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Road to Nordkapp – Diciannovesima tappa: Zibberick

di Emanuele Mei

“Cantavano le allodole e i cardellini, e la tortora gemeva, e le api d’oro volavano intorno alle fontane. Tutto profumava dell’opulenta estate e dei suoi frutti. Ai nostri piedi rotolavano le pere, al nostro fianco mele in grandi quantità; e fino a terra si curvavano i rami carichi di prugne.”  (Teocrito)

Il lunedì è puntuale come gli tutti gli altri giorni, ma qui ha l’aria pungente delle cose a cui non sei abituato. Ritiro la tenda con gli occhi ancora gonfi facendo mentalmente l’elenco di ciò che mi servirà in Svezia per campeggiare. La Germania è un luogo in cui è semplice recuperare un errore o una mancanza dovuta all’inesperienza, la Svezia non ti perdona allo stesso modo. 

Riprendo la mia strada cercando un supermarket, poi mi dirigo dritto verso Magdeburgo. Al nord le distanze si dilatano, alcuni piccoli paesi senza servizi s’incontrano solamente ogni 20 km. Il risultato è che per sopravvivere al nord ti devi organizzare. Attraverso lentamente immense distese di campi coltivati, i contadini alzano enormi nuvole di polvere con i loro trattori. A lato della strada mi accompagnano piccoli meli selvatici, le gemme sono cariche di frutti acerbi. Le chiome sono a forma di globo, le foglie di color verde scuro e di forma ovale, con il margine seghettato. 

Raccolgo un paio di mele, ma il picciolo è già robusto e faccio fatica a staccarle dal ramo. La buccia è ancora sottile, la polpa è farinosa e il sapore è molto acidulo.

A Schönebeck la mia strada s’incrocia con l’Elba, lo seguo fino a Magdeburgo. Le periferia della città è tipica della Germania dell’est. Le case occupate, sono decorate con graffiti e stonano con l’idea della assoluta precisione ed efficienza collettiva tedesca. Queste abitazioni sono il retaggio della liberalizzazione dalla stretta sovietica e resistono in queste zone della Germania, nonostante oggi siano cambiate le opportunità. Occupare esplicitamente è diventata una una forma di azione anti capitalista, intesa come “demercificazione” abitativa e non semplicemente un’alternativa all’alienazione del mondo moderno. Questi luoghi occupati, in alcuni casi sono utilizzati come atelier, spesso chiusi agli estranei.

Magdeburgo è un luogo importante per la storia, un po’ meno per l’attualità. Fa parte degli innumerevoli insediamenti urbani, diventati periferia. Il centro è un misto di architettura medievale, sovietica e moderna. Edifici dalle forme non convenzionali, pareti rosa decorate con piastrelle multicolori e ampie arcate, grandi quantità di alberi e piante in giardini interni e sui tetti. Insomma, una stratigrafia di stili male assortita che caratterizzano la città, dovuta al fatto che la costruzione e la ricostruzione dopo i bombardamenti avvenuti nel ’45, sono state effettuate nello stesso momento e messe sullo stesso piano.

Dopo essermi guardato intorno e aver bevuto la mia pils, riprendo a pedalare. Anche oggi non ho le idee chiare su dove fermarmi. Sto attraversando una zona costosa e a tratti isolata. Credo che campeggerò anche oggi. Prendo uno strada sterrata e la percorro senza alcuna esitazione. Il vento si alza e mi parla con raffiche decise, rompendo un silenzio mai monotono, una calma che è sinonimo di felicità. Il paesaggio invita il mio sguardo ad un incontro “sacro”, nello spazio in cui colloco i miei sogni. 

Decido di fermarmi a Zibberick, una località molto piccola sulla strada per Wittemberge. Mi accampo sulle sponde di un lago senza timore. Ormai ho superato la linea di Teuteburgo da un po’ e nessuno si è ancora presentato chiedendomi le insegne.

Il vento si placa, lo sguardo cerca altrove, spostandosi ai margini del mio campo visivo. Scatto alcune foto d’istinto fondendomi con il paesaggio e rompendo ogni regola della composizione. La conoscenza delle leggi della realizzazione non deve essere una schiavitù, al contrario una liberazione dall’incertezza.

Il lago chiama la mia coscienza, il sole non vuole cedere le ombre alla notte che sopraggiunge lentamente dopo una festa di colori.

I raggi del sole sono in declino, come l’archetto che si piega nello sfiorare le diverse corde di un violino.

Nessuno può prevedere la forma che adotterà il sorgere della notte. Attraverso un sotterfugio incomprensibile, i colori mutano nei propri complementari. I raggi di luce orizzontali illuminano solo il lato delle piccole onde formate dal fievole vento rimasto. Ogni trasparenza è scomparsa. Sull’acqua le ombre sembrano una scultura di metallo.

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