Ci muoviamo da soli ed in mezzo agli altri a volte avendo paura di perdere la nostra intimità. Questa paura è qualcosa di molto subdolo e prepotente che influenza spesso le nostra vita affettiva e relazionale. Nasce dalla mancata presenza di amore e dall’imposizione di schemi che si ripetono sempre uguali per proteggerci dalla novità.
L’incapacità di mostrare empatia e comprensione per l’altro, la tendenza a voler avere ragione anziché comprendere un altro punto di vista, vivere l’immobilità all’interno di una relazione, di coppia, genitoriale o sociale, ci costringe a rapporti sterili, anestetizzati. Abbiamo paura di scoprirci diversi e per questo vulnerabili, esposti al giudizio e per questo ci distanziamo, mettiamo una cornice al quadro che rappresentiamo.
La rivoluzione dei comportamenti
Il cambiamento causato della pandemia va al di là del semplice rinchiudersi in casa ed isolarsi. E’ qualcosa di più radicale che segna, ancora una volta, questo tempo. Le leggi cambiano in funzione del contagio e la paura aumenta in virtù delle privazioni che siamo stati costretti a subire. E’ cambiato lo stato di diritto e al contempo sono cambiate le strategie per l’attuazione della legge d’emergenza totale. Cambia la socialità, cambia l’economia, cambiano le prospettive e cambia l’essere umano. In molti e molte si sono posti la lecita domanda se questi cambiamenti sono temporanei o definitivi. L’esercizio continuo del terrore da parte del potere costituito e, dall’altra parte, il ripetersi delle rassicurazioni che di volta in volta prendono la forma di una canzone collettiva o di uno striscione in cui si afferma la prossimità dell’uscita dal modello crisi sanitaria, oggi, all’inizio della fase due, viene disintegrato dalla necessità di una rapida ripresa economica del paese.
Le cornici del corpo umano sono state sbriciolate ed affidate alle ben più agili mascherine. I guanti, invece, hanno già preso il largo e, in mare, fanno da esca per delfini, tartarughe e cetacei di ogni tipo. Il corpo prende di nuovo il sopravvento e, complice una estate sempre più calda, si espone senza limitazioni al contagio non del Covid ma del capitale al cui altare dobbiamo ancora una volta sacrificarlo. Non si parla più dei corpi morti, quelli sono stati caricati sui camion e seppelliti senza il pianto di una madre e coricati in cornici accanto ad altre cornici di sconosciuti e sconosciute. Tutti insieme seppelliti in fosse comuni come succedeva nelle guerre delle bombe, delle fucilazioni arbitrarie, dei rastrellamenti. Il paragone con la guerra convenzionale, con l’economia di guerra ha avuto il suo risultato. Sono stati utilizzati gli stessi pezzi sulla scacchiera del terrore. Abbiamo avuto gli eroi, le vittime, l’esercito liberatore ed ora ci danno in pasto ad una ripresa economica, necessaria e sperata. La fame nei quartieri delle grandi città è già avanti da un pezzo e il pane più gustoso, quello, lo distribuisce non lo stato ma il crimine organizzato.
La fase due, tre, quattro e così via
Fra qualche giorno il paese si muoverà tirandosi dietro il peggio e il meno peggio di questa prima fase di emergenza. Riprenderà a giocare la squadra del cuore e ci daranno il bonus vacanze da andare a spendere nelle regioni in cui solitamente passiamo le vacanze estive. Ma quelle destinazioni agognate sono supportate da strutture sanitarie sane? Ha ancora importanza domandarselo visto che avremo a nostra disposizione 20 mq a testa sulla spiaggia? Saremo distanti dal nostro vicino di ombrellone 5 metri ma mio “cugino“, in fabbrica, è distante dal suo compagno di lavoro solo un metro. Ci sarà un motivo per questa differenza di distanziamento?
La regione delle barche, dei funghi e dei santi
In Calabria i dati della sanità sono disastrosi. Pochissimi tamponi processati, alcuni li hanno lasciati nel freezer, scarsi i posti in terapia intensiva, solo 14 Usca attive sulle 35 necessarie. In tutto questo, una governatrice creativa pensa ai bar, alle seconde case, alle barche da rimettere a posto e alle passeggiate nei boschi per raccogliere funghi. Antonio Belcastro, direttore generale della Sanità calabrese, ha rilasciato una dichiarazione al Corriere della Sera nella quale si legge che le terapie intensive in Calabria da 105, prima della pandemia, al 29 aprile 2020 sono 156 e che «entro maggio-giugno i posti intensivi diventeranno 213», uno ogni 13.000 abitanti e, forse, da giugno uno ogni 10.000 abitanti. La media nazionale attuale è di uno ogni 6.000 abitanti. Sempre la governatrice in una delle sue tante uscite sulle reti Mediaset proclama la sua impossibilità a rendere obbligatorie le mascherine perché le casse regionali non se lo possono permettere. I medici sul territorio minacciano scioperi che logicamente non faranno perché dotati di alto senso civico e deontologico e nulla si sa dei tanti ospedali Covid dedicati che la presidenza ed i suoi sottoposti in odore di santità proclamarono settimane fa. Chiaramente in condizioni del genere diventa difficile pensare che l’art. 32 della Costituzione italiana possa essere rispettato.
