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Penetrare il velo dell’invisibile. La fotografia di denuncia di Eustaquio Neves

di Ljdia Musso

Non c’è niente di più invisibile di ciò che non si vuole vedere.

Eppure proprio quello che viene coperto, nascosto sotto il velo della quotidianità, del tempo che scorre, affascina, esercita un richiamo.

Le radici sono importanti per ogni individuo, che ci piaccia o meno, perché formano parte di chi siamo. Tempo e memoria, identità e resistenza sono alla base dei lavori di Eustaquio Neves in questi giorni in esposizione a Catania in occasione del Med Photo Fest 2022.

All’interno della mostra sono presenti lavori appartenenti a due serie Arturos (1993-1995) e O Encomendador de Almas (2017). La fotografia di Eustaquio Neves non è solo strumento di espressione di identità ma anche di preservazione e rigenerazione della memoria nel tempo.

Le sue immagini non si limitano ad esplorare il passato della popolazione afro brasiliana ma stabiliscono un nesso con il presente e con le generazioni future. Fondamentale per il suo lavoro l’utilizzo della fotografia analogica e le conoscenze chimiche per la stratificazione di materiali e immagini.

“Ho iniziato a fotografare per hobby circa 45 anni fa, quando ancora lavoravo come chimico industriale.” Chimico di formazione, Eustáquio Neves è fotografo autodidatta e artista visivo.

Ha sviluppato attraverso la ricerca e la sperimentazione tecniche alternative e multidisciplinari di produzione di artefatti visivi.

” Dal momento in cui ho capito che poteva essere uno strumento di espressione molto particolare e autoriale, la fotografia è diventata per me uno strumento con cui posizionarmi come individuo, interrogare e denunciare. È così vedo la fotografia da sempre.”

Un lavoro duplice traspare dai lavori di Eustaquio Neves. Da un lato come un archeologo ha scavato negli strati del tempo per recuperare memorie, a volte autobiografiche, che rappresentano la storia del Brasile e il suo patrimonio. Le sue immagini lavorano su più piani spazio-temporali grazie alla sovrapposizione di strati.

I soggetti, il messaggio che ci raggiunge è un senso di identità spezzate, frammentate nel tempo e nello spazio, che si ricompongono su un piano bidimensionale. Vi troviamo espresse le storie di persone e luoghi del Brasile legati dalla discendenza afro brasiliana, in molti casi luoghi segnati dalla violenza e dall’oblio.

Foto, documenti, archivi e testimonianze confluiscono a creare un artefatto della memoria, una scatola del tempo che permette di recuperare memorie passate e rendere il mondo contemporaneo partecipe dei principi e delle tradizioni che ancora legano le comunità afro brasiliane e che trovano espressione in rituali sociali.

Altro leitmotiv è la denuncia. I suoi lavori rappresentato una sfida al sistema socioculturale gerarchico brasiliano che produce un racconto nazionale in cui le identità afro-brasiliane sono assenti.

Tutti i lavori di Eustaquio Neves denunciano le discriminazioni e le violenze perpetrate nei confronti dei brasiliani di discendenza africana, un razzismo che l’autore non esita a definire strutturale.

“Io e la maggior parte dei neri siamo venuti qui molti anni fa come popoli ridotti in schiavitù.”

“Sarebbe interessante descrivere come hai utilizzato la fotografia come strumento per analizzare la tua identità e le tue origini”

“E per immaginare come preservare una memoria sia un’identità attraverso i secoli quando lo schiavista usa tutte le strategie per cancellare la sua identità, cioè sto parlando di resistenza all’interno della diaspora.

…quello che cerco di fare è salvare con il mio lavoro ciò che siamo riusciti a preservare e trasformare delle nostre eredità ancestrali.”

I media plasmano il nostro immaginario e le immagini che circolano dall’invenzione della fotografia hanno contribuito a formare le nostre idee sul mondo, su noi stessi, sulla nostra identità come singoli individui e sulle nostre società. La fotografia e i media se usati in maniera”democratica” , dando il diritto di presa di parola a tutti, possono allora diventare strumenti per penetrare il velo dell’invisibile e per promuovere il cambiamento.

Le fotografie di Neves funzionano proprio in questa maniera, non dando rappresentazione diretta di atti di violenza e discriminazione, ma insistendo sulla rappresentazione di luoghi e figure che diventano simboli, archetipi della cultura afrobrasiliana.

È la presa di parola che viene negata dai media ufficiali.

“Pensi che la fotografia abbia cambiato il tuo modo di vedere le cose? E se sì in quale modo?”

“Non credo che la fotografia abbia cambiato il modo in cui vedo le cose, in realtà si è aggiunta come strumento attraverso cui vedo le cose.”

“Qual è stata la tua esperienza al Med Photo Fest? E che opinione hai della fotografia italiana?”

“È stata un’esperienza molto arricchente, per degli scambi che sono stati resi possibili tra gli autori e il grande pubblico. Conoscere questa parte d’Italia e in particolare la sua popolazione è stato molto significativo per me, come persona e come professionista delle arti visive.

So che la fotografia italiana ha molti autori importanti a livello mondiale, ma vorrei citare Letizia Battaglia perché è una attivista ed è anche molto interessante un’altra fotografa donna, Tina Modotti.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Ho alcuni progetti in corso: Outros Navios, una retrospettiva che coprirà i miei oltre 40 anni di attività come fotografo e che si terrà al Sesc Ipiranga a São Paulo, Brasile. Tra gli altri progetti un libro a venire.

Chiudo questa intervista/ excursus tra i lavori di Eustaquio Neves ringraziandolo per il bellissimo scambio, è stato molto interessante mettersi nei suoi panni e vedere con i suoi occhi la realtà brasiliana, sollevare insieme questo velo dell’invisibile.

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