“Nell’amore come nella bellezza, ogni vero sguardo è uno sguardo incrociato…
tra colui che guarda e colui che è guardato… Uno sguardo privo
di relazioni difficilmente ha acceso la bellezza.
Gli sguardi incrociati sono gli unici in grado di far scaturire la scintilla che illumina…
i soli a permettere alla luce divina di giungere a rivelazione.
Ma in un’autentica esperienza d’amore e di bellezza”.
François Cheng
I. Bisogna amarla molto la fotografia, per volerla distruggere!
Sulle fiumane della fotografia in mostra di un celebrato colorista (ma questo vale per la maggior parte della fotografia confessata sul sagrato dell’arte mercatale), mi sono seduto e ho riso con l’amarezza visionaria di Don Chisciotte… il nobile hidalgo che con lo scudiero Sancio Panza, il cavallo Ronzinante e la sognata dama alla quale dedica le sue battaglie perdute, Dulcinea… combatte avversari immaginari trasfigurati in re, stallieri, burattini, maghi, demoni… ma bene sa di non confondere i giganti con i mulini a vento e anche se sconfitto sempre è vinto mai.
L’Apocalisse si adatta a meraviglia a quest’epoca neoliberista, colonialista, guerrafondaia — avrà pensato il cavaliere errante dell’utopia ogni volta che veniva bastonato! —… per manifestarsi la libertà esige l’amore dell’uomo per l’uomo, perché il vero uccide la vita che solo l’amore rende possibile! Non c’è più nessuno oggi che lavori con l’aiuto di utensili appropriati (financo con l’azione diretta o propaganda del fatto) all’instaurazione dell’armonia cosmica… l’idea degli anarchici di annientare qualsiasi autorità e vergogna istituzionale (idolatrica o religiosa) resta una tra le più belle e autentiche che mai siano state concepite.
Non basta ridare la cicuta a Socrate per inadempienza contro la filosofia della beatitudine accademica, dottrinaria o mitologica… occorre anche praticare una filosofia dell’insorgenza per impedire che un manipolo di arricchiti possa continuare a distruggere il pianeta blu e sfruttare, violentare, massacrare i popoli impoveriti… cercare d’interdire la caricatura di una cultura scientifica/ideologica/ecologica che — lontano dal formare la coscienza del contraccolpo — si attesta nella spettacolarità e nello smarrimento generale… più ancora, va a ledere (quando non ad infrangere) le possibilità di rovesciare un mondo rovesciato. Non si tratta di abolire la connessione dei partiti, dei governi, dei saperi con le mafie finanziarie internazionali soltanto… ma d’adoperarsi con ogni attrezzo necessario alla loro dissoluzione… il dominio dell’uomo sull’uomo sparirà il giorno in cui gli idoli saranno infranti e la bellezza, l’amore, la verità… diventeranno i soli riferimenti etici ed estetici del bene comune. “Soltanto lì dove il dialogo si è armato per far vincere le proprie convinzioni” (Guy Debord), l’oppressione degli apparati economici, burocratici, militari e polizieschi sarà spazzata via, e soltanto su queste rovine potrà nascere l’aurora di una “vivenza” più giusta e più umana.
La fotografia, va detto, è una sommatoria della spettacolarizzazione del mondo… i fotografi (presi nel mazzo, s’intende), sono una sorta di ebeti senza innocenza né tenerezza… sguazzano nel confortorio dell’inettitudine e si danno convegno nelle latrine del falso, dell’ingiusto e del tradimento mercatale… si farebbero fottere le loro donne, ucciderebbero la loro madre e si mangerebbero i loro figli per un premio internazionale, un riconoscimento museale o un articolo sulle riviste specializzate o nei giornali della sera… fotografare la miseria senza averla mai conosciuta è un’impostura da impiccagione immediata! I fotografi sono più falsi degli aruspici che per tutta la durata dell’Impero Romano propinavano la loro arte divinatoria alle folle… consisteva nell’esame delle viscere (soprattutto fegato e intestino) di animali sacrifi ti per esortare il popolo a norme di condotta… e “quando Catone il vecchio diceva che due aruspici non potevano guardarsi onestamente in faccia senza scoppiare a ridere” (E.M. Cioran), io ci credo… è quanto succede nelle conventicole dei fotografi dello spettacolare integrato… ma questi non ridono mai, si prendono davvero sul serio… parlano della loro arte come dimensione formale della conoscenza e nel palcoscenico dei salotti eccellono nel culto dell’ornamento… poiché tutta la fotografia (o quasi) si mantiene nel limiti delle forme concordate e dell’inganno universale.
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Pino Bertelli è nato in una città-fabbrica della Toscana, tra Il mio corpo ti scalderà e Roma città aperta. Dottore in niente, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema e fotografia. I suoi lavori sono affabulati su tematiche della diversità, dell’emarginazione, dell’accoglienza, della migrazione, della libertà, dell’amore dell’uomo per l’uomo come utopia possibile. È uno dei punti centrali della critica radicale neo-situazionista italiana.
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