le Brigate Garibaldi (comunisti) e le Brigate Matteotti (socialisti)… non è facile stabilire il numero di anarchici che hanno partecipato alla resistenza partigiana… qualcuno ha stimato 18.000-20.000… a noi piace ricordare che il passaggio dal confino alla lotta partigiana è stato decretato a Genova in un convegno clandestino dove veniva affermato: “Essendo il fascismo il primo caposaldo da demolire e ogni colpo da chiunque tirato sarebbe sempre desiderato, in questa azione ci troveremo gomito a gomito con l’arma in pugno anche con quegli elementi le cui finalità sono in contrasto con le nostre o sono indefinite […] Ma, caduto il primo caposaldo, cioè il fascismo, ogni corrente rivoluzionaria avanzerà le proprie rivendicazioni […] Perciò nostro preciso compito crediamo sia questo: lavorare contro il fascismo sì, con chiunque: ma esigere da chiunque il diritto all’affermazione dei nostri sacrosanti principi libertari”. Gli anarchici nella resistenza hanno espresso la passione libertaria di uomini e donne che vivevano la lotta partigiana non come una necessaria opposizione armata a un regime liberticida, ma come l’inizio di una rivoluzione sociale.

Va detto. Gli anarchici, ancora prima della guerriglia partigiana del ’43-’45, avevano preso le armi e respinto i fascisti già nel 1921, come a Sarzana, a Parma… nella lotta antifascista degli anarchici si contano gli attentati al Duce di Anteo Zamboni, Michele Schirru, Angelo Sbardellotto, Gino Lucetti… tutti uccisi… i tribunali fascisti comminarono pene copiose contro gli anarchici e li confinarono a Ventotene, poi a Renicci d’Anghiari (Arezzo) con i prigionieri di guerra slavi e albanesi… poi i forni nazisti. Tra le file degli anarchici (e libertari) si contano Lanciotto Ballerini, Medaglia d’oro al Valor militare; Arrigo Cervetto, Medaglia d’Argento al valor militare; Giovanni Mariga, insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare, non accettò l’onorificenza per coerenza con i propri ideali… e tutto uno stuolo di nomi — Armando Borghi, Pietro Bruzzi, Emilio Canzi, Giovanni Domaschi, Alfonso Failla, Goliardo Fiaschi, Umberto Mazzocchi, Ugo Mazzucchelli —… ai loro principi d’amore e libertà degli oppressi, s’accosteranno le giovani generazioni del dopoguerra e confluiranno nella rivoluzione planetaria del ’68.

Partigiani

Proprio in questo momento che sto vedendo un film appassionante di Jean Renoir, La grande illusione (1937)… un imbecille folgorato dalla sociologia cristologica che insegna in un’università prestigiosa, mi tiene incollato al telefono per chiedere conto di un mio pezzo sulla Fotografia della Shoah che ha letto da qualche parte… dissentiva sulle mie invettive che riguardavano la complicità della chiesa cattolica col nazismo… non so cosa rispondere… né cosa pensare… lo sento come un attentato alla mia riservatezza… così gli ho detto, a braccio:

  • —“Gli entusiasti della distruzione degli ebrei non sono solo i nazisti, ma tutti quelli che proibiscono di avere opinioni differenti e aderiscono in bella maniera alla persecuzione degli ultimi della Terra…lei dovrebbe sapere quanti professori universitari si rifiutarono di prendere la tessera del partito fascista… c’erano tre giuristi (Francesco ed Edoardo Ruffini, Fabio Luzzatto), un orientalista (Giorgio Levi Della Vida), uno storico dell’antichità (Gaetano DeSanctis), un teologo (Ernesto Buonaiuti), un matematico (VitoVolterra), un chirurgo (Bartolo Nigrisoli), un antropologo (Marco Carrara), uno storico dell’arte (Lionello Venturi), un chimico (Giorgio Errera) e un filosofo (PieroMartinetti), se ricordo bene l’elencario pubblicato con particolare esattezza nel libro di Helmut Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista prenda nota, dico”, e mi accendo un sigaro toscano all’anice 
  • — “Le sue invettive non portano a nulla”… dice il professore… “sono infantili e confuse… bisogna consultare i testi, bisogna… bisogna… la storia non si fa a braccia… lei non conosce la storia… si vada a informare bene… vada…”, qui s’interrompe la voce… riprende, “Vada a vedere la storia della cultura italiana e poi parli… vada a vedere il coraggio dei nostri martiri, dei nostri santi, dei nostri eroi” —.
  • —M’infiammo un pò: “Dimenticavo di ricordarle che in certi momenti il fascismo ha avuto anche l’appoggio di nomi tutelari dell’intellighenzia italiana (sostenuti dal più grande doppiogiochista della politica nostrana, Palmiro Togliatti, pari solo a Giulio Andreotti)… il padre putativo dei comunisti italiani, quello che prendeva ordini da Stalin e faceva eliminare trotzkisti, anarchici, comunisti dissidenti con un colpo di pistola alla testa o il plotone d’esecuzione nelle carceri o nei gulag sovietici… il Togliatti ministro di Grazia e Giustizia del primo go- verno De Gasperi, segretario del PCI… si rende responsabile del Decreto presidenziale di amnistia e indulto per reati comuni, politici e militari avvenuti durante il periodo dell’occupazione nazi-fascista e vara la legge il 22 giugno 1946 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale n.137 del 23 giugno 1946). La ghigliottina degli innocenti, direbbe ironicamente Guido Ceronetti, non decapiterà mai più i colpevoli. Quando Pinocchio chiede al giudice (a memoria): “Ma io non esco per l’amnistia?”. Il giudice risponde: “No, perché te non sei un delinquente”! e Pinocchio: “Ma allora sono un delinquente anch’io!”. Si vede che Togliatti non aveva letto Pinocchio o non l’aveva certo compreso nel senso libertario che contiene.

