Nel salotto degli zii c’era un mobiletto aperto. Dentro c’erano libri di enciclopedia e un atlante usato che portava già i segni del tempo. Era piccolo e blu e dentro le mappe non erano dettagliate come nei libri di oggi. Ci volevano alcune regole per potersi orientare, ma non erano necessarie ad un bambino per poter viaggiare per ore in quei luoghi dalle 14 alle 18.
Dentro c’era un segnalibro sbiadito con disegnata una bussola che puntava verso nord. Quell’atlante l’ho sfogliato fino a consumarlo e così ho cominciato a viaggiare molto prima di esserne davvero in grado.
Finalmente è arrivata l’ora X. Sto chiudendo le borse con dentro una serie di indumenti poco ragionati a dir la verità. Poi ci penserò strada facendo, ora non ci voglio pensare. Quello che non manca è la voglia di levare l’ancora e salpare, come direbbe il mio amico Cometti: “di navigare a vista!
Arriva davvero l’ora X. La bicicletta è sul furgone di Mattia in coda a Ceriale. Cambiamo idea un paio di volte sul luogo da cui effettuare la partenza e perdiamo un pò di tempo nell’ultimare l’assetto del mezzo. E’ tardi e bisogna darsi una mossa!
La prima tappa non la sento così entusiasmante. La dimensione del viaggio per me è lo stimolo che induce alla riflessione, ed essendo l’obbiettivo lontano non è facile concentrami su strade che conosco bene e ho percorso svariate volte, con ogni mezzo.
La prima tappa è Genova e ci sarà solo fatica. Il caldo è massacrante ma l’entusiasmo di arrivare al più presto in territori sconosciuti prevale sulla gamba, che avrebbe bisogno di un pò più di allenamento. Sono sui pedali e sudo, tanto! La fatica è davvero sfiancante, e non ho ancora un posto dove passare la notte. Anche a questo ci penserò strada facendo.
In tasca ho un cannocchiale, il bello e che ce l’ho e basta, non lo uso mai. Una volta ci ho guardato dentro ma le immagini erano capovolte e ho ho perso l’orientamento. Guardare lontano non è proprio affar mio. Lascio perdere e mi abbandono ai pensieri.
Mentre pedalo non mi guardo intorno. La Liguria è la mia terra ed è un paradiso terrestre che conosco bene. Tiro dritto e penso ai motivi che mi spingono e ai svariati perché della mia inquietudine innata.
Chi viaggia lentamente vive momenti di estraneità che portano ad una momentanea perdita dell’identità. E perdersi è bellissimo. In 40 anni mi sono perso un centinaio di volte. Ogni volta che parto non torno più. Mai più! Ad ogni ritorno la mia vita è cambiata per sempre. Mi cerco ma non mi trovo, è come se morissi per poi rinascere. Ciò ovviamente provoca sofferenza, che a volte cerco di lenire in modo poco convenzionale, è un lutto interiore lento, con decorsi irregolari che prende direzioni imprevedibili.
Gli stili di vita e i modelli comportamentali lungo la strada cambiano rapidamente provocando un momento di smarrimento immediato. Osservando questo mutamento continuo si possono scoprire degli elementi costanti che ci rendono umani in modo concreto, e visivamente si notano alcune forme che sono universali.
Viaggiare significa perdere i punti di riferimento, uscire dal tempo e dallo spazio, vuol dire saper rinunciare, non accumulare…Esiste un’economia delle esperienze, una via che s’impara a percorrere perdendosi in viaggio. Il viaggio, quindi, genera un bisogno di mutamento, produce dei cambiamenti sulla concezione dell’io, fa riflettere sui rapporti umani, e con la natura. Il viaggio è un senso di stupore continuo. Sono appena partito e penso già a cose di questo genere, spero che all’arrivo la mia testa si sia completamente svuotata, e all’interno ci sia solo l’essenziale per guardare la meraviglia. Mentre pedalo il paesaggio ligure scorre ai margini e i pochi incontri durante i rari “stop” aumentano l’entusiasmo e la voglia di perdermi completamente. Vicino alla meta comincia a piovere; così in una giornata trovo, caldo umido, caldo secco e pioggia, giusto per non farmi mancare nulla. I chilometri non sono molti, circa un centinaio, arrivo in Scuderia alle 18, mi siedo e aspetto Omar. Per dormire? Poi si vedrà. Dopo la seconda birra arriva anche la terza, e con quella anche Omar, che si propone di ospitarmi in casa. E’ un segnale! Entusiasmo e ottimismo!!! Il primo giorno si conclude senza stanchezza, con la testa appesantita dalla birra e dai pensieri che sono un macigno più importante delle borse montate sulla bici. Strada facendo mi libererò di molti sassi, sperando di alleggerire la mia anima, di abbattere i filtri che nascondono una bellezza che non si può spiegare ma che rincorro da sempre.
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Vivo in un piccolo paesino della Liguria, in riva al mare, dove sono tornato dopo aver studiato archeologia, arte e fotografia a Genova, Roma e Milano. Da un decennio sono impegnato in progetti a lungo termine con finalità sociali e di approfondimento in est Europa, Asia e nell’area del Mediterraneo. Utilizzo la fotografia come strumento d’indagine nello studio di ciò che mi interessa e quel che mi circonda. Sono da sempre un sostenitore dell’originalità, riversata nel linguaggio contemporaneo che cerco nella mia scrittura, nelle immagini e nella vita. Sostengo l’editoria indipendente e amo il libro in tutto le sue sfaccettature.
Dopo alcuni corsi di tecnica fotografica a Genova durante gli anni dell’Università decido di approfondire le mie conoscenze sul linguaggio e mi trasferisco a Milano dove frequento l’accademia John Kaverdash. Successivamente, sempre a Milano, partecipo alla Bauer dove svolgo un Master in ritratto fotografico e un Master per Photo Editor, per poi passare all’academy dell’agenzia LUZ.
Infine mi accosto a Door a Roma, frequentando dapprima un Master internazionale sul libro fotografico e svariati workshop con autori internazionali, diventandone membro nel 2019.
Sempre nel 2019 svolgo un Master per curatela museale on line presso Artedata.
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