Stephen Shore è uno dei grandi maestri della fotografia mondiale. Fu uno dei fotografi che prese parte al progetto “New Topographics: Photographs of a Man-Altered Landscape” che si realizzò durante gli anni settanta del secolo scorso e che ridisegnò un nuovo modo di “vedere” il paesaggio e di rappresentarlo.
“Lezione di fotografia” è stata una lettura fondamentale nel mio percorso di crescita fotografica. In questo libro si esplorano gli attributi fisici e formali per comprendere come “funzionano” le fotografie.
Per arrivare a ciò, l’autore, suddivide i livelli di un’immagine fotografica in tre piani:
- Piano materiale
- Piano descrittivo
- Piano mentale
Argomentando sul Piano materiale Shore ci dice che una fotografia <<è piatta, ha dei bordi, ed è statica; non si muove. Allo stesso tempo, anche se è piatta, non è un vero piano. La stampa possiede una dimensione materiale>>[1] . Il tipo di supporto utilizzato influenza l’aspetto finale, così come la percezione di una fotografia è differente se la stessa è realizzata in bianco e nero o a colori. Nella foto a colori aumenta la trasparenza perchè ci si sofferma meno sulla superficie, in quanto noi vediamo a colori. Se una foto è in bianco e nero sarà altresì importante apprezzarne la sua gamma tonale; il modo in cui le luci, i mezzitoni e le ombre vengono evidenziati sul supporto fotografico. Interessante la considerazione che l’autore esprime in merito al destino di una fotografia: <>[2]
Il Piano descrittivo di un’immagine è invece definito da quattro elementi: la bidimensionalità (l’immagine fotografica ha solo due dimensioni), l’inquadratura (la fotografia ha i margini, la realtà no), il tempo (influenzata dalla durata dell’esposizione e dalla staticità dell’immagine) e la messa a fuoco (generalmente parallelo al piano della foto, distingue il soggetto dal contenuto della foto). Il fotografo, di fronte a delle case, macchine, palazzi, tenterà di imporre un suo ordine scegliendo un punto di ripresa, un determinato tipo di inquadratura, un momento ben preciso in cui scatterà ed un piano di messa a fuoco. Questi quattro elementi formano << la grammatica visiva della foto e gli strumenti utilizzati dai fotografi per narrare la propria visione del mondo>> [3].
Parlando del Piano mentale l’autore ci indica che, seppur separato dagli elementi del piano descrittivo, quello mentale ricorre all’uso di alcuni elementi comuni: scegliere il punto di osservazione e di scatto; determinare il tipo di inquadratura e scegliere cosa inserire nel fotogramma e cosa escludere; cosa si vuol mettere in risalto mediante il piano focale. L’origine del piano mentale, dunque, << deriva da come il fotografo organizza mentalmente la sua immagine>> [4]. Nel fare ciò subentrano molte influenze: di natura sociale, ambientale, personale ed intuitiva. Quanto più ristrettivi saranno i condizionamenti tanto più rigido sarà il modello mentale; tanto più mutevoli ed eterogenei saranno le influenze, tanto più flessibile sarà il piano mentale del fotografo.
Ciascun piano si influenza vicendevolmente: la stampa fornisce il contesto materiale entro cui troveremo il contenuto dell’immagine; le decisioni di tipo formale sono gli strumenti che il modello mentale utilizza per creare l’immagine. <<L’immagine fotografica trasforma un pezzo di carta in un’illusione seducente o i un momento di verità e bellezza>> [5].
Bibliografia: [1,2,3,4,5] S.Shore, Lezione di fotografia, ediz. Phaidon
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Nicola Buonomo
Mi chiamo Nicola Buonomo e sono nato nel 1985. Vivo in Sicilia. Ho conseguito una laurea in medicina e la specializzazione in neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza. Parallelamente agli studi medici ho studiato recitazione e preso parte a diverse performance di teatro sperimentale in cui il primum movens della ricerca era tendere verso una verità della forma e dell’emozione, rifiutando ogni tipo di cliché formale. Da alcuni anni ho approfondito l’arte fotografica, inizialmente da autodidatta e, successivamente, attraverso un percorso individuale con un fotografo professionista che mi ha permesso di affinare la tecnica ma, soprattutto, di comprendere le radici storiche e culturali dell’Immagine. Oggi, la fotografia e il campo della neuropsichiatria, sono per me terreni che si nutrono a vicenda, diventando strumenti di comprensione delle “cose” del mondo. Un pretesto per restituire un senso all’apparente caos del quotidiano. Mi piacciono le immagini intrise di un certo grado di ambiguità, quelle che lasciano spazio a più possibilità interpretative: “Qualcuno” ha detto: “Il totale è qualcosa di più della semplice somma delle parti”. Mi piacciono le immagini che pongono domande: oggi, la mia ricerca, si muove su binari su cui scorrono immagini che richiedono la presenza di uno sguardo lento; lontano dal chiasso dello stereotipo della figura, ma vicino al silenzio delle cose periferiche.
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