Il movente per chi sceglie la macchina fotografica come strumento di comunicazione è personale, intimo e diverso.
Molti di noi fotografano per non parlare, altri per non dimenticare e per non farsi dimenticare e molti altri ancora perché non ne possono fare a meno. Solitamente, volendo rappresentare con la fotografia un evento che ha radici antiche e sinceramente sentite, si corre il rischio di eseguire in modo pedante l’evento tralasciando i momenti intimi della stessa rappresentazione.
Approdare ad un evento storicizzato come la Naca di Davoli senza coglierne gli aspetti più intimi trasforma l’azione fotografica in una banale raccolta di immagini da far tracimare sui social e niente più altro.
La Naca a Matera è stata la sintesi di una relazione stabilita negli ultimi anni con i gruppi che si incontrano, socializzano, organizzano e lavorano per la buona riuscita di questo evento religioso che culmina con la Passione e Crocifissione di Cristo. La morte dell’umano divino e l’albero punteggiato dai lampioni è l’essenza stessa della comunità.
I fotografi e le fotografe hanno potuto rappresentare così intimamente le vicende della rappresentazione grazie ad una costante e continua relazioni con la comunità davolese.
Sembra quasi che negli anni di lavoro si sia reso possibile quello che Susan Sontag diceva dei soggetti fotografati, – La fotografia è un’arte elegiaca (…) Quasi tutti i suoi soggetti, per il solo fatto di essere fotografati, sono tinti di pathos –
Ogni scatto di questo progetto ideato da Davolivillage ha in sé una relazione intima ed evidente del rapporto che nel tempo si è creato con i protagonisti della Naca.
Le fotografie fatte ai portatori degli abeti, alle ragazze della casa dei lampioni, ai giocatori di morra, ai suonatori di chitarra battente sono momenti di vera intimità comunitaria. Le immagini sono potenti e sospese in una dimensione irreale. Raccontano non solo l’evento ma raccontano storie familiari che proseguono da padre in figlio.
I simboli
L’albero simboleggia il rapporto fra Terra e Cielo, tra mondo visibile e quello invisibile, estremo tentativo umano di elevarsi al livello spirituale. L’abete che viene posto al centro della manifestazione del Venerdì Santo di Davoli, con il suo manto sempre verde e con l’inattaccabilità delle radici, è simbolo di immortalità presente in molte religioni e culture.
A Davoli, prima dell’abete, erano le fiaccole ricavate dall’essiccamento del tasso barbasso o come anche viene chiamata Candela del re. Infatti, in molte culture questa pianta, molto comune nel territorio davolese, ha avuto grande impiego nella vita quotidiana. Torcia per chi lavorava nei boschi, rimedio naturale per alleviare la fatica del cammino se messa nelle scarpe e poi ancora erba medica nelle comunità rurali. Foglie, radici e fiori usate per curare la fatica e i malanni.
Con l’arrivo dell’aspirina e dei mezzi di locomozione più avanzati il tasso barbasso rimane nella memoria della Naca davolese e al suo posto arriva l’abete, rigorosamente prelevato da vivai autorizzati dal Corpo Forestale dello Stato ed adornato dai lampioni preparati da un gruppo di lavoro.
Hanno ha un affiatamento unico nell’allestire le lanterne che andranno ad illuminare la notte più lunga e drammatica per la cristianità tutta. Ognuno ha un compito e insieme, fra racconti, canti e suonate, lanterna dopo lanterna il giorno della passone arriva.
La Pandemia
“ La mente dell’artista non ha problemi di restrizioni o di zone colorate. Si pone sempre in modo trasversale e attua quella che io chiamo: una visione dall’alto. Da questa visione nasce l’idea dell’installazione “La Naca di Davoli 2021, al tempo del COVID”.
Purtroppo a causa della pandemia, per il secondo anno consecutivo, non potrà svolgersi” (Lorena Pallotta)
Ed allora l’artista, gli artisti, in questo momento di estrema incertezza, in cui i particolari della creazione si dissolvono sui social decidono spesso di cancellare, o posticipare mostre e performance in attesa che l’emergenza finisca o almeno la situazione migliori.
Alcuni di essi però non ce la fanno ad aspettare e si creano gli spazi giusti per la realizzazione di istallazione che possano permettere loro di esprimersi garantendo quella sicurezza necessaria visto i tempi.
Non possiamo avere il controllo delle cose che accadranno in futuro, ma dobbiamo resistere e pensare, produrre ed emozionare. Perché l’arte ispira, motiva e sfida.
Dai tempi difficili si può trarre ispirazione come fu per i grandi dell’arte.
Pablo Picasso con il suo periodo blu dipinse grandi tele utilizzando diverse tonalità di blu per riflettere la sua tristezza. Frida Kahlo che attraverso il suo dolore regalò all’umanità opere tristi ma bellissime come The Wounded Deer. Il positivo esce sempre anche in un periodo tetro come la pandemia.
La tradizione e l’arte si è espressa nel 2021 anche con la realizzazione di questa istallazione artistica ispirata alla Naca Davoli che grazie al brand territoriale Davolivillage ha preso nuova forma e nuova forza.
Video dell’istallazione a cura di Ernesto Sestito:
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Oreste Montebello
Provo a raccontare con la fotografia tutto quello che ho sentito, quello che ho letto e quello che hanno raccontato a pochi e che pochi hanno visto.
Mi piace raccontare storie quotidiane di uomini e donne che vogliono farsi conoscere per quelli che sono realmente, nelle loro case, con i propri figli, sul posto di lavoro. Fotografo in modo discreto cercando di trasmettere con i miei lavori le sensazioni del momento in cui decido di spingere quel bottoncino cromato, il resto si compone naturalmente davanti ai miei vetri grazie ad un rapporto che cerco di tessere con le persone e con la scena fino al punto di far parte di essa senza che io stesso diventi elemento di disturbo.
Sono nato a Soverato il 9 novembre del 1965 e ho vissuto prima a Roma e poi in giro per l’Europa. Ho fotografato le grandi realtà metropolitane di Roma, Milano, Parigi, Barcellona, Madrid, Cádiz, Vienna. Ho testimoniato gli sfaceli dei nazionalismi nell’area balcanica a cavallo fra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta. Ho fotografato il cinema, il teatro e la musica underground della scena romana. Le lotte sindacali e studentesche che hanno attraversato il nostro paese dal 1981 fino agli anni della Pantera. I delitti della Roma Capitale: dal caso del Canaro della Magliana al giallo di Via Poma con l’assassinio di Simonetta Cesaroni. Il ferimento di Marta Russo alla Sapienza e la successiva vicenda giudiziale incentrata sulle contorte personalità di Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. Ancora la cronaca quotidiana e le cronache rosa del mondo televisivo con inseguimenti ed appostamenti a questa o quell’altra diva del momento. Insomma posso dire di aver dato il mio contributo al fotogiornalismo nazionale con storie belle e meno belle. Negli anni in cui ho svolto la mia attività di fotogiornalista ho appreso molto dai colleghi che incontravo per strada sui casi più disparati ma anche nelle agenzie, fucina di grandi talenti fotografici e giornalistici.
Ho lavorato per:
La Repubblica, Il Messaggero, Il Tempo, Il Venerdì della Repubblica, Corriere della Sera Sette, Panorama, Espresso, Liberation, El Pais.
Per le agenzie foto giornalistiche:
La Presse, Masterfoto, DuFoto, Reporter Associati, F3Press, Sigma, De Bellis e tante altre agenzie non degne di menzione…
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