Luigi Ghirri, pioniere e rivoluzionario dello sguardo fotografico italiano, è scomparso trent’anni fa. Su di lui sono stati spesi fiumi d’inchiostro e se ne continuerà a scrivere, non soltanto in un’ottica celebrativa e di conservazione del patrimonio culturale italiano.
“Luigi Ghirri comincia a scrivere di fotografia nel momento in cui diventa fotografo”. Così Francesco Zanot, curatore e saggista, esordisce nell’introduzione di Niente di antico sotto il sole edito da Quodlibet. L’opera di Luigi Ghirri, le sue fotografie e i suoi testi, rispondono a molteplici esigenze e domande presenti tra gli estimatori del linguaggio fotografico, che siano praticanti o meno, e sono ancora in grado di porre domande alla società di oggi.
Una società, quella in cui viviamo, apparentemente densa e piena d’informazioni, piena d’immagini spesso vuote di contenuti, stranianti e desolate come alcuni paesaggi ghirriani. I libri di Ghirri sono ottimi strumenti per riflettere sui rapporti tra linguaggi visivi e società e riscoprire il loro autore da una differente prospettiva.
Lezioni di fotografia, edito da Quodlibet è arrivato nella mia libreria in un momento di stanchezza dello sguardo, in cui sentivo l’esigenza di rinnovarmi e di trovare nuove forme per guardare alla realtà che mi circondava. Non solo, è arrivato in un momento in cui l’attenzione per l’ambiente che ci circonda ha raggiunto il suo massimo livello e si stanno cercando nuove forme di coabitazione tra esseri umani e natura.
“…io la fotografia la guardo, la osservo dal punto di vista dell’immagine.”
La fotografia di Luigi Ghirri è mediata da un’attenta analisi dei meccanismi del linguaggi visivi, la fotografia è vista come linguaggio, codice, e molte delle idee espresse nel libro mi hanno portato a definire Luigi Ghirri un semiotico istintivo. Suo il merito di aver colto la capacità delle immagini d’interagire tra loro e con i nostri universi interiori, i nostri immaginari visivi, formando dialoghi e racconti all’interno di quella che i semiotici definiscono semiosfera.
Nell’ottica di Ghirri, che si differenzia da quella barthesiana, ogni immagine non rappresenta un punto morto, fermo ma è in continuo divenire e rinnovarsi nei significati proprio grazie alle relazioni che ogni immagine intreccia con la realtà in cui si colloca.
Ghirri, una volta assodata la capacità della fotografia e dei codici visivi d’interagire con il pubblico e di modificare anche la sua percezione della realtà, non ha sviluppato una mera ricerca estetica ma ha cercato di creare una differente relazione con l’ambiente attraverso un nuovo sguardo fotografico che potremmo definire ecologico. Scrive del suo lavoro “Viaggio in Italia”, che la critica avrebbe celebrato come atto fondativo di una nuova scuola del paesaggio italiano, “Viaggio in Italia… Voleva sottolineare la necessità non tanto di riappropriarsi dell’ambiente, ma di relazionarsi di nuovo con
l’ambiente nel suo insieme.”
Luigi Ghirri sottolinea l’assenza nella rappresentazione fotografica dell’ambiente e di contro l’onnipresenza dell’essere umano in questa narrazione del mondo che finisce coll’essere profondamente autoreferenziale e indice di una scarsa volontà o capacità di relazionarsi col proprio habitat.
“La televisione al 99%, è piena di facce. Quello che abbiamo attorno non viene mai rappresentato. Questa negazione dello spazio in cui viviamo credo che sia un dato storicamente molto significativo: all’incapacità di rapportarci con lo spazio, con l’ambiente, corrisponde un’assenza di rappresentazione, e in qualche misura un atteggiamento d’incuria nei confronti delle problematiche ambientali, ecologiche.”
In lezioni di fotografia si esprime la speranza e il desiderio che la fotografia possa assumere un ruolo fondamentale nel curare il cattivo rapporto tra uomo e ambiente attraverso una nuova ecologia dello sguardo. Ci si auspica di vedere di nuovo non soltanto la bellezza del paesaggio che ci circonda ma anche altri valori in esso insiti.
“La strategia di richiamare nuovamente l’attenzione sull’ambiente nella sua complessità mi sembra, anche culturalmente, davvero importante.
Perché io credo che (è una teoria molto personale) dietro ai disastri dell’ambiente, a parte i meccanismi insiti in un determinato tipo di sviluppo, vi sia una disaffezione che l’uomo ha sviluppato nei confronti del suo ambiente.” La fotografia di paesaggio di Ghirri è riuscita ad utilizzare il linguaggio visivo per rappresentare l’ambiente e renderlo nuovamente “accessibile”. E sì perché è proprio vero che tante volte la fotografia ha questo potere, il potere di rendere evidenti le cose che magari abbiamo sotto il naso. Non solo la fotografia di Luigi Ghirri ha “curato” lo sguardo del pubblico ma anche dei
fotografi, ha influenzato generazioni di fotografi spingendoli a cambiare prospettiva, dal paesaggio al pianeta, verso una prospettiva tutta attuale e politica sull’ambiente.
Una vera e propria pietra miliare in questo senso è rappresentata dalla mostra fotografica del 1986, Traversate del deserto, luogo di incontro e dialogo tra nove fotografi e nove scrittori, il cui catalogo reca in apertura un testo di Gianni Celati, altro grande interprete della società e della cultura italiana. Ma perché in conclusione i testi di Ghirri in generale e Lezione di fotografia in particolare rappresentano ancora oggi dei testi che non possono mancare alla biblioteca di un fotografo? Perché tesi espresse da Ghirri sono ancora valide, si può ancora individuare un nesso, come suggeriva Ghirri, tra l’‘inquinamento’ visivo del paesaggio e il progredire della crisi ambientale globale.
Abbiamo bisogno di nuove forme di coesistenza con l’ambiente e la fotografia è uno strumento più potente di linguaggio visivo in grado di cambiare in primo luogo lo sguardo di chi utilizza il mezzo, laddove la fotocamera finisce per diventare una sorta di terzo occhio. Nel lungo periodo, la cultura fotografica e il mondo dell’arte, hanno fatto proprio lo sguardo ecologista ponendo al centro delle loro opere una diversa attenzione per l’ambiente e contribuendo a lanciare messaggi per un cambiamento di rotta.
Sicuramente tra le mostre mi viene in mente Planet vs Plastic di Randy Olson, National Geographic, che ho ha avuto il piacere di visitare presso il Centro Polivalente per i Giovani della mia città, Catanzaro, dove all’epoca, 2019, esponevo con il mio progetto Marginalità, ritratti d’invisibili. Sempre pensando alla riscoperta di Luigi Ghirri in un’ottica ecologista e all’importanza assunta dai temi ecologici nel mondo dell’arte, una piccola chicca che mi va di citare è l’evento Luigi Ghirri: Urban Jungles and Potted Plants dell’Istituto Italiano di Cultura di Chicago, https://youtu.be/_hgGLLqtccA evento che faceva parte della serie Voci della Natura: Ecologies and Nature in Italian Arts, in cui si esplora il rapporto tra natura e spazi urbani partendo da dei curiosi scatti di Ghirri dedicati alle piante in vaso presenti negli ambienti urbani, prova che l’attento sguardo di Ghirri è ancora fonte d’idee e spunto di riflessione.
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