Le politiche dell’emergenza
Tutte le politiche dell’emergenza, da quella del terrorismo a quella dei conti pubblici, e tutte le altre politiche emergenziali che abbiamo conosciuto non sono mai narrazioni semplici e circostanziate. Una volta attivate entrano nella struttura della società, ne fanno così parte che diventano funzionali al sistema e la retorica dell’emergenza diventa normalità al punto da poter affermare che le emergenze non sono mai alle nostre spalle ma sulle nostre spalle. In virtù di questi stati eccezionali di stress sociale dovuti alle innegabili negatività della pandemia le restrizioni rischiano di diventare norma. Sventolando il vessillo della sicurezza si avvallano comportamenti non del tutto legali.
Non siamo tutti sulla stessa barca
In tutto questo si rafforza il capitale. Fa affari d’oro. Se infatti siamo tutti d’accordo che questa è l’emergenza più impattante e pervasiva a livello planetario, saremo anche d’accordo a credere che questa è una fase di sperimentazione di nuove modalità. Basti pensare alle didattiche on-line e al guadagno che ne ricavano le major del digitale. E ancora sperimentazioni attraverso le deroghe sul diritto del lavoro, le deroghe ambientali, che verranno chieste e ottenute grazie all’emergenza, in nome di una necessaria ripresa. Il tutto senza una benché minima opposizione oramai tacciata di essere veicolo di contagio assoluto. Basta pensare al 25 aprile di Milano. Grazie al virus il capitale corre a riprendersi con gli interessi quello che ha perso durante la chiusura. Ma lungi dal dare una spiegazione complottista, la reazione è quella che solo può avere il sistema capitalistico: agisce secondo quello che è il momento facendo leva sull’inaspettato, sull’incontrollabile che è avvenuto. Speculazioni, acquisizioni veloci di parte del territorio e dei beni di prima necessità in tempi di pandemie.
Prendere le distanze è giusto
Allora io vorrei riavere la mia cornice che mi distanzi da tutto ciò. Vorrei rivendicare le distanze da chi si accanisce sul corpo e sull’anima di quella donna vestita di verde che è scesa dal Falcon dei servizi segreti. Vorrei prendere le distanze da chi ha giurato che l’intervento preventivo nei confronti dei nove del Tribolo di Bologna o degli altri che nei quartieri difficili come la Bolognina, la Sanità o Brancaccio sia legittimo perché nel nostro paese, oggi, c’è un forte rischio di derive terroristiche. Credo che uno stato che non garantisce la salute dei propri cittadini è esso stesso responsabile di una condizione generale di disagio in cui sarebbe legittimo dissentire ma che di fatto è impossibile esprimere perché l’emergenza sanitaria ce lo impedisce? Voglio essere l’asino che vola, nonostante tutto.
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Oreste Montebello
Provo a raccontare con la fotografia tutto quello che ho sentito, quello che ho letto e quello che hanno raccontato a pochi e che pochi hanno visto.
Mi piace raccontare storie quotidiane di uomini e donne che vogliono farsi conoscere per quelli che sono realmente, nelle loro case, con i propri figli, sul posto di lavoro. Fotografo in modo discreto cercando di trasmettere con i miei lavori le sensazioni del momento in cui decido di spingere quel bottoncino cromato, il resto si compone naturalmente davanti ai miei vetri grazie ad un rapporto che cerco di tessere con le persone e con la scena fino al punto di far parte di essa senza che io stesso diventi elemento di disturbo.
Sono nato a Soverato il 9 novembre del 1965 e ho vissuto prima a Roma e poi in giro per l’Europa. Ho fotografato le grandi realtà metropolitane di Roma, Milano, Parigi, Barcellona, Madrid, Cádiz, Vienna. Ho testimoniato gli sfaceli dei nazionalismi nell’area balcanica a cavallo fra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta. Ho fotografato il cinema, il teatro e la musica underground della scena romana. Le lotte sindacali e studentesche che hanno attraversato il nostro paese dal 1981 fino agli anni della Pantera. I delitti della Roma Capitale: dal caso del Canaro della Magliana al giallo di Via Poma con l’assassinio di Simonetta Cesaroni. Il ferimento di Marta Russo alla Sapienza e la successiva vicenda giudiziale incentrata sulle contorte personalità di Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. Ancora la cronaca quotidiana e le cronache rosa del mondo televisivo con inseguimenti ed appostamenti a questa o quell’altra diva del momento. Insomma posso dire di aver dato il mio contributo al fotogiornalismo nazionale con storie belle e meno belle. Negli anni in cui ho svolto la mia attività di fotogiornalista ho appreso molto dai colleghi che incontravo per strada sui casi più disparati ma anche nelle agenzie, fucina di grandi talenti fotografici e giornalistici.
Ho lavorato per:
La Repubblica, Il Messaggero, Il Tempo, Il Venerdì della Repubblica, Corriere della Sera Sette, Panorama, Espresso, Liberation, El Pais.
Per le agenzie foto giornalistiche:
La Presse, Masterfoto, DuFoto, Reporter Associati, F3Press, Sigma, De Bellis e tante altre agenzie non degne di menzione…
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