E poi il buon Benedetto Croce, Guido Calogero, Luigi Einaudi non fecero una bella figura nei confronti del fascismo… prima una certa adesione, poi una qualche riottosità di fronte alla volgarità culturale del fascismo… invece il drammaturgo Luigi Pirandello (Premio Nobel per la letteratura 1934) è stato subito sensibile al fascino delle camicie nere… nel 1924 scrive a Mussolini: « Eccellenza, sento che questo è per me il momento più proprio di dichiarare una fede nutrita e servita sempre in silenzio. Se l’E.V. mi stima degno di entrare nel Partito Nazionale Fascista, pregerò come massimo onore tenermi il posto del più umile e obbediente gregario. Con devozione intera».

Il telegramma di Pirandello a Mussolini arriva il 17 settembre 1924, dopo il ritrovamento del corpo di Giacomo Matteotti (16 agosto 1924), ammazzato dai sicari del dittatore… naturalmente fu un brigadiere dei carabinieri (Ovidio Caratelli) ben informato dall’OVRA (la polizia segreta di Mussolini), mentre portava a passeggio il cane, a trovarne le spoglie sotto un velo di fango… una bella scelta di tempo per Pirandello… in fondo aderire alla dittatura fascista  non era poi così infame… bastava non presagire le atrocità inflitte ai partigiani dai nazi-fascisti di lì a poco! Legare il proprio nome a una banda di citrulli col coltello tra i denti, l’olio di ricino e il manganello… è come fare qualcosa di terribile, ma non sapere cosa! Mentre Pirandello cercava la comunicabilità dell’Io col mondo in teatro, non si accorgeva che i fascisti erano dei malati di mente presi sul serio… la mediocrità fuoriesce dall’eccesso e le grida, e muore nel proprio letame!” — .

Silenzio… poi… — “Lei”, dice il sociologo, “non ha la minima capacità di comprendere la storia… è da irresponsabili parlare così… ci sono stati uomini che hanno combattuto contro i regimi oscurantisti, non sa?”… preti, carabinieri, gente comune in fede con Dio che hanno sacrificato la loro vita per la famiglia, dio e lo stato, proprio non lo sa questo? Ma lei è proprio uno scemo, un ignorante, un folle dissacratore senza proseliti”.

Caro signore — “Ciò che dice è giusto… mi sono sempre trovato bene con gli illetterati, i folli, e i fuoriusciti… ribelli a tutto… molti dei quali sono morti perché gente come lei possa parlare della Shoah senza che nessuno li bruci in un formo crematorio… proprio per questo non si deve fare della sociocrazia sulla sofferenza… ieri gli ebrei, oggi i migranti, domani i negri… poi gli omosessuali, i rom, gli improduttivi, i colonizzati, gli impoveriti… e tutto perché una minoranza di arricchiti determina le sorti del mondo”, dico, malamente —.

  • —“Lei è pazzo, credevo fosse diverso…non si può parlare con lei!”, e alza la voce—.
  • —“Ha ragione, non parlo veramente mai con nessuno, solo con i gatti in amore sui tetti e mi danno ragione!…che il cielo sia con lei e Dio lasciamolo ai passeri!”—.

Non mi dà nemmeno un arrivederci! Ma è da scostumati, penso. Vaff’anculo… mi accendo un sigaro e torno a parlare con Jean Gabin, Erich von Stroheim, Dita Parlo e cantare la La Marsigliese con uomini vestiti da donne… la differenza tra intelligenza è stupidità sta nel modo di maneggiare la grammatica, anche quella del sampietrino, e non impiccarsi negli aggettivi! Poiché il loro uso uniforme costituisce la miseria del pensare. (continua)